Zavorrati

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Queste tutto sommato sono le partite che possono capitare. Le partite che non dovevano capitare sono altre, e sono quelle che ci zavorrano anima e corpo ormai da settimane. Una partita del genere – sfortunata, sbilanciata, buttata via –  l’avresti potuta vivere a cuore più leggero senza certe zavorre, ma a noi questa leggerezza non è più concesso. Anche lo spettacolo pomeridiano – il Parma che ci ha piallato una settimana fa ne prende 7 dai gobbi – non concilia il buonumore. Così come lo spettacolo serale della nuova classifica – siamo noni, ma con due punti di vantaggio sulla decima, un nono posto saldo insomma, un nono posto tranquillo. Un nono posto che non si sa bene come giudicare, perchè a metá novembre dobbiamo ancora incontrare Juve, Roma, Milan e Lazio e allora ti chiedi dove avrai mai lasciato tutti ‘sti punti per strada, visto che il gioco deve ancora farsi duro davvero, e ti chiedi quanto potrai scendere ancora. Domande retoriche, ovviamente.
La zavorra ti rende anche meno sopportabili le dichiarazioni del miste. Non solo “il Verona dá fastidio a chiunque” (a noi danno fastidio tutte le squadre, quindi perchè fare l’update ogni volta?), ma anche un epico “poi è pure iniziato a piovere” che mi ha fatto sentire piccolo così:  il generatore di risposte di Mazzarri (cioè io) a una cosa del genere manco ci aveva pensato. Ma anche in questo caso è questione di zavorre: ci potresti sorridere, però sei zavorrato e ti incazzi.
Domani ci sará un super vertice con Thohir. E cosa potrá mai succedere? Boh. Siamo tutti zavorrati, come i nostri tre difensori centrali. Ci muoviamo lenti e in direzioni incerte.  E quindi? Recuperemo infortunati e un po’ di forze, troveremo convinzione, magari smetterá anche di piovere. Le squadre avversarie ci daranno sempre un po’ fastidio, ma non si può pretendere l’impossibile.

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L'orgoglio di Mazzarri e il mistero Aristide

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Questo girone di Europa League – diciamolo – ha rotto le palle e quindi ogni discorso tecnico lascia il tempo che trova. Anzi, non serve nemmeno. A Saint Etienne (luogo evidentemente dove non hanno un cazzo da fare) il Calderone era sold out per assistere a un incontro di calcio tra la squadra B dell’Inter di Mazzarri e i padroni di casa reduci da tre 0-0. No, per dire. Molto più interessanti le interviste post partita, in cui si nota un mazzarrismo trasmesso alla truppa, nel senso che tutti hanno parlato di una partita che sembrano aver visto solo loro. Va bene, un discreto primo tempo, ma nel secondo c’è stato l’assalto di una squadra che non aveva ancora nè vinto nè segnato un gol in Coppa, o l’ho visto solo io? Comunque tutto è bene ciò che finisce bene e basterá un punto per qualificarsi. Mazzarri è orgoglioso della squadra e anche questo va bene. Per forza, più che per amore, giocano anche i giovani. Adesso vediamo cosa succede in campionato, perchè in Coppa è troppo facile, non c’è gusto.
Resta un interrogativo. Voglio dire: se al posto di Milito, di Diego Milito, ci avessero mandato il fratello Gaby, cosa sarebbe successo? Niente gol, niente triplete, fino a che qualcuno si sarebbe accorto dello scambio di persona. No, ecco, perchè adesso bisognerebbe avere il coraggio di controllare se sia davvero Nemanja il Vidic che ci hanno mandato, e non il misconosciuto fratello gemello Aristide, identico ma molto meno forte. Aristide Vidic ha giocato nell’ultima stagione nello Sgfryfiuvujink, serie B delle Isole Faroer, ma era finito della lista degli svincolati e si allenava con la Nazionale disoccupati della Groenlandia. Da luglio si sono perse le sue tracce e la coincidenza delle date è inquietante. Un tizio del tutto simile ai Vidic (quindi il gemello mancante) sarebbe stato visto da un turista di Manchester alle Mauritius in compagnia di quattro fighe galattiche. Alla domanda “Damn, you are Vidic, aren’t you?” avrebbe risposto “Yes” e subito dopo “No!” seguito da un enigmatico “Do your dicks, son of a bitch”.

