Comete e sostanze psicotrope

Serie A - 5a Giornata
Non è successo niente. Ripetetelo venti volte, intervallando con un sospiro. Non è successo niente. N-I-E-N-T-E (sospiro). Non può essere vero quello che abbiamo visto. E se anche fosse vero – (rumore di deglutizione) – non è possibile che uno scempio del genere si possa ripetere in natura a stretto giro. Intendo: nei prossimi 15-20 anni come minimo. Quindi tranquilli, dormite sereni. Avete avuto paura? Passerà. E’ una classica partita-cometa, come quando rifili 4 pere ai gobbi. Càpita, sì, ma ogni tanto. E quindi – (rumore di deglutizione) càpita anche il contrario, di prenderne 4 in un tempo dal Cagliari, più un rigore sbagliato (quindi potevano essere 5) (in un tempo) (dal Cagliari). L’unica cosa vera è che dopo 5 giornate abbiamo sette punti di distacco dalla Juve (e dalla Roma). Ecco, questo è vero, ed è brutto. Io mi fido solo dei numeri, e se i numeri sono impietosi io mi preoccupo. Sulle faccende esoteriche, quasi paranormali, invece sono pronto a discutere. Non può ripetersi. Uff, no. Certo che no. Come può ripetersi che 11 giocatori facciano contemporaneamente cagare? Oh, undici: ahahahahah, spassoso. No dai, nemmeno nel peggiore dei sogni. E che l’allenatore abbia preso almeno 5-6 decisioni sbagliate contemporaneamente nel mettere giù la formazione? O che i tuoi tre difensori centrali giochino in preda a una specie di torpore quando la palla passa dalle loro parti, specie in area, o il tuo terzino giapponese nel giro di 20 minuti regali un assist agli avversari e, compensando la reattività di un bradipo, si faccia espellere per due falli ingenui da far spavento? Ma dai, è evidente! O non è successo o, se è successo – (rumore di deglutizione) – non si ripeterà. E quando mai si ripeterà un calendario così facile a inizio stagione (Torino, Sassuolo, Palermo, Atalanta, Cagliari) (intervallate da partite con islandesi e ucraini)? Ecco, è tutto una cometa. Anche il calendario-cometa. Calendario da 13-15 punti, e invece ne fai 8. Bleah, che scorrettezza. Questo calendario ci ha evidentemente deconcentrati. E’ evidente. Ahò, quando ce ne mannate una forte? Sai, come quei pugili che sanno di trovarsi davanti uno scarso, salgono sul ring un po’ controvoglia, ahò!, poi scherzano con il rivale, saltellano, lo irridono, tengono la guardia bassa, i guantoni all’altezza delle ginocchia, ahò!, e poi sbamm, perchè anche ai pugili scarsi due o tre cose le hanno insegnate, i montanti li sanno portare e se ti prendono alla mandibola (i pugni-cometa) tu vai giù come un sacco di patate. Tipo, non so se rendo l’idea, se giochi in casa con – mettiamo – l’ultima in classifica e ne prendi 4 in un tempo, quasi 5, ecco, una roba così. E’ EVIDENTE che non sono cose che si possono ripetere, tranquilli, è evidente.
Ora vado a dormire. Magari mi risveglio e siamo ancora alla quarta giornata. Sì, voglio dormire fino a dopodomani: datemi quello che hanno preso Vidic, Nagatomo e Andreolli e non se ne parli più.

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Facili ma belli

Non sottovaluterei la cabala, che ci dava per (quasi) morti: non vincevamo con l’Atalanta dei tempi di Mourinho e in tribuna c’era Thohir, due circostanze che lasciavano presagire una bella partit’emmerda, un altro pareggino e via a massacrarci gli zebedeos. E invece buono, anzi ottimo: abbiamo vinto, giocato (un’oretta almeno), creato (due gol, un rigore sbagliato, due pali, varie occasioni), preso zero, rischiato poco (un pochino più del fisiologico, male i primi venti minuti del secondo tempo). D’accordo, non c’era più Bonaventura, passato alla squadra che pareggia di più con l’Empoli al mondo. Ma in casa viaggiamo proprio bene e ha pure segnato il Profeta, che ci voleva proprio, per lui e per noi, che lo stiamo aspettando da mesi e mesi di prestazioni loffie. Aggiorniamo il ruolino di marcia di questo inizio di stagione very easy (non sarà mica un calendario difficile? no, dico) con 5 vittorie e 2 pareggi Coppa compresa, un gol subito e 20 segnati. Adesso ci aspettano altre due partite in casa teoricamente semplici (Cagliari e Kamarà, Laganà, Gabarà, vabbe’, ci siamo capiti) prima di un esame un po’ più impegnativo (Fiorentina a Firenze) che arriverà il 5 ottobre, dopo un mese e mezzo di stagione, e dovremmo arrivarci preparati. Torino e Palermo, in questo contesto, spiccano sempre di più come occasioni buttate nel cesso. Ci ripenseremo quando strappare punti di qua e di là diventerà fatalmente più difficile.
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Nemannaggia Vidic

