Péngschtméindeg

I debiti mi angosciano. Mi ricordo ancora di quella volta che sono andato nel negozio di una nota catena specializzata in elettronica. Obiettivo: comprare il mio primo televisore senza tubo catodico (quindi cosa sarà passato? 15 anni, 20 anni?). Guardo quelli in esposizione, scelgo quello che fa al caso mio per prezzo, numero di pollici, caratteristiche tecniche, anche il colore del profilo. Estraggo la carta di credito ma l’addetta mi ferma con risoluta gentilezza:

“Facciamo il finanziamento”.

“Ma no, dai, pago subito”, faccio io con un fare un po’ alla Briatore.

“No, è in vendita con il finanziamento”

“Vabbe’, ma io glielo pago subito e bòn”, faccio io con un fare un po’ alla Gianluca Vacchi.

“No, è in vendita solo con il finanziamento”.

Mi indica il cartello e realizzo la cosa. Tra l’altro, erano finanziamenti a tasso zero e tutt’ora, a distanza di anni, faccio fatica a capire l’operazione. Me ne andai a casa con il mio televisore piatto con schermo a led, del peso di 15 tonnellate nonostante le contenute dimensioni, e con 12 comodi bollettini con cui pagarlo. Comodi un cazzo, perchè mi toccò andare 12 volte in posta per una cifra ridicola (stiamo parlando di un’epoca in cui o pagavi così o ti arrivava la guardia civile a casa) e ogni volta che tornavo a casa mi veniva voglia di prendere a calci ‘sto televisore di merda, senonchè mi si sarebbe aperta la prospettiva di comprarne uno nuovo con un altro finanziamento, e mi sarei suicidato ingoiando i bollettini. Dopo aver pagato il dodicesimo, volevo dare una festa affittando il castello di Pavia, ma ho soprasseduto. Ricevo tutt’oggi lettere pubblicitarie dall’azienda del finanziamento, anche questa notissima (ah ecco, certo, ho capito l’operazione).

Ascolta “A Cannes siamo o non siamo Allegri?” su Spreaker.

Vabbe’, volevo parlare dell’Inter e dei suoi debiti girandoci un po’ attorno. Da un lato, la presenza dei debiti nel mondo del calcio è nota ai tifosi di qualsiasi latitudine, ordine e grado. Tutti, dal City all’Asd Penarol (squadra di Pinarolo Po, terza categoria pavese), sappiamo di muoverci su una specie di lago ghiacciato: sì, ok, ci dicono di stare tranquilli, ma fino a un certo punto. Dall’altro, che prima o poi questi debiti sia necessario onorarli resta un concetto un po’ più vago. La parola magica è rifinanziamento, cioè altri debiti che ti consentono di tirare avanti ancora un po’ (applicato al mio televisore: invece di pagarlo 1.000 euro in un anno lo pago 4.000 euro in quattro anni. Beh, buono no?) (No). Una volta c’era Moratti che si presentava all’assemblea degli azionisti e appianava tutto. Bei tempi. Non funziona più così da quando non c’è più lui, quindi da un po’.

Per dire: voi eravate sereni in assoluto? Nel bearvi della meravigliosa contabilità marottiana – fare mercati clamorosi in autosussistenza – non pensavate mai, proprio mai, allo sprofondo che comunque c’è dietro? O al fatto che il vostro amato e simpatico presidente manca dall’Italia ormai da quasi un anno e ha celebrato lo scudetto con un video invece che facendosi innaffiare di champagne sul pullman scoperto?