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Generatore di risposte di Mazzarri

Giocare con la difesa a tre. E’ un problema, perchè è il modulo che la squadra conosce di più ma i nuovi innesti non hanno ancora i raggiunto i dovuti automatismi.
Giocare con la difesa a quattro. E’ un problema, perchè è un modulo che adottiamo soltanto sporadicamente e il reparto stenta a raggiungere i dovuti automatismi.
Giocare ogni tre giorni. E’ un problema, perchè non abbiamo respiro.
Giocare ogni sette giorni. E’ un problema, perchè siamo abituati a giocare ogni tre giorni.
La pausa della Nazionale. E’ un problema, perchè si recuperano gli eventuali infortunati ma si perde il ritmo, e poi ho giocatori in giro per mezzo mondo.
Il periodo senza pause per la Nazionale. E’ un problema, perchè a molti giocatori fa bene uno stimolo diverso e non si recuperano gli eventuali infortunati.
Giocare con una sola punta. E’ un problema, perchè si chiede all’attaccante un grande lavoro e serve essere tempestivi negli inserimenti da dietro.
Giocare con due punte. E’ un problema, perchè rinunciamo a qualcosa a centrocampo.
Giocare con tre punte. E’ un problema, perchè ci si sbilancia troppo.
Giocare con quattro punte. E’ un problema, e non solo perchè non ho quattro punte a disposizione.
Giocare con il rifinitore. E’ un problema, perchè rinunciamo a qualcosa dietro.
Giocare senza rifinitore.  E’ un problema, perchè rinunciamo a qualcosa davanti.
Fare tanti gol. E’ un problema, il 7-0 con il Sassuolo ha finito con il condizionarci.
Fare pochi gol. E’ un problema, perchè gli attaccanti si deprimono. Ah sì, beh, è anche oggettivamente più difficile vincere, ma non ne farei una questione specifica.
Arrivare da due vittorie consecutive. E’ un problema, perchè si rischia di perdere la necessaria tensione.
Arrivare da due sconfitte consecutive. E’ un problema, perchè si rischia di venire travolti dalla tensione.
Arrivare da due pareggi consecutivi. E’ un problema, perchè si rischia di non raggiungere la necessaria tensione.
Arrivare da una vittoria e un pareggio / da un pareggio e una sconfitta / da una vittoria e una sconfitta. E’ un problema, perchè i risultati altalentanti non ci danno certezze.
Avere tanti infortunati. E’ un problema, perchè non c’è ricambio e giocando così spesso siamo costretti a spremere diversi giocatori.
Avere pochi infortunati. E’ un problema, perchè al di là del turn over non è facile tenere gli stimoli alti nell’intera rosa.
Restare in inferiorità numerica. E’ un problema, perchè in dieci contro undici è difficile imporre il gioco.
Restare in superiorità numerica. E’ un problema, perchè si rompono gli equilibri in campo e la squadra avversaria, rimasta in dieci, si libera dagli schematismi e di trova nella condizione di moltiplicare le proprie forze.
Avere un rigore contro. E’ un problema, perché è da anni che va avanti così e la squadra ci soffre.
Avere un rigore a favore. E’ un problema, perché non  eravamo abituati a queste situazioni e la squadra ci soffre.
Giocare in casa. E’ un problema, perchè i nostri tifosi sono molto esigenti e in questo momento la squadra – e io stesso – ci sentiamo molto esposti agli umori dello stadio.
Giocare in trasferta. E’ un problema, perchè il clima ostile aumenta la pressione in un momento già negativo.
Giocare in campo neutro. E’ un problema, perchè destabilizza la squadra che non coglie il calore del proprio stadio nè la tensione dello stadio altrui.
Giocare in Europa. E’ un problema, perchè le trasferte sono lunghe e le squadre avversarie sono molto motivate.
Giocare in Italia. E’ un problema, perchè l’Inter è l’Inter e tutti vogliono fare bella figura.
Giocare in Paesi non riconosciuti dall’Onu. E’ un problema, perchè rischi di trovare identità forti che vogliono mettersi in mostra.
Se ti applaudono. E’ un problema, perché poi arrivi impraparato al momento dei fischi.
Se ti fischiano. E’ un problema, perché dal tuo pubblico ti aspetti applausi.
Se ti fischiano all’americana / Se ti applaudono ironicamente. E’ un problema, perché ti distrai nell’interpretare l’umore del pubblico.
Giocare alle 12,30. E’ un problema, perchè è un orario anomalo e si rischia ancora di imbattersi in giornate calde.
Giocare alle 15. E’ un problema, perchè non giochiamo quasi mai alle 15 e rischiamo di trovarci impreparati.
Giocare alle 18. E’ un problema, perchè non è nè troppo presto nè troppo tardi, non sai mai cosa e quando mangiare.
Giocare alle 20,45. E’ un problema, perchè ci guarda un sacco di gente e questa squadra non è ancora preparata a certe pressioni.
Giocare alle 21,05. E’ un problema, perchè non è ancora stata ben chiarita questa cosa dei 5 minuti che rischia di togliere concentrazione ai giocatori più precisi.
Giocare con il caldo. E’ un problema, perchè il dispendio fisico rischia di giocare un brutto scherzo a una squadra come la nostra.
Giocare con il freddo. E’ un problema, perchè la temperatura rigida rischia di giocare un brutto scherzo a una squadra come la nostra.
Giocare nelle mezze stagioni. E’ un problema, vabbe’, questo è noto, la classica situazione che ti frega.
Giocare con le squadre deboli. E’ un problema, perchè la partita con l’inter rappresenta sempre una grande motivazioni per le provinciali.
Giocare con le squadre medie. E’ un problema, perchè non sai mai come prenderle.
Giocare con le squadre forti. E’ un problema, perchè è un problema, diciamolo.
Vincere. E’ un problema, perchè poi ti adagi.
Pareggiare. E’ un problema, perchè è frustrante.
Perdere. E’ un problema, perchè entri in una spirale negativa.
Giocare. E’ un problema.
mazzarri