Bisognerebbe avere la luciditá di stringere la partita e di giudicarla così, in forma appena appena ridotta. Giudicare cioè gli 86 minuti che stanno in mezzo ai due istanti che ci costringono a stare un po’ così, col muso lungo, la bocca storta e il culo quadro. Dunque, proviamo a eliminare da Palermo-Inter lo sciagurato impappinamento di Vidic al quarto minuto, e fischiamo la fine prima che Osvaldo inzucchi il pallone e un portiere brizzolato giustifichi con un solo gesto il suo ingaggio annuale. Se Vidic non si fosse incartato come un bambino dell’asilo, che partita sarebbe stata? E se invece Osvaldo avesse segnato, adesso saremmo qui a bere birre e a salutare il terzo posto felici come delle pasque e dimentichi degli smoccolamenti  di un’intera partita?
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In mezzo – in mezzo a questi due eventi per noi sfortunati – ci sono stati reti annulate (una ingiustamente, ma anche il Palermo avrebbe da ridire), gol sbagliati (almeno un paio, ma anche il Palermo ha preso una traversa) e al secondo ma anche mi rendo conto che tutta questa grande differenza con il Palermo non c’è stata: conclusione amarognola giá sperimentata la sera di Torino-Inter.
Mazzarri stasera ha fatto addirittura cose contronatura: passare alla difesa a quattro, mettere tre punte, togliere un difensore e far entrare un centrocampista offensivo. Insomma, non gli si può rinfacciare di non aver tentato di vincere la partita (cosa che la squadra ha provato sistematicamente a fare nella prima mezz’ora della ripresa). Magari, quello sì, gli si potrebbe chiedere conto delle scelte della formazione iniziale, dell’orripilante primo tempo, del ritardo nel mettere mano a una partita che ci vedeva in difficoltá con il Palermo, mica il Real Madrid.
Il gol che non prendevamo mai ce lo siamo fatti da soli. E il gol che ci avrebbe stoltamente fatti rotolare in salotto farneticando di tabelle scudetto ce lo ha negato una falange di Sorrentino. In mezzo, in mezzo a queste due sliding doors, c’è ancora una mezza Inter che non sa bene chi è e dove cavolo sta andando.

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Da Dnipro all'eternità. Scudetto in 10 mosse: il diabolico piano di Mazzarri