Debbo confessare che a me non dispiace – se non sono io che ci metto il culo, ovvio – procedere un po’ verso l’ignoto. Per esempio: non è fantastico che siamo tutti qui a celebrare la Péngschtméindeg, cioè la Pentecoste, che in Lussemburgo è festa nazionale (cade lunedì 20 maggio quest’anno) e che allungherà così di 24 ore le trattative tra Zhang, Suning e Oaktree magari consentendo di trovare una quadra? La vita ci riserva sempre snodi meravigliosi. Poi chissà, boh. Martedì sera o mercoledì potremmo essere ancora tutti qui agli ordini di Zhang. Oppure potremmo essere diventati proprietà di un fondo, com’è già successo al Milan – mai prendere troppo per il culo gli altri, non si sa mai. Un fondo che si ritroverà in mano un oggetto di grande valore, l’Inter, e quindi se ne occuperà perchè è prezioso e perchè non si deprezzi, non c’è dubbio. E poi lo venderà al miglior offerente, per ricavarne il più possibile. Magari a uno sceicco che finanzia Hamas ma ci prende Bellingham, Foden e Brambilla (è il centravanti dell’Asd Penarol).

Quindi non moriremo tutti, nè ci iscriveremo alla terza categoria (per quanto la trasferta di Pinarolo Po già mi attizzava parecchio). I nostri nemici non si libereranno mai di noi. Ripartiremo per vincere lo scudetto. Però prepariamoci a qualche cambiamento e a qualche notte insonne, a fissare il soffitto. In ogni caso, l’Inter rimarrà sempre l’Inter. Non saranno cinesi in remoto o speculatori all’assalto a toglierci questi colori dal cuore. E Juve e Milan merda, comunque.

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Quale valore

La Juventus comunica di avere sollevato Massimiliano Allegri dall’incarico di allenatore della Prima Squadra maschile. L’esonero fa seguito a taluni comportamenti tenuti durante e dopo la finale di Coppa Italia che la società ha ritenuto non compatibili con i valori della Juventus e con il comportamento che deve tenere chi la rappresenta. Si conclude un periodo di collaborazione, iniziato nel 2014, ripartito nel 2021 e terminato dopo le ultime 3 stagioni insieme con la Finale di Coppa Italia. La società augura a Massimiliano Allegri buona fortuna per i suoi progetti futuri.

Il comunicato della Juve, in un italiano un po’ intorcinato, contiene un passaggio misterioso che l’intera galassia non-Juve avrà colto sin dal primo istante: quali sono i valori della Juventus con cui Allegri si è dimostrato incompatibile? Cioè, la Juve ha dei valori?

Ascolta “A Cannes siamo o non siamo Allegri?” su Spreaker.

Per un po’ mi sono scervellato, poi mi sono arreso. Ore a pensare a questa cosa dei valori e, giuro, non me n’è venuto in mente nessuno. A quel punto sono andato su Google e ho digitato “valori morali: esempi”. Ecco la risposta:

In senso generale possiamo identificare alcuni valori personali che le persone ritengono più importanti nella loro vita. Ad esempio: l’amore, la giustizia, la famiglia, la correttezza, l’onestà, la trasparenza, la competenza, l’entusiasmo, l’umorismo, il rispetto.

Ho spuntato subito correttezza, onestà, trasparenza, rispetto, giustizia (vabbe’, Google non ha colpa: ho fatto una ricerca generica). Resta la famiglia, vabbe’, diciamo che per loro può essere un valore, certo. L’entusiasmo, beh, chi non ce l’ha? Poi rimane l’umorismo. No, non fanno ridere. Quindi i loro valori sono la famiglia e l’entusiasmo – questo, almeno, secondo una sommaria ricerca su Google.

Ascolta “Frosinon Eurovision Song Obelisc” su Spreaker.

No, non sono convinto. Mi affido quindi alla intelligenza artificiale. Vado su Perplexity e chiedo: “Quali valori rappresenta la Juventus?”

Perplexity scrive:

La Juventus rappresenta valori come rispetto, condivisione e inclusione sociale[3][5]. Il club mira a promuovere questi valori attraverso il calcio, raggiungendo i suoi stakeholder a livello globale[3].

Alcuni dei principali valori della Juventus includono:

– Rispetto, fair play e dignità nel vincere e perdere[4]

– Sviluppo dei giovani calciatori non solo a livello fisico ma anche mentale ed educativo[4] 

Combinazione del glorioso passato del club con obiettivi innovativi[4]

Impatto positivo sulla società, specialmente attraverso progetti come Juventus Goals che coinvolgono migliaia di studenti[5]

In sintesi, la Juventus si impegna a trasmettere valori positivi attraverso il calcio, contribuendo allo sviluppo dei giovani e della società nel suo complesso[3][4][5].