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Noi, Fonzie e la striscia di schiuma

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Con lo stesso trasporto con cui lo avevo difeso quatto giorni fa da fischi a prescindere epperciò ingiustificati, stanotte lo mando intimamente affanculo, con il mio animo bonaccione messo spalle al muro dalla cruda evidenza dei fatti. De Ceglie è solo un accidente, come il triplice Ekdal di quell’infausto pomeriggio: come un sacco di gente che abbiamo rivelato, rivitalizzato o rianimato – c’è una Storia che parla per noi – abbiamo fatto pescare il jolly a questo ex gobbo che (sei gol in carriera fino a ieri)  ha segnato una doppietta nell’unico modo a lui possibile, trovandosi cioè  del tutto incidentalmente con un pallone tra i piedi in posizione favorevole. De Ceglie è l’ultimo dei problemi. Il penultimo è: come mai – non essendo Butragueno – si è trovato per due volte libero a tre metri dalla porta? Il terzultimo è: come si fa realmente a tirare avanti se in panca hai mezza Primavera? Il quartultimo è: perchè?
Deve essere un problema lessicale, di comunicazione. Se nemmeno perdendo 2-0 a Parma, contro una squadra che perdeva da sei partite, che ne aveva perse otto su nove, che aveva preso tre gol a partita di media in casa (pausa); se nemmeno la sera in cui perdi una partita che, se vinta, avrebbe tenuto a galla i tuoi sogni più eccessivi in attesa che il gioco si facesse duro (Verona, Milan e Roma le prossime tre), ecco, se nemmeno in una sera così ammetti una colpa, l’esistenza di un problema, la criticitá di una situazione, insomma, quando lo fai? Sei come Fonzie quando doveva dire grazie. Non ce la faceva. E tu non ce la fai. Non ce la fai a dire cose, a dirci cose.
Quando ci darai questa soddisfazione? Boh. Nella sera in cui apprendo che anche “arrivare da due vittorie  consecutive” può averci svantaggiato, alzo le braccia. Non posso farci niente, sei più forte. Io ho visto una partita di merda, tu hai visto una supremazia del 65-70 per cento. Mi arrendo. Io sono rimasto ancorato a vecche visioni di questo sport farlocco. Tipo: ok, manca qualcuno, potremmo stare meglio, ma giochiamo con una depressissima ultima in classifica e con tre punti restiamo in zona Champions. Ergo: bisogna vincere. Ergo: ci proviamo. Seriamente.
Non è questione di chi c’è e di chi non c’è, e nemmeno che si gioca ogni tre giorni (basta con ‘sta storia, cazzo). E’ questione di essere così o cosá, e noi siamo cosá. Parma-Inter segna la nostra stagione, ci dá una dimensione, un limite. E’ come la schiuma della bomboletta degli arbitri: arrivate fin qui, ma state dietro. Ecco: siamo arrivati fin qui e ci fermiamo.

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Sliding door

Fossi stato lá, non avrei fischiato. Nel primo tempo, confesso, mi sarei un po’ rotto i coglioni e con il mio vicino di posto all’intervallo avrei imbastito un discorso del tipo “ma dove vuoi mai che andiamo” eccetera eccetera. Ma poi no, ho visto una partita migliore di molte altre, ma molto migliore (no dico, volete rivedere – non dico Cagliari – Fiorentina, Saint Etienne, Palermo eccetera? No, ditemelo che vi faccio arrivare a casa i dvd). Non giocavamo contro nessuno (seconda partita su 9 con squadre della classifica di sinistra) e abbiamo creato un tot di occasioni. Mazzarri mi ha fatto pena, sinceramente. Anche il laser in faccia, santa madonna. Che colpa gli possiamo dare se Palacio si mangia tre gol, se Kuzmanovic ne divora un altro, se arriviamo in zona tiro e non tiriamo? Purtroppo siamo arrivati a un punto di non ritorno: Mazzarri è scarso e ci sta sul culo, stop. Ma nel secondo tempo mi è venuto più logico prendermela con i piedi a banana che non con il mangiatori di bottigliette. È una deriva fastidiosa, come quel laser. Lasciamole fare ai napoletani ‘ste tamarrate e concentriamoci sulle
(a questo punto, mentre scrivevo il post di Inter-Samp 0-0, l’arbitro ha fischiato il rigore e abbiamo vinto. Poi la Juve inculata nel recupero, poi la lettura di una classifica ridiventata interessante… Beh, allora non butto via il post, ecco)
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Anche i Thohir nel loro piccolo si incazzano

