(prima che il calcio vero ci fagociti, ho ancora un po’ di cosucce in sospeso. Tipo tre storie di Triplete (anche) merito altrui che ci tengo a pubblicare una dopo l’altra. Il mio libretto intanto ha compiuto quattro mesi e si prende ancora la sue soddisfazioni: domani sera, venerdì 11 settembre, sarò in un luogo segreto e a un orario imprecisato a presentarlo – Covid, non è che l’hai sempre vinta tu, eh! -. E domenica 13 settembre, ore 23.30, se mamma Rai non ci ripensa – ne avrebbe tutti i diritti, mica sono Nick Hornby -, sarò ospite alla Domenica Sportiva. Praticamente, per me, come la Notte degli Oscar). (Intanto, vi lascio con Francesco) (e poi Federico).

di FRANCESCO D.
Vialetto della scuola, ali di studenti beffardi ai lati, tutti impegnati a urlare prese in giro al mio passaggio: aspettavano solo il mio arrivo, a quanto pare. Io, per non sentire, accelero sui pedali della bicicletta e alzo al massimo il volume del lettore cd. Lettore cd? Be’ sì, siamo negli anni 2000, io ero alle medie… per l’esattezza, era il 2002. Allora il giorno l’avrai già capito, vero? 6 maggio 2002, uno dei lunedì peggiori di sempre per un interista di qualunque età che vada al lavoro, a scuola, ovunque. Fu un giorno tremendo.
Insomma, mi presento, ho 32 anni, sono di Ferrara (non vorrei rubare ad altri la battuta su nebbia, nutrie eccetera, ma in effetti sono l’ennesimo ferrarese che ti scrive: si vede che c’è affinità!) e no, non tifo per la Spal. Sarà che nella mia famiglia di ferrarese non c’è neanche un’astina di DNA, ma per la Spal non provo che uno scialbo affetto distratto e occasionale: sono solo interista, interistissimo. Di quelli più duri, accaniti, intransigenti, che hanno difeso l’Inter anche quando era indifendibile, che si ricordano tutti gli aneddoti e i giocatori, dai più fenomenali ai più orrendi. E sì, ho voglia di contribuire con ciò che ricordo del Triplete!
Ma andiamo con ordine, e pur con qualche fitta torniamo al 2002. Niente, dovetti aspettare, io e tutti quelli che come me non avevano visto lo scudetto del 1989, erano ancora troppo piccoli per le coppe UEFA del ’91 e del ’94 e non gioirono che per quella del 1998. L’attesa ci porta al 2007: finalmente vinciamo lo scudetto sul campo. Quindi okay, risolto, lieto fine?
Macché! Chi di noi si è sentito veramente ripagato da quel campionato da record? O risarcito dal titolo a tavolino dell’anno precedente? Qualcuno forse sì, magari a ragione. Io personalmente no. Per me Calciopoli ha rovinato tutto, tutto, sia prima che dopo il 2006. Prima, sappiamo come; dopo, perché ha infangato e annacquato una vittoria che è parsa scontata, facile, regalata, «senza avversari» (già, perché dal 2013 a oggi di avversari quotati ce ne sono stati, hai voglia…), quando noi avremmo voluto vincere e meritato di vincere in un altro modo.
Poi, ecco il 2010. In quegli anni ero studente universitario e le mie finanze non mi permisero grosse trasferte, perciò i miei racconti non sono avventurosi come altri di questa rubrica: seguii le partite per lo più davanti alla televisione, con fratelli e amici interisti, e fu ugualmente straordinario. Da febbraio a maggio, dal Chelsea al Bayern, ma infiliamoci pure la Dinamo di novembre, i due derby, il gol di Samuel col Siena e sempre col Siena il giorno dello scudetto. Quel giorno – era il mio compleanno – ero in Portogallo e la partita la guardai a Lisbona, con mio fratello e altri amici, in un bar vicino al porto cui implorammo di trasmetterla. E a partita finita, tutti a cantare «José Mourinho – lalalalalàlla», proprio per le strade della
regione del Vate di Setúbal!
Fu un sogno. Quando tu (possiamo darci del tu, vero, tra noi…?) e tutti quelli che hanno scritto in queste settimane su Settore dite: «il Triplete è merito mio», credo che abbiate proprio ragione. In quel momento noi eravamo l’Inter, io ero l’Inter, io con amici e famigliari a incastrare impegni e metterci d’accordo per guardare ogni partita di quella spettacolare cavalcata, noi che arrivavamo con l’adrenalina a mille nell’ultimo trittico di partite Roma-Siena-Bayern (ma mettiamoci pure il 4-3 da brivido col Chievo) e stanchi quasi come fossimo stati in campo. Ero proprio io, proprio tu e chi ha scritto qui sopra: eravamo proprio noi! Milito che corre ed esulta agitando le braccia per me è tutto l’interismo che si scrolla di dosso il 2002, i sei gol presi nel derby, l’Helsingborg, l’Alavés, il Villareal, i vari Chievo e qualche Lazio qua e là a rovinare sempre tutto, Vampeta, Pacheco, Pirlo e Seedorf, Lippi, Ronaldo ingrato che se ne va e il sogno mai realizzato di vedere lui, Baggio e Vieri insieme in attacco. Zanetti che piange di gioia cancella lo Zanetti in lacrime per il doppio pareggio europeo col Milan di sette anni prima.
Il calcio avrebbe dovuto fermarsi lì, non c’era più nulla da dire! Invece da dire c’era, perché è continuato, di lì in poi abbiamo visto disastri in serie ma tutto sommato con voglia sempre rinnovata di una nuova stagione in cui riscattarci (Nick Hornby nel suo Fever Pitch – Febbre a 90° – dice qualcosa come: «Per fortuna c’è sempre un’altra stagione», o una roba simile: quanto è vero!). Ritrovarmi a urlare per l’incornata di Vecino a Roma, insieme a sette-otto persone assiepate nel salotto davanti alla tv a scaricare anni di troppe amarezze, mi ha ricordato quanto ci siamo divertiti nel 2010 e, nel contempo, mi ha confermato che il Triplete in fondo non serve. Guai se non ci fosse stato ma, con o senza, l’Inter ci sarebbe comunque, e tifarci è proprio bello. Lo capiranno mai, i tifosi delle altre due, che credendosi furbi dicono: «Ormai vi è rimasto solo il Triplete»?
Piccolo epilogo. Adesso insegno proprio nelle scuole medie e ogni tanto vedo tra gli alunni qualche astuccio, diario o zaino nero e blu e spero di riconoscere in qualcuno di loro – finora senza gran successo – lo stesso interista di belle speranze del 2002, che sia capace di aspettare e di innamorarsi quasi senza accorgersene della squadra più meravigliosa di tutte.

RUBRICHE CHE CONTINUANO. Piccola appendice anche di “Uomini che piacciono alle donne”. Federico mi manda la sua foto avvinto dalla lettura e mi scrive che mi darebbe minimo il Pulitzer: “Il libro l’ho letto di pari passo con l’Europa League e mi è piaciuto moltissimo e quasi quasi speravo che la lettura ci portasse al trionfo (solo le ultime pagine, quelle in memoriam mi hanno messo un po’ di magone, e mi sono chiesto se era giusto finire con un po’ di amaro una storia così esaltante: a noi interisti c’è sempre un qualcosa che ci impedisce di godere fino in fondo, anche nei libri)”. Dopodichè mi scrive dieci righe su Muntari e lo ringrazio: cioè, qualcuno vi ha mai scritto dieci righe su Muntari?