Dnipro-Inter inizia con una interessante variante tattica: essendoci la pizza, rinuncio agli Orociok. La cosa conserva una forte valenza socio-nutrizionale finchè la pizza, verso la mezz’ora, finisce lasciandomi spalle al muro a fare quello che dovevo fare fin da mezz’ora prima:
guardare Dnipro-Inter.
A quel punto, approfittando del fatto che M’Vila è per terra mezzo dissanguato, inizio una manche a Ruzzle. La finisco nei canonici due minuti, e quando rialzo lo sguardo a contorcersi per terra c’è Kuzmanovic. Sono stordito, fatico a riavermi dallo shock. Mi piace tentare di leggere i tabelloni in cirillico: sgneppastruosspallscioisciaaaaaiii. Cerco un avversario casuale su Ruzzle ma zero, niente, forse stanno tutti guardando l’Europa League. Sbuffo. Finisco la birra. Ecco, non so come dirlo, ma il primo tempo non mi ha particolarmente appassionato. Dirò di più: in successione non mi appassiona neanche l’intervallo, nè tantomeno l’ingresso in campo delle squadre nel secondo tempo, quando vedo che l’Inter non ha fatto – non dico sette/otto – neanche un cambio.
Quando il giudice D’Ambrosio la mette, però, mi appare in tutto il suo nitore (ora, senza polemica e senza false modestie: ditemi voi quale blogghe usa con tale nonscialàns il sostantivo nitore)  il diabolico, infallibile, insormontabile piano tattico di Mazzarri. Usato in questo inizio di stagione e – così spero – da sfruttare per i prossimi mesi. Perchè, almeno dal punto di vista teorico, questo piano potrebbe portarci in alto, in altissimo.
1) Nel corso della settimana, Mazzarri rilascia interviste che apparentemente dovrebbero tracciare un vago disegno tecnico-tattico del match a venire, ma dalle quali – al termine di giri di parole e polemicuzze a nastro con i giornalisti delle ultime file – non traspare nulla di significativo. L’avversario è dapprima disorientato, poi plana di ora in ora verso un significativo ottimismo.
2) Al momento di consegnare la distinta con le formazioni ufficiali, Mazzarri rivela il suo non-piano. L’Inter viene schierata con un portiere, tre difensori centrali, due uomini di fascia, tre centrocampisti, un uomo fuori posizione (detto genericamente “a sostegno dell’unica punta”), un’unica punta. L’allenatore avversario si gira verso il suo vice e sussurra: “Diobono, esattamente come avevo previsto”. Tre milioni e mezzo di interisti, intanto, si girano verso i tre milioni e mezzo di altri interisti che hanno al loro fianco e sussurranno: “Ma diobono!”.
2/bis) Mazzarri ha un’ulteriore freccia al suo arco: l’effetto di cui al punto 2) viene amplificato se uno dei tre centrocampisti è Kuzmanovic.
3) L’Inter gioca generalmente mezz’ora di pseudo-calcio in cui, sorprendentemente, si verificano sempre le seguenti condizioni: a) tre difensori centrali sono troppi; 2) dei due laterali, almeno uno non capisce un cazzo; 3) dei tre centrocampisti, almeno uno non capisce un cazzo e uno è troppo lento; 3/bis) se c’è Kuzmanovic, dei tre centrocampisti uno non capisce un cazzo, uno è troppo lento, uno non capisce un cazzo ed è troppo lento; 4) l’uomo a sostegno dell’unica punta è inutile; 5) l’unica punta è sola. Nelle situazioni più intricate, 6) occhio che il portiere prima o poi fa la cagata. In questa situazione gli avversari prendono coraggio, si riorganizzano, il pubblico sugli spalti a) se siamo in trasferta, inizia a ritmare a gran voce il nome della propria squadra; b) se siamo in casa, inizia a urlare “cazzo, 5 euro per un cornetto sciolto? Ma andate a fare in culo!”.
4) Al ritorno negli spogliatoi – qui si inizia a intravvedere il genio del mister – Mazzarri fa il culo a quattro quinti della squadra. “Ma scusi mister, ci ha detto lei che…” “Ma vai in culo!”. A volte disegna qualcosa sulla lavagna, ma non sempre è necessario. La squadra è scossa ma si è già rinfrancata: sa che Mazzarri non cambierà nessuno e tutti gli undici si godono la loro seconda possibilità.
5) Al rientro in campo, i nostri avversari guardano i giocatori dell’Inter e vedono che Mazzarri non ha cambiato nessuno. Questo infonde nella squadra avversaria un livello di sicurezza che sfocia nel rilassamento. E’ la prima falla nella diga nemica.
6) La seconda falla arriva normalmente entro il sessantesimo minuto. Mazzarri non cambia nessuno, l’Inter è la stessa del primo tempo (sensazione amplificata se uno degli undici è Kuzmanovic), i tifosi interisti si accasciano (qualcuno va a cambiare il disco orario, altri al cinema, altri ancora si rivestono e tornano a casa in anticipo) e l’avversario in campo si sente sempre meglio: sereno, sicuro, rilassato. Ecco, ci siamo.
7) Mentre l’avversario inizia a fare torelli e il pubblico grida olèèèèè e ci si scambiano palloni a centrocampo con colpi di tacco, rabone e trompe l’oeil, Mazzarri tra il sessantesimo e il settantesimo minuto fa la cosa che doveva fare tra il sessantesimo e il settantesimo nanosecondo: mette la seconda punta. Di solito toglie un centrocampista, o l’uomo a sostegno di-non-si-sapeva-cosa. Nel caso ci sia Kuzmanovic, toglie Kuzmanovic.
8) Tra il sessantesimo e l’ottantesimo ci possono essere altri cambi a piacere, ma quello togli-uno-a caso-e-metti-una-punta è di solito quello decisivo. L’Inter, infatti, come a Kiev, di solito segna.
9) In campo apparentemente non succede nulla di granchè evidente, ma in realtà è in atto uno stravolgimento tecnico-tattico-esistenziale. La squadra avversaria entra in panico, alcuni piangono di fronte a un’occasione che svapora (“Ma diobono, non potevamo segnare noi, prima?”), l’Inter entra in fiducia (“dai, mancano dieci minuti e la sfanghiamo anche stavolta), i tifosi interisti si esaltano (“Ma diobono!”).
10) La partita finisce. L’Inter ha vinto e non ha subito gol.
E’ chiaro che questo piano, che unisce l’alea lumbarda del rischio al tipico geniaccio sanvincenzese, profuma di perfezione. Se i 10 punti continueranno a ripetersi (contro la squadre squinzy questo piano non serve, ma con le altre sì, dall’Islanda al Manzanarre al Reno), potremmo finire in alto, in altissimo. Anzi, diciamolo adesso, dopo questa chirurgica vittoria a Kiev contro il (lo?) Dnipro: con questo piano si vince lo scudetto, è matematico.
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Squinzi Jones