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La cosa ha un suo perchè: uscito Moratti dal cda, ci voleva uno che rilasciasse ogni tanto dichiarazioni alla Moratti, e la vacatio minchiarum è stata coperta da Thohir in persona. A Moratti spianavano i microfoni sul marciapiede, a Thohir – nella notte indonesiana, a caldo dopo Cesena-Inter – basta un portale indonesiano per fare una bella infornata di concetti random e consegnare il tutto alla traduzione italiana.
La dichiarazione, che leggo su Gazza.it, è assai interessante. Thohir dice: ho fiducia in Mazzarri ma bisogna affrontare in maniera equa il problema. Ah, quindi è un problema. Poi dice: ci sono tante voci su un nuovo allenatore, noi per l’Inter vogliamo il migliore: Ah, dunque non Mazzarri. Poi va avanti: vedremo nelle prossime due partite, cambiare in corsa non è sempre la migliore soluzione, gli va data un’altra opportunità. Ah, dunque ci ha pensato, dunque c’è un ultimatum.
Ma è una bomba!
Certo, per un presidente interrogato dopo un Cesena-Inter, come dire, una certa dose di ipersensibilitá la si deve mettere in conto. Viva i tre  punti, ovvio, ma che partitaccia è stata? Rischi l’inenarrabile in 11 contro 10, cose da ricordare ne restano poche (quasi zero) e quindi le perplessitá rimangono tali e quali, figuriamoci quelle di un tycoon indonesiano che non ha ancora preso bene le misure. All’ottava giornata, l’Inter ha affrontato sette squadre che stanno nella parte destra della classifica, e questo per me rimane – al di lá di cifre e tabelle – il miglior indicatore del nostro campionato, il parametro con cui pesare i nostri punti e il nostro cammino. Mazzarri ha ormai imboccato una strada immaginifica e alternativa per le sue dichiarazioni post-partita: il capolavoro odierno – rimanere in 11 contro 10 ci ha creato un problema – me lo fa apprezzare sempre di più. Lui o chi gli scrive i testi. Ha fantasia, ha faccia tosta.
Ma gli avranno detto dell’ultimatum di Thohir? Questa cosa dei fusi orari è un casino: tu vai a dormire tranquillo perchè hai vinto a Cesena e intanto ti sfilano la sedia da sotto il culo. Non è mica bello.

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Grazie di esistere

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Grazie Andrea. Grazie per avere risollevato il morale a una societá – a un popolo – sull’orlo della depressione. L’amministratore delegato che smerda il presidente onorario, il presidente onorario che sega l’allenatore, l’allenatore che sfancula il presidente onorario, il presidente onorario che si dimette dal cda con figli e amici, il presidente che è sorpreso ma non si dispiace, il fair play finanziario che ci punta minaccioso, il mercato da vorrei ma non posso no no non se ne parla,  il tutto con un contorno di partite bruttine, brutte, molto brutte o demmerda proprio. Nelle ultime 24 ore avevamo shakerato e servito sul prato di San Siro, tra fischi e lazzi, bestemmie e moccoli, francesi che non si incazzano e interisti che si incazzano, allenatori che dicono cose over the top in confstampa. Ecco, non era facile riaccendere un sorriso e risvegliare l’orgoglio ferito. Ma tu, con una semplice mossa, ce l’hai fatta. E io ti ringrazio a nome di tutti gli interisti. Grazie, grazie, grazie!