Fonti: Transfermarkt, Juventus.com

Praticamente, la Juve è così priva di valori da aver ingannato anche l’intelligenza artificiale: i valori della Juve li decide la Juve stessa. Anche Hitler sicuramente si descriveva come una persona di valore. La mia solidarietà ad Allegri, un wrestler con dei valori: anche noi, come lui, non siamo in linea con i valori della Juve. E benvenuto a mister Montero, un allenatore di valore con dei valori. E viva Bice Valori, un’attrice mai abbastanza rimpianta.

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Cecchini

A un certo punto ho iniziato a empatizzare con il Frosinone, la città di Frosinone, il Frusinate e per estensione con l’intero Lazio, esclusa Roma. Perchè infierire così? (spoiler: infieriamo così perchè fate cagare). Per la serie “Partite che possono capitare solo nei finali di stagione dopo che hai vinto lo scudetto con un mese di anticipo”, dopo l’orribile Sassuolo-Inter ci è toccata anche questa bizzarra Frosinone-Inter, le cui statistiche saranno oggetto di studio da parte dell’Iffhs e di qualche centro studi di antropologia criminale. L’Inter risulta aver subito 15 tiri (cioè, tipo che il City ce ne aveva fatti 5 o 6), molti di più di quelli fatti, 11. E già questa cosa non ci era accaduta spesso in stagione. In più, gli avversari hanno tirato 9 volte in porta contro le nostre 5. Come sia successo che abbiamo vinto 5-0 noi, cioè facendo gol a ogni tiro in porta (mentre il povero Frosinone faceva uno 0 su 9, che nel basket avrebbe previsto la gogna davanti al palazzetto), boh, non lo so e non me lo voglio necessariamente spiegare. Sono quelle cose che vanno lasciate lì, sospese, un po’ eteree, tipo l’esistenza di Babbo Natale.

Ascolta “Frosinon Eurovision Song Obelisc” su Spreaker.

Nel corso del secondo tempo, le telecamere indugiavano sul pubblico e inquadravano gente triste del Frosinone. Bambini, ragazzi, qualche anziano. Ci volevano far passare per gente crudele che infieriva sul corpo dei poveri ragazzi in maglia gialla, ma noi che colpa abbiamo? Cioè, il secondo tempo del Frosinone è stato scandaloso. Con l’assistenza di Thuram, avrei segnato anch’io in contropiede. Magari il gol del 6-0, con la gente allo stadio e a casa che si chiedeva “ma quello lì chi cazzo è? uno svincolato?”. E io sarei andato a esultare verso la panchina, da Sanchez, per dirgli che è proprio vero amigo, i campioni sono così.

Mentre scrivo, in basso a sinistra mi compare la data odierna – 11 maggio – ancora troppo prematura per la qualunque cosa. La partita di ieri sera mi ha riconciliato con il calcio, ma solo perchè l’abbiamo vinta. La rinconciliazione durerà ancora qualche ora, poi puff, svanirà. Ma del calcio non ne posso più. Non si può vincere lo scudetto al 22 di aprile e poi non avere più niente in ballo, non è serio. Fateci fare un Birra Moretti con il Real, un trofeo Berlusconi con il Milan, un Villar Perosa contro Juve A e Juve B tutte insieme, 11 contro 22, vaffanculo, non ci sono problemi. E’ dura andare avanti così.

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Arbitro, tempo!

L’anno scorso abbiamo giocato fino al 10 giugno – bei tempi, cazzo. Dopo Istanbul ci sono stati due o tre giorni di decompressione e poi era già mercato. Non abbiamo avuto tempi morti, diciamo così. Tutta Inter in purezza. Quest’anno abbiamo vinto lo scudetto con cinque giornate di anticipo, poco dopo la metà di aprile (e virtualmente era già vinto da un mese e mezzo), poi abbiamo occupato ancora qualche giorno per la festa. Poi basta, è finita davvero. Purtroppo dobbiamo ancora giocare. Dico purtroppo perchè quando non c’è nulla in palio, non può essere la stessa cosa. Non lo è quasi mai. Un mesetto fa, per dire, mi sono imbattuto sulla diretta Netflix del super-mega-iper match del secolo, l’esibizione Nadal-Alcaraz. Una merda colossale, c’era quell’aria di finto che è insopportabile quando si tratta di sport. Se è finto, non lo si guarda.