Gli darei un cinque, a Mazzarri. Ah già, si è rotto una mano. E nemmeno io scherzo. Più che l’incontro di Teano sarebbe la coda per il ticket in Ortopedia. Vabbe’, trattasi comunque di roba simbolica. Gli farei i complimenti e gli chiederei scusa a nome di tutti noi, perchè oggi a San Siro c’era un allenatore testone il doppio o il triplo di lui, uno che ordinava di pressare alto sullo 0-0, poi sullo 0-1, poi sullo 0-2, e attacca, e tieni alto, e sali, e 0-3, sali, 0-4… Perchè la vita, la vita vera, non è così? E così, andando in porta col pallone come nemmeno accade nelle amichevoli con la Guanzatese, teniamo così alta la nostra media – 4 partite ufficiali, 16 gol fatti e zero subiti – che all’Iffsh il computerone starà facendo beeeeep beeeeep e segnalerà queste performance d’altri tempi. Certo, il mondo non è fatto di squadre islandesi e squinzesi – e infatti con l’unica squadra appena normale, benché priva di attacco, abbiamo fatto 0-0 – ma perchè tenere per forza a bada l’endorfina in domeniche così serene? E lasciamola fluire, perdio, prima di andare giovedì al fronte e domenica a Palermo e vedere se davvero ci troviamo bene con le squadre un po’ così e meno bene con le squadre che almeno un pochino si coprono. Boh, si vedrà. Mi rassereno per la vena di Kovacic, per la voglia di Icardi, per il killer instinct di Medel. Stop. Non riesco ad affrontare una seria disamina con davanti il faccione di Squinzi Jones, uno che tifa Milan, compra dalla Juve e si fa inculare dall’Inter. No, non ci riesco. E’ la nostra mascotte e ci tiene alto il Pil, ormai gli vogliamo bene e speriamo di incontrarlo più spesso, come quegli amici con cui si passa bene il tempo anche se li vedi solo due volte l’anno e te ne rammarichi. Grazie Squinzi, spero che almeno ti riducano l’Irap. Ad majora.
Inter - Sassuolo
 

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Il meglio (speriamo) deve ancora venire