Piuttosto, Andrea, sono preoccupato per te. Per voi. Come si chiamerá questa malattia?  Questa cosa che vi prende in maniera ricorrente da circa otto anni? Per dire: freschi di inculata europea, l’ennesima, che oggettivamente è un problema, perchè il tuo – il vostro – primo pensiero restano l’Inter e uno scudetto revocato per le peggio cose una societá avrebbe potuto fare? No, Andrea, voglio dire, io penserei all’Olympiacos e alla classifica del gironcino del menga in cui vi hanno messi. O ripenserei al Sassuolo, o mi concentrerei sulla Roma. Quelle cose lì, insomma, calcio giocato, obiettivi reali, strategie a breve, uno scudetto da inseguire in un campionato con la più farlocca concorrenza d’Europa. E invece no. Perdi con l’Olympiacos e davanti ai soci parli dell’Inter. E’ come se Renzi, presentando la legge di stabilitá in Parlamento, parlasse dell’attentato di Sarajevo o del mancato Oscar a Charlie Chaplin.
Per quanto tempo ancora non vi rassegnerete a farvene una ragione, a non accettare le conseguenze (giá pagate, sofferte, metabolizzate, superate) (altri le avrebbero dimenticate) di una condotta vergognosa e dolosa oltre ogni immaginazione, e a non accettare – lo so, è dura, ma ha un dannato senso – che un modesto risarcimento sia finito nelle tasche della squadra che avete stuprato per decenni? Dopo un’agevolatissima redenzione, dopo una pena scontata velocissimamente, dopo tre scudetti di fila (quelli sì una bella rivincita) (altri se li sarebbero goduti di piú), perchè non pensate alla Roma e all’Olympiacos invece che a Moratti e all’Inter?
Deve esserci un nome per questa rimozione del passato, per questa costruzione di una veritá parallela, per questo meccanismo di autoconvincimento, per questo rifiuto della realtá. Deve esserci un nome e dev’essere pure brutto. Quelle cose che eccitano gli strizzacervelli, che nei processi dividono i periti e determinano la capacitá di intendere e volere. Perchè si fa fatica a realizzare che davvero pensiate le cose che dite e ci crediate ciecamente, e non sia solo un farci più che un esserci, uno studiatissimo meccanismo di provocazione per rendersi antipatici e superiori, superiori a ogni cosa, anche a una veritá storica, scritta, accertata, certificata.
Comunque questi sono cavolacci vostri. Per ora ti ringrazio per averci fatto vivere una serata da interisti, per avere costretto l’Internazionale Fc a partorire (wow!) il più incazzoso e spettacolare comunicato stampa della sua pur lunghissima storia. Siete primi in classifica, siete in Champions, ma la vostra reputazione è precipitata altrove e lá è rimasta, come recita il passaggio più scoppiettante del primo comunicato post-morattiano dell’Inter, che forse è transitata dalla fase “massì, sono ragazzi” a quella “abbiamo le pezze al culo, ma siamo oggettivamente un gradino sopra a chiunque”. Grazie Andrea, ne avevamo un gran bisogno. Ci hai ridato vita, ci hai fatto estrarre il bandierone dai nostri armadi: oh, seriamente, sarai mica un po’ interista?