Allora, è chiaro che questa squadra che ci ha fatto sballare per nove mesi adesso, per ragioni molto umane, non può giocare queste ultime partite con la concentrazione dei mesi scorsi. Oggettivamente, non è possibile. Chiederglielo sarebbe sciocco, oppure mobbing. Non c’è più energia, non c’è più motivazione. Più che turnover, Inzaghi dovrebbe fare selezione: prendere gli undici che hanno ancora gamba e voglia e mettere in campo una formazione acconcia ai suoi schemi. Sul resto, non possiamo aspettarci molto e non dobbiamo nemmeno arrabbiarci: speriamo che maggio passi in fretta e poi tutti in vacanza, come meritano. Grazie ragazzi, in eterno.

Ascolta “Ceramiche e stretching” su Spreaker.

Ora, aver perso con il Sassuolo, sempre per rimanere a fatti oggettivi, fa girare alquanto i coglioni. Questa aria da ultimi giorni di scuola – quando dici “prof, vado in bagno” e torni due ore dopo mentre i tuoi compagni sono interrogati per recuperare un 5 e mezzo – non dovrebbe aver ragione di esistere in un alcune circostanze, tipo se i tuoi avversari sono la Juve, il Milan, il Real, il City, il Sassuolo. Robe che se si salvassero grazie ai 6 punti che hanno fatto con noi, porca troia, ci sarebbe davvero da incazzarsi. Ma al di là di questa paturnia sassuolese, me ne vado a letto facendo ooooommmmmm e facendo i tifo per il mese di giugno, che arrivi in fretta. Sarò tranquillo solo quando vedrò i ragazzi prendere l’aereo per le Maldive e scomparire per un mesetto. Chi deve rinnovare, rinnovi. Chi deve ritoccare, ritocchi. Vi aspetto in giornate migliori, con le menti riposate e due stelle sulla maglia. Adesso è tutto un tirare a campare che, rapportato ai nove mesi precedenti, fa venire quel sonno malato che ti danno gli antistaminici quando sbagli a contare le gocce.

(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #62, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Cioè, tifate Inter, avete venti scudetti e due stelle: avrete un sacco di argomenti, no?)

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Meritate di vedere in loop Sassuolo-Inter fino all’Ascensione)

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Due dubbi, due destini

Il dubbio è una condizione mentale, nota sin dall’antichità, per la quale si cessa di credere a una certezza, o con cui si mette in discussione una verità o un enunciato.

(tranquilli, ho fatto il solito copincolla da Wikipedia. Se alla maturità fosse uscita filosofia, probabilmente non sarei qui)

“Secondo te Lautaro diventerà un campione?” “No, non credo”. Ricordo perfettamente la domanda e la mia risposta, anche se non ricordo chi me l’ha fatta. Comunque era tipo il 2019 o max inizio 2020, fine Spalletti o primi mesi del Conte 1, Lautaro era arrivato da poco, a me sembrava troppo piccolo e troppo acerbo, anche se aveva fame e si era inserito bene, con ambizione, senza timidezza. Però, però, però.

“Ma Inzaghi, secondo te?” “Eh, lasciamo stare”. Questa invece è tipo del primo trimestre 2023, l’epoca del “avete perso” “eh ma se la sbloccavamo era tutt’altra partita”, o del “Lukaku sbaglia tanto” “eh, ma se ne segnava due adesso eravamo tutti qui a dire grande Lukaku”. Iniziavo seriamente a provare un po’ di insofferenza, il mister mi sembrava fuori fase, la squadra mi sembrava fuori fuoco. Tre-quattro mesi dopo, a momenti vincevamo la Champions.

Ascolta “È qui la festa?” su Spreaker.