Praticamente, quando ho saputo che all’evento oltrepadano “Goal a grappoli” – di cui ero indegnamente nel cast – sarebbe arrivato anche Mazzarri, ho avvertito in tempo reale Lorenzo, l’Uomo che non deve chiedere mai (il pettine) (lui è pettinato di natura).  Lorenzo è un interista dall’entusiasmo totale. Se gli dici: “Oh, domani a Pavia forse c’è l’amico immaginario del cognato di Andreolli”, lui ti dice “Vengo!”. E in effetti all’invito mazzariano mi risponde “Vengo!”, ma aggiunge:
“Imbottito di esplosivo”.
Del resto è così, il Miste non è ai massimi storici del gradimento. Vabbe’,  lo Zanetti delle raffinerie comunque è avvertito e posso recarmi sereno all’appuntamento in cui spero di poter rivolgere un paio di domandine all’uomo che guida l’Inter. E’ giovedì pomeriggio, ore 18.30. Nel luogo del convegno, in cui cominciano ad arrivare alla spicciolata vigneron e tifosi nerazzurri, vedo profilarsi in lontananza i Bee Gees della gufata: Lorenzo, Antonio e Marco. Tutti assieme non li vedevo dal Primo maggio, la notte della Grande gufata gobba pro Benfica, iniziata tra mille paure e finita rotolandosi per terra come bambini dell’asilo.
(qui va aperta una parentesi, perchè certe cose bisogna che si sappiano. Esattamente 100 giorni dopo la Grande gufata, il 10 agosto, a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro, io mi rompevo il gomito e Lorenzo si strappava i gemelli. Ci siamo incontrati in ospedale, io in pigiama col braccio al collo e lui in bermuda con le stampelle, sembrava il raduno degli ex combattenti. Gufare contro il Male evidentemente ha il suo prezzo, e noi lo abbiamo pagato)
Benvenuti, gli dico. E loro mi rispondono con alcune frasi smozzicate che ricostruisco depurandole da parolacce e facendo uso di metafore e allocuzioni eleganti: “Grazie per averci invitato, amico nostro, ma siamo venuti qui sospinti da uno scarso entusiasmo perchè l’uomo attualmente responsabile della guida tecnica dell’Inter non ci convince appieno e nemmeno ci ispira una profonda simpatia come facevano molti dei suoi predecessori”. Antonio nota nella mia mano una copia del libro di Mazzarri: “Noooo cazzo, il libro noooo!” (è giusto anticiparvi che il suddetto supertifoso nel giro di un paio d’orette cambierà decisamente atteggiamento: basta saper aspettare).
Mazzarri arriverà in ritardo – proveniente da Appiano, secondo allenamento quotidiano, e frenato da un mezzo ingorgo – ma arriverà. Parla, risponde, replica, interloquisce. Poi la mia amica Lara, l’anchor woman de noantri, mi dà la parola, presentandomi amorevolmente come giornalista e bloggher nerazzurro, “lei mister li legge i blog?” e lui “No guardi, lo dico sinceramente, non ho nemmeno tempo di accendere il computer”, e io li volevo dirgli
Miste, lei non conosce i blog e nemmeno il blogghe?”
ma ho evitato polemiche personali e gli ho rivolto due domande serie.
1) Mister, lei – lo dice lei stesso – non è un gran comunicatore. Pensa di avere scontato questa cosa nel corso della sua carriera?”
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Erano le 20.08. Mazzarri inizia a guardarmi negli occhi e a rispondermi. Mi fisserà dritto fino alle 20.16. Otto minuti in cui sembravamo Giucas Casella contro Toni Binarelli.
Risposta (in sintesi): guardi, sì, sicuramente questa cosa l’ho pagata. Quando ero alla Reggina fui scartato da una grande squadra che mi voleva per meriti tecnici ma riteneva che non mi presentassi bene in panchina e davanti ai microfoni. Ma io sono fatto così, un po’ sono migliorato e forse posso migliorare ancora.
2) Mister, il suo libro si intitola “Il meglio deve ancora venire”, e noi tifosi glielo auguriamo perchè è anche una nostra speranza, cioè che nell’avventura di Mazzarri all’Inter il meglio debba ancora venire. Lei che sensazioni ha, che questo meglio stia arrivando?
Risposta (in sintesi): questa squadra e in fondo anche questa società stanno ripartendo daccapo, il monte ingaggi è passato da 220 a 80 milioni annui e questo vuol dire un sacco di cose. Serve pazienza, da parte di tutti, ed è necessario che anche voi media trasmettiate questo messaggio. Tutto l’ambiente nerazzurro deve armarsi di pazienza e remare dalla stessa parte.
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Alle 20.17 Mazzarri rivolge lo sguardo altrove per rispondere a un’altra domanda e io mi accascio sulla poltrona. Il dibattito si chiude e parte l’assalto a foto e autografo del Miste che, meno male, non si sottrae. In fila noto anche Antonio con il telefonino in mano: “Punto al selfie”. Ma come, faccio io, mi hai insultato per il libro e ora… “Punto al selfie! Punto al selfie! Arf! Arf!” Ha uno sguardo assatanato, che placherà solo dopo avere effettivamente fatto il selfie con Mazzarri.
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Mi sento più sereno. Ma in quel momento incrocio l’altro sguardo allucinato, quello di Lorenzo. “Adesso…” “No, non farlo!” gli dico io, pensando che stesse per farsi esplodere, “ci sono un sacco di bambini, non farlo!”. “Adesso gli chiedo dei calci d’angolo!” “No, non farlo, stai calmo, vieni, ti offro un Cruasè”, “Calci d’angolo! Calci d’angolo!”. Sembra Rutger Hauer, mi scosto e lo lascio passare.
Lorenzo si fa strada nella folla e si trova di fronte a Mazzarri. Mazzarri si trova di fronte Lorenzo. Io sto sudando tipo Nadal al quarto set. Lorenzo chiede:
“Mister, posso farle una domanda tecnica?”
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Oddio. Adesso le guardie nerazzurre lo stordiscono e lo portano via e me lo abbandonano vicino al casello di Casei Gerola con un gettone per chiamare a casa. E’ colpa mia, non dovevo invitarlo, è tutta colpa mia…
“Se posso risponderle, sì”, dice Mazzarri fissando la pettinatura di Lorenzo, che evidentemente gli ricorda qualcosa.
Oddio. (silenzio di tomba)
“Ecco: ma come è possibile che dei professionisti sbaglino i calci d’angolo?”. Seguono (Lorenzo) elenco dei calci d’angolo sbagliati e che ci sono costati caro, e (Mazzarri) risposta accorata alle rimostranze tecniche del tifoso.
Mi accascio di nuovo sulla sedia a riprendere fiato, poi mi faccio strada a colpi di gesso e appena finisce di rispondere a Lorenzo il Miste mi autografa il libro.
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Dopodichè la folla si sposta a fare un brindisi generale, brinda pure Mazzarri, e nonostante la folta presenza di vips (Sabrina Gandolfi, Civoli, Casarin, Pellegatti eccetera) la troupe di Inter channel punta verso di me:  “Possiamo intervistarti?”. Miste, ha visto il blogghe?
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Bene, non benissimo, diciamo così così, al limite maluccio