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Zero (a zero)

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Seratina vagamente apocalittica. La comitiva Moratti che nel pomeriggio lascia il cda, Thohir in tribuna che gioca a Quiz Cross, Mazzarri che dice che il calcio champagne non lo fa nessuno – e quindi perchè dovrebbe farlo lui? – e la squadra che gioca un po’ intristita da se stessa e dal clima che c’è intorno. Dopo 5 partite in Europa League non abbiamo subito ancora un gol, e questo la dice lunga sull’Europa League (nelle ultime tre di campionato ne abbiamo presi 9). Il Califfo avrebbe cambiato il testo: non tutto il resto, ma tutto questo è noia. Lo stadio fischia, sul divano ci si addormenta (oppure, se abbonati Sky, si gira su XFactor). Non siamo ancora tornati all’ora legale e siamo giá a questo punto.
Si fa una gran fatica. Leggiamo che i conti sono al limite delle sanzioni Uefa, vediamo partite che non ci piacciono, abbiamo un allenatore che non sopportiamo più. In più il nostro presidente onorario garante della nerazzurritá prende e se ne va dopo essere finito alla gogna come il creatore del Grande Buco che ci terrá ai margini del calcio che conta per tot anni. Il calcio che conta (sospiro). Quattro anni fa prendevamo a pallate il Bayern in finale di Champions, oggi il Bayern ne fa sette alla Roma e noi facciamo 0-0 in casa con il Saint Etienne e – lo dice il nostro allenatore – va bene così perchè la classifica ci sorride. No, ecco, poi non prendiamocela se ci chiedono di girare su XFactor, bisognerebbe avere gli occhi di tigre e non ce li abbiamo neppure noi indivanati. La classifica ci sorride.
Il sospetto che Moratti si sia dimesso per evitare di sorbirsi Inter-Saint Etienne e andare a vedere “Guardiani della galassia” è forte, quindi evito di lanciarmi in un pippone su Moratti che lascia il cda e quindi bla bla bla. All’atto pratico, mi sembra che tutto questo conti zero o quasi. Il presidente è Thohir, l’allenatore è Mazzarri, i giocatori sono questi (e sei sono allettati) e l’influsso di Moratti mi pare marginale assai in proiezione presente e futura. Mazzarri dice non siamo brillanti. Mai nessuno che gli chieda “scusi mister, così, tanto per sapere, ma riusciremo a diventare brillanti tipo prima di Natale, no, per dire, giusto per figurarsi una scadenza, santa madonna?”
Adesso c’è il Cesena. E non so se ridere, piangere o ordinare gli orociok su Amazon, perchè non ho nemmeno tanta voglia di andare al Carrefour.
 