Non mi dispiace nutrire dubbi – anzi, Socrate e Hume sarebbero fieri di me. E non mi dispiace dire di aver cannato giudizi, o di averne espressi di troppo prematuri, se poi essere smentito sottintende anche una piccola o grande felicità, come vincere uno scudetto (Lautaro due, nel frattempo) o fare incetta di trofei o diventare una squadra che esprime bellezza. Sono felice di essere smentito dai fatti quando la smentita è positiva, positivissima, magari trionfale.

Il mio distratto vaticinio – “no, non credo” – adesso fa sorridere, per primo me. Ma vorrei conoscerlo quello che avrebbe scommesso la casa sull’esplosione di Lautaro. Un po’ avevo ragione io, in fondo: non era pronto, non poteva esserlo. Si trovò titolare a metà stagione durante lo sciopero bianco di Icardi, una bella occasione ma anche un compito improbo. Dopo, è stata una lenta, progressiva, inesorabile, esaltante crescita. Un pezzo alla volta. Un pezzo ogni volta. In sei stagioni all’Inter, è cresciuto sempre un po’, arrivando all’odierno valore che ormai è elevatissimo. Chissà se ha ancora margini. Magari sì. Quello che ha fatto e che ha avuto, è tutto meritato. E’ anche uno splendido capitano, il migliore del dopo Zanetti dopo il timido Ranocchia, il narciso Icardi e l’impalbabile Handanovic. E’ un capitano col numero 10, con la faccia cazzuta, con l’orgoglio per la maglia, con il gradimento dello spogliatoio. E’ diventato un campione, alla faccia mia.

Ascolta “Figli delle stelle” su Spreaker.

Simone Inzaghi l’abbiamo catalogato come quello delle partite secche, perchè a) è piuttosto vero e b) aveva perso un campionato praticamente vinto, e quindi doveva pagare questo peccato originale di un primo anno all’Inter in cui non ha fatto tutto il possibile, resuscitando il Milan. Nel secondo anno, siamo arrivati a tanto così dal punto di rottura, perchè l’uomo della partite secche ci stava portando avanti nelle coppe, ma con 12 sconfitte in campionato ce ne ha fatte passare di cotte e di crude. E anch’io ho avuto il mio momento di debolezza – sai, quando perdi in casa con l’Empoli e perdi con lo Spezia che fa due tiri e due gol, scusa Simone, ma girerebbero i coglioni anche a un santo. Poi è successo qualcosa, chi lo sa, e abbiamo vissuto nel 2023 un finale di stagione meraviglioso, in uno stato di grazia che poi è proseguito e non si è ancora dissolto. Quando ha potuto plasmare davvero la sua squadra (quest’anno è partito con mezza rosa cambiata), quando si è liberato dei giocatori più malmostosi, quando si è immerso in un clima finalmente e unanimamente positivo, Inzaghi ha realizzato il suo disegno tecnico e tattico. Se questa sia stata l’Inter più bella di sempre è opinabile, naturalmente, quanto lo sono le assurde e appassionanti discussioni sportive – meglio Coppi o Pogacar, meglio Borg o Alcaraz, meglio Fangio o Verstappen? – ma solo il fatto che se ne sia parlato, che si sia aperto un dibattito su un tema così elevato, è il segno di quello che Inzaghi ha fatto in tre anni all’Inter, alla faccia mia.

E ora che il loro futuro nerazzurro è in bilico – firmano? non firmano? – mi sento un po’ come quei genitori quando i figli gli comunicano che se ne stanno per andare di casa. Cioè, gli darei un sacco di baci e gli direi che è giusto così, poi andrei in cantina a piangere come un vitello. Lautaro ha avuto tanto dall’Inter e tanto le ha restuituito, è un giocatore meraviglioso che abbiamo visto crescere e quindi ci siamo goduti dall’inizio alla fine: volesse andare altrove, ne avrebbe facoltà (c’è modo e modo di andare via: Lukaku male, Skriniar male, Icardi male, ecco, basta non fare così). Inzaghi, dopo le sue tre stagioni all’Inter, è nei fatti un allenatore di livello mondiale e prima o poi entrerà nel ristretto club di quei mister che si passano tutti i top club: nella storia dell’Inter quasi tutti i mandati degli allenatori sono stati brevi, del resto.