Torino Fc - Inter
Nel giro di 26 ore e un quarto si sono verificati due avvenimenti – l’esordio in campionato e lo stop al calciomercato – che non si potevano commentare separatamente in totale serenità. Del tipo che, alzando il culo dalla sedia dopo Torino-Inter, il primo pensiero non è stato “madonna che sconcerto mi ribolle in corpo” ma “vabbe’ dai, magari domani prendiamo XXX e la vita tornerà a sorridere a me e al mio gomito in frantumi”.
Quindi, col senno di poi, azioniamo il tasto rewind e torniamo a domenica sera alle 22,30 circa, quando l’arbitro ha dato il triplice fischio all’Olimpico di Torino e io, alzando il culo dalla sedia, avrei effettivamente dovuto mormorare “madonna che sconcerto mi ribolle in corpo”.
(praticamente è una sliding door postuma, a scoppio ritardato e con ricevuta di ritorno)
Non che iniziare il campionato in trasferta con una squadra rognosa e reduce da quattro partite ufficiali in Europa League (per quanto priva delle due star della scorsa stagione) fosse un esordio comodo. Ma, a parità di scomodità, la cuginanza gonza e la Roma hanno fatto una figura ben migliore e i loro tifosi sono lì che gongolano, magari ad minchiam ma gongolano. Per non dire della Juve, graziata dall’ex amico di Icardi quando però poteva essere avanti cinque a zero. Insomma, iniziamo un passo dietro agli altri. Che non vuole dire un cazzo dopo una giornata di campionato – siamo già in pausa, che strazio indicibile -, ci mancherebbe altro. Ma vogliamo dare un minimo peso alle impressioni, specie a quelle sgradevolmente reali?
Anche perché, dopo la partita bruttarella di domenica, la giornata del lunedì è trascorsa allo stesso modo, bruttarella, ansiogena, un passo dietro agli altri, a cercar di vendere un giocatore che stai cercando di vendere da otto mesi (uh, chissà che quali motivazioni sarà animato) e alla fine, tra offerte del menga e controfferte a strozzo, senza risolvere nessuno dei nostri problemi. Al 2 di settembre siamo già lì che ci lecchiamo le ferite in attacco (quattro punte, di cui una infortunata, una acciaccata e una minorenne), guardiamo col broncio una partita in cui non  combiniamo nulla per lunghi tratti (sono mica tutti islandesi), ci chiediamo se Mazzarri ci è o ci fa (del resto abbiamo giocato con una punta anche con la corazzata Stjarnan), eccetera eccetera eccetera. Siamo già lì a criticare un mercato che fino al 30 agosto era “molto positivo”.
Ma io voglio guardare avanti, rasserenato come dopo un blister di orociok. Voglio pensare che sia troppo presto per sputare qualsiasi sentenza, voglio pensare che a ranghi completi ce la possiamo giocare, voglio pensare che finita la  sudditanza argentina questa squadra impari a correre (da sola). Prima di strapparmi i capelli voglio aspettare. Anche perché il gesso lo tolgo il 16, e prima del 16 non posso strapparmi un bel cavolo di niente.

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Solare? No, grazie

Può essere solare un sistema, un’energia, un’ora, un pannello, una crema, un plesso. Ma tu, sì, tu, intervistato al tiggì, perchè mi dici che la persona testè assassinata era solare, e invece tu, sì, proprio tu, al tg successivo mi dici che a suo modo era solare pure l’assassino? (una volta l’assassino era quello gentile che salutava sempre, buongiorno buonasera, ma chi si immaginava madonna mia?, mentre ora – qualche volta, ok, non sempre – è solare pure lui). Com’è che prima eravamo simpatici o stronzi, e adesso siamo tutti solari? (toccandosi i coglioni, eh? Per essere definito solare devi essere morto da poco, oppure – qualche volta, non sempre – avere ucciso qualcuno). Quand’è che è iniziato questa deriva solare? Ho cercato su internèt e ho trovato una tesi singolare. Per qualcuno la diffusione del solare sarebbe legata a quelle penose intervistine ai ragazzi in discoteca, ricordate? “Scrivetemi, contattemi, sono una persona (rullo di tamburi) solare“. Seguiva primo piano di un truzzo pazzesco, anello di congiunzione tra l’homo sapiens e il mandrillo (Mandrillus sphinx Linneo), che sorrideva in camera per mostrarsi – ok, truzzo e puzzolente finchè si vuole – abbastanza solare. “Ahò hai sentito? E’ solare!” “Ganzo!” E solare è diventato virale (“Contattatemi, mi puzza il fiato/ sono in attesa del terzo grado di giudizio / rubo autoradio ma sono tanto solare“). Sette-otto anni fa, dunque, iniziava a diffondersi il morbo della solarità, più o meno contemporaneamente – ciò è curioso, pur non c’entrando nulla – all’arrivo di Solari all’Inter (che poi Santiago era abbastanza solare, ma Liz lo era molto di più, e non in senso figurato ma in senzo pratico, solare come un pannello solare). Da allora, le persone sono catalogate come prima – da brave a pezzi di merda – ma hanno in più solare come opzione, opzione che è diventata ormai di default, una specie di patch che ci attacchiamo tutti sulla manica sinistra, c’è chi è il club più titolato al mondo e c’è chi è solare. O meglio, faremmo prima a dire chi non è solare, visto l’immane quantità di solari. E dando per scontato che tra le definizioni che ci possono appioppare c’è di sicuro quella di persona solare, ormai a ciascuno spetta l’onere della prova (una prova solare, obviously). Cioè, quella di dichiararsi non solare. “Lei è solare, no?” “No guardi, sono una brutta persona, quindi non mi caghi il cazzo”. Tra l’altro, qualcuno si ricorda più il significato di solare riferito a una persona e non a un pannello? Sempre da internèt, dizionario on line: luminoso, sereno, ottimista. Mej cojoni: ma voi conoscete in natura una persona che – contemporaneamente! – sia luminosa, serena e ottimista? Sì, a volte capita: per esempio, maggio 2010, quanti interisti non erano ottimisti e luminosi? Ma sereni, voglio dire: voi eravate sereni? Io durante Roma-Samp ho perso tre chili e un anno di vita, durante Siena-Inter ho mangiato un chilo di unghie e tre di orociok, al Bernabeu ho lasciato millemila calorie umane e sentimentali. Praticamente: sono stato solare per quella mezz’oretta susseguente al secondo gol di Milito, poi ho impiegato un’altra mezz’ora a trovare il pullman per l’aeroporto e ho perso ogni solarità. Quindi basta, solari un cazzo. Se vi hanno ucciso o rapito o ferito un amico, dite che era/é gentile, simpatico, generoso, ma non che era/è solare. Per tre motivi: 1) probabilmente non è vero; 2) non sapete cosa vuol dire solare; 3) avete rotto i coglioni. “Sì, ok, ha decapitato la colf con una mannaia, ma era un ragazzo così solare”: ecco, vi prego, basta così.
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L'Inter è nuova, davvero