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Ricomincio da sette

A conti fatti, addì 19 ottobre 2014 e al termine di una partita che ci ha lasciati – diciamo così – un pelo perplessi, l’Inter ha dato il primo vero segno di vita della stagione. Non considereremo vittorie vere quelle dell’Europa League, no? E nemmeno considereremo partitoni le due vittorie in campionato (il mitico Sassuolo e l’Atalanta), in cui la pochezza degli avversari ha superato la nostra eventuale buona vena, no? Bòn, rimarrebbero i due pessimi pareggi in trasferta e le due atroci sconfitte con Cagliari e Fiorentina, intervallati da una partita di Coppa in cui, contro una squadra di incerta nazionalità, cadevamo a turno come pere per i crampi. E così quella con il Napoli, confronto diretto con una delle (ex) favorite del campionato, al netto di cose che sapevamo già (palle stupide  perse da un centrocampo sempre al limite dell’affanno, errori difensivi da rimanerci secchi), è stata la nostra miglior prova. Almeno si è vista la squadra provarci e riprovarci, e recuperare due volte lo svantaggio nell’ultimo quarto d’ora di partita è tutt’altro che banale. Magari ci avessimo messo gli stessi coglioni a Palermo o a Torino, magari avessimo giocato così a Firenze, magari avessimo avuto lo stesso barlume di lucidità con il Cagliari. Magari.
Non saremmo qui, per esempio, ad aspettare il posticipo di stasera (Empoli-Genoa, buahahahaha), per dare l’esatta dimensione della nostra classifica. Stasera ci ritroveremo dietro o alla pari con il Genoa, o alla pari con l’Empoli, e son quelle cose che ti creano l’esatto contesto, you know. Inter-Napoli – un pareggio così ci può stare, aggiungici pure una discreta dose di rimpianto – è la prima partita coerente del nostro campionato. Coerente con le nostre possibilità e le nostre aspettative.  Se ci giriamo indietro vediamo un calendario con le prime 5 partite da red carpet in cui, invece di fare minimo 13 punti, ne abbiamo fatti 8. Vediamo almeno 4 partite (su 7, non male) di merda. Due vittorie (su 7): appunto, siamo nella fascia del Genoa e dell’Empoli, ben ci sta.
Intorno (anzi, sopra) è tutto uno schiaffo morale. Il terzo posto (i primi due non consideriamoli nemmeno più, è stratosfera) è a 6 punti (dopo 7 partite: minchia!): ed è la Samp, mica il Bayern. Il Milan (il Milan!) è 5 punti avanti, col miglior attacco in campionato, una partita in trasferta in più di noi, 11 gol segnati fuori casa e noi 1 (uno). Strama è ancora 4 punti avanti, la Lazio data per morta è 3 punti sopra. Sarebbe bello – meglio tardi che mai, in fondo ne mancano ancora 31) che il nostro vero campionato fosse iniziato ieri, in una partita che recuperi non si sa bene come, in uno sforzo finalmente corale di tirarsi fuori dalla palta. Si tratta di prendere il ritmo e di pensare – come in una maratona – a fare bene un chilometro dopo l’altro, senza guardare se gli altri adesso ti scappano via. Possiamo fidarci? Boh, questa è una domanda che – dopo 7 giornate -richiede troppo sforzo fisico e morale: è una domanda da calo di zuccheri, e gli orociok non posso mangiarli anche fuori partita.
hernanes

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L'orlo della rassegnazione

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Non serve essere interisti da “moriremo tutti” per dire che nel giro di otto giorni siamo passati da un cauto ottimismo all’orlo della disperazione. O meglio – che forse è peggio -: sull’orlo della rassegnazione.  E mica perchè siamo incontentabili o severgnini, ma perchè abbiamo visto cose inequivocabili, cose che hanno un nome e una classificazione. Io mi ero segnato sul calendario il 5 ottobre come prima data spartiacque della stagione,  la partita del transito da una fase al limite del ridicolo (partite con squadre islandesi, ucraine e sassuolesi) a una fase “vera”, che doveva simbolicamente  iniziare a Firenze, campo ostico,  clima ostico, squadra ostica, benchè la squadra ostica avesse iniziato il suo campionato un po’ alla cazzo di cane e che sul suo campo ostico non ci avesse ancora nè vinto nè segnato uno straccio di gol. Com’è andata il 5 ottobre lo abbiamo visto. Il problema è che giá una settimana prima, col Cagliari, le nostre povere certezze avevano giá ricevuto uno scossone da paura. E tre giorni prima di Firenze, a San Siro contro gli azeri, era forse avvenuta la cosa più inquietante di tutte: perchè in teoria può capitare la partita maledetta (Cagliari) e in teoria può capitar di perdere senza alcuna attenuante su un campo ostico (Firenze) (sto concorrendo per il Guinness, categoria “uso spropositato dell’aggettivo ostico”), ma non è possibile assistere impotenti allo  spettacolo di una squadra in preda ai crampi nell’affrontare un qualsiasi Qarabag in una tiepida serata di inizio ottobre.
In pratica, in otto giorni, all’improvviso, dopo un mese e mezzo di serenitá un po’ sovrastimata, ci siamo ritrovati in pieno marasma tattico e in pieno sbando fisico. In pratica, per dare un numero al nostro piccolo disatro, dopo sei giornate abbiamo 10 punti di svantaggio dalla Juve. Cioè, dopo “ostico” a me ora viene in mente di usare in eguale quantitá “merda”.
Tutto intorno è un fiorire di analisi crude, un po’ catastrofiste e molto orientate – appunto – alla rassegnazione. Dovremmo  dunque rassegnarci, a ottobre appena iniziato, a una serie di cose, tutte peraltro molto realistiche:
1) Juventus e Roma sono molto più forti e noi giocheremo un sotto-campionato dal terzo posto in giù con la prospettiva di puntare (ri-puntare) al classico posticino dell’Europa periferica.
2) l’allenatore è questo, non sará mai esonerato perché ha un contratto da nababbo.
3) la squadra è questa, ringiovanita e rimescolata, potenzialmente buona, ma questa è.
Bei tempi quando ci incazzavamo perchè arrivava la pausa per la Nazionale e noi giù a smoccolare perchè ci spezzava il ritmo ecc. ecc. Ora siamo qui a ringraziare il suono del gong perchè permette a noi, stanchi e storditi, senza fiato e disorientati, si ritornare all’angolo e riprender conoscenza in vista del prossimo round. Guardo il calendario incredulo: sì sì, è inoppugnabile, abbiamo appena cominciato. E siamo giá a questo punto?
Sì.
Bene. Guardo la classifica e vedo che, tranne la Fiorentina che abbiamo rianimato noi, tutte le squadre che abbiamo affrontato sono nella seconda metá dalla classifica. Otto punti in sei partite – sei partite di difficoltá medio-bassa – fanno ridere. Gli altri, dico. Non mi rassegno a rassegnarmi a inizio ottobre, ma siamo giá al training autogeno. Prossimi stadi: overdose da orociok e negazione dell’evidenza.

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