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Non ho la testa nè sufficienti braccia (il 50% è fuori uso) (delle braccia, dico) per fare chissà quali considerazioni su una partita vinta in Islanda ad agosto contro una squadra di buontemponi, a ranghi ancora non completi nè definitivi, a mercato ancora aperto, a scelte ancora in itinere. Però è un’occasione da ricordare, a suo modo storica. E’ stata la prima partita di una nuova Inter, ma nuova davvero. Un’Inter ancora più nuova della sua maglia nuova (tanto nuova e originale che non è nemmeno nostra) e dei suoi volti nuovi e seminuovi.
1) E’ un’Inter demorattizzata. Non tanto e non solo perchè, dopo il cambio in corsa dell’ultimo campionato,  Thohir inizia la sua prima  reale ed esclusiva stagione da padrone. Ma perchè lo spoil system degli ultimi mesi ci consegna una società rinnovatissima nelle sue posizioni chiave. Dopo qualche mese di tarallucci e vino, la rivoluzione si è compiuta.
2) E’ un’Inter dezanettizzata. Fatti salvi i sentimenti, la gratitudine e il rispetto per i campioni del Triplete passati a diversa vita, l’Inter può finalmente voltare pagina senza più dover pagare tributi al suo passato. E’ come un bambino in bici nel momento in cui i genitori gli tolgono le rotelle: c’è un momento di vertigine, ma poi – vuoi mettere? – si va.
Ecco: si va. E’ una chance bella e stimolante: questi siamo – secondo una strategia strettamente connessa alle possibilità – e bòn, non ci sono cazzi, nè padri spirituali da onorare al di là del ragionevole. Il tempo ci dirà se la situazione avrebbe potuto dirsi perfetta con un’Inter anche demazzarrizzata. Il miste(r) ha una seconda possibilità. Se la giochi. Non ha più la scusa del caos in cui si è trovato improvvisamente lo scorso anno. Tutto è molto più chiaro nel back office e anche nella rosa che avrà a disposizione. L’Inter è il bambino di cui sopra, senza più rotelle e con una teorica gran voglia di levarsi dai coglioni, pedalare e vedere dove arrivare con le proprie forze. Non si pretende nulla a priori. Nulla di impossibile, dico. Deve tenere il manubrio dritto, restare in equilibrio, evitare gli ostacoli: non per nulla, quelle direttive tecniche e morali che competono all’allenatore. Non c’è più gente a cui trovare il posto per forza: è tutto più chiaro, lineare, basico. Mazzarri, riprovaci. Da qui in poi – a te bisogna parlare così – sono tutte finali.
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(nella foto: non chiedetemi il perchè delle metafore ciclistiche)

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Wikisector (tutto quello che avreste voluto sapere sull'Ungmennafélagið Stjarnan e non avete mai osato chiedere)

Un blog che si rispetti non deve mai perdere l’occasione di fare divulgazione, e quindi se l’Inter viene sorteggiata in Europa League con l’Ungmennafélagið Stjarnan io mi ci tuffo a pesce come se a Piero Angela portassero le prove di un asteroide non ancora classificato. Di questo Ungmennafélagið Stjarnan si sa solo che i giocatori fanno i fenomeni quando fanno gol, e ognuno di voi – sì, di voi, sì – avrà trascorso il pomeriggio a vedere le spettacolari esultanze su YouTube e avrà condiviso il video su Facebook eccetera eccetera. E quindi? Avete la coscienza a posto? No, dico: a parte queste buffonate (solo la cattura del salmone e il tizio che caga nel cesso sono esultanze degne di nota), sì insomma, per il resto, che cazzo ne sapete voi dell’Ungmennafélagið Stjarnan e della sua città, Garðabær, e di come si scrive e di come si pronuncia con tutti questi geroglifici danesi messi lì apparentemente a caso?
(per come si scrive ho fatto copincolla su Wikipedia. Per come si pronuncia, non ne ho la più pallida idea. Secondo me bisogna improvvisare, ci si mangia una vocale a caso e si strascica una consonante a caso, e più o meno si dirà così, gherobeer, vabbè, ma non è importante, è solo per fare una certa figura in società lasciando supporre che si mastichi qualcosa di islandese)
Garðabær (is. Garðahreppur) è un comune islandese della regione di Höfuðborgarsvæðið. La combinazione comune-regione ha il record mondiale di geroglifici del cazzo per numero di lettere normali. A tutto il 2007 la sua popolazione era di 10.000 abitanti. Dal 2007, essendo assai noioso mettersi lì a contare la popolazione di Garðabær (is. Garðahreppur), i demografi islandesi vanno a spanne. Secondo gli ultimi dati, saranno più o meno 10.900. La densità (concentrazione di abitanti per chilometro quadrato) è di 153,65. Per darvi un’idea, Rozzano ha 3445,20 e Tokyo 6941,40. Quindi si sta larghi, a Garðabær (is. Garðahreppur).
Nel comune, continua Wikipedia, ha sede uno studio televisivo di 5067 m², che contiene una delle strutture più avanzate d’Europa per l’HDTV (la cosa curiosa è che il comune stesso, o forse l’Islanda stessa non è molto più larga di 5067 m²) . Inoltre a  Garðabær si trova l’unico negozio Ikea in Islanda. Questa è un’informazione più interessante. E’ assai probabile, date le dimensioni di Garðabær, che mezza squadra e mezza tifoseria abbiano stretti rapporti con l’Ikea: tipo che ci vanno o ci lavorano o ci sono dei familiari o degli amici che ci lavorano. Del resto la vicinanza con l’Ikea è testimoniata da alcuni particolari: 1) nello stemma societario nel 2004 è stata introdotta una piccola brugola; 2) nella sede societaria gli antichi mobili islandesi sono stati sostituiti con divani Klippan e librerie Expedit; 3) durante una partita con il Kravstjallunszellung i giocatori hanno presentato un’esultanza particolare – dopo il gol hanno montato dietro la porta una cucina Nexus/Factum – che, protrattasi per 45 minuti, ha causato l’ammonizione di tutti gli 11 uomini in campo.
In origine, quando l’Islanda venne colonizzata nel IX secolo, sull’area dell’odierna Garðabær erano presenti due fattorie. I loro nomi erano Vífilsstaðir e Skúlastaðir. Vífilsstaðir prendeva il nome da Vífill, un ex schiavo di Ingólfur Arnarson, il primo colonizzatore dell’Islanda. Skúlastaðir prendeva il nome da Skùla, la protagonista di un vecchio fumetto porno che veniva venduto in accoppiata con Laaandoo.
Ci sono molte riserve naturali nella regione dell’Höfuðborgarsvæðið. Il paesaggio, indipendentemente dal punto di Garðabær in cui lo si guarda, è suggestivo: ad ovest è infatti possibile ammirare il ghiacciaio Snæfellsjökull, mentre verso nord si può avere una buona vista di Kópavogur, Reykjavik e, sullo sfondo, della catena montuosa Esja. In breve, ci si rompe i coglioni molto in fretta. Per questo gli abitanti di Garðabær si sono appassionati al calcio. L’Ungmennafélagið Stjarnan è stata fondata nel 1960. E’ stata promossa per due volte in serie A (o come cavolo si chiamerà), la prima volta nel 1989 (vincendo il campionato di B) e la seconda volta nel 2008 (arrivando seconda). Quello con l’Inter sarà il quarto turno di preliminare per loro: cioè scusa, da quanto cazzo stanno giocando, da maggio? Hanno vinto due volte 4-0 col Bangor City (pensavo fosse una squadra indiana, invece è del Galles) (anche perchè cosa ci farebbe una squadra indiana in Europa League?), poi hanno buttato fuori il Motherwell (2-2 in casa e 3-2 in Scozia, dove hanno esultato bevendo whisky e molestando una steward) e infine il Lech Poznan (1-0, 0-0),  una delle nostre squadre del cuore da quando recentissimamente ha eliminato quegli sfigati della Juve in Europa League. Tutto questo ci deve indurre alla massima prudenza: stanno giocando da mesi e hanno inculato il Leh Poznan, quindi occhio. Il loro stadio è lo Stjörnuvöllur che può ospitare circa 1000 spettatori, cioè un decimo della popolazione, o un quinto dei clienti dell’Ikea. Col piffero che giocheremo lì, figuriamoci, 1000 spettatori, tzè. In occasione dell’incontro con i pittoreschi islandesi, anche l’Inter ha preparato un’esultanza particolare in occasione dei gol: Osvaldo spaccherà la faccia a M’Vila, Medel e Icardi.
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