E visto che siamo qui a purgare gli antichi dubbi e a simulare preventivi attacchi di nostalgia, diciamo che nessuno qui è stufo di Lautaro e di Inzaghi: li ringraziamo di questa meravigliosa stagione, li vogliamo ancora a lungo con noi, il più a lungo possibile. Ci piacerebbe vederli ancora abbracciarsi in mezzo al campo, grati di essersi trovati l’uno con l’altro in una società senza paragoni che ha sede in Milano e si chiama Fc Internazionale.


(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #61, la puntata di tutte le puntate, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Cioè, tifate Inter, avete venti scudetti e due stelle: avete un sacco di argomenti)

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. A volte mi sembra di parlare con degli juventini)

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Classe superiore

Praticamente è andata così: a un certo punto, mi ero autoconvinto che per vincere lo scudetto facesse troppo freddo. Dev’essere una cosa di noi podisti: pioggia più freddo è il peggio che ti possa capitare (il peggio del peggio è: pioggia più freddo più vento) (ma non c’era vento) e niente, mi sembrava una giornata già nata male, una giornata intirizzita, quelle giornate in cui non vedi l’ora di tornare a casa e bòn, un brodino e a letto. Poi ho pensato che era anche lunedì (un tempo, il lunedì era il giorno dell’anti-calcio, il giorno più lontano dalla domenica successiva, una pena). Poi ho pensato che era un derby in casa del Milan, uh, che esagerazione. E tutto insieme mi sembrava troppo. In fondo, che fretta c’era? Lo scudetto è vinto da un pezzo, sono settimane che lo aspettiamo come una cosa già conquistata: mancava solo la data del recapito, la firma sulla bolla di consegna, come certi pacchi di Amazon che quando il corriere non ti trova fanno giri immensi e poi ritornano.

Ascolta “Figli delle stelle” su Spreaker.

Poi quando è iniziata la partita, mi sono detto: vabbe’, ma perchè no? Siamo uomini o caporali? Siamo interisti o milanisti? A cambiare idea mi ha aiutato il Milan, nervoso al limite della crisi isterica fin dal primo secondo, assecondato da un arbitraggio un po’ così – giallo diretto a noi, giallo ogni 15 falli a loro -, un Milan rancoroso, modesto, spaventato, indignato dall’idea di vederci vincere uno scudetto sul loro campo, che poi sarebbe anche il nostro. Il calendario non ti metterebbe mai il Milan o la Juve in una partita-scudetto, a meno che tu non lo possa vincere con cinque giornate di anticipo. Eh, è capitato.

E quindi, alla fine, credo che sia stato il degno finale di un campionato clamoroso. No, dico, pensiamoci bene: lo si poteva vincere, un campionato giocato e dominato così, il campionato numero 20, il campionato della seconda stella, col Torino o il Frosinone? No dai, ci voleva il colpo di teatro. Lo abbiamo avuto. Ce lo meritavamo. Tutto il campionato è stato un colpo di teatro. Se potessimo essere tutti un po’ neutrali, noi tifosi, sono certo che tutta Italia avrebbe goduto dello spettacolo che abbiamo dato per tutto l’anno. Ma è ovvio, se i tuoi avversari giocano così, tu magari abbozzi ma mica ti metti sereno sul divano con un mastello di popcorn. Ti rodi il fegato, ecco. E quindi abbiamo sulla coscienza milioni di fegati.

Milan-Inter non ha detto niente sull’Inter che già non avessimo visto o vissuto. Era una partita strana, rara, unica, senza precedenti. Valeva un solo risultato e lo abbiamo ottenuto. Abbiamo vinto lo scudetto e abbiamo raggiunto la seconda stella vincendo un derby (in trasferta), il sesto consecutivo. Si chiama strike.

E’ il giorno della festa. Tutti ci hanno messo il loro mattoncino, a tutti abbiamo imparato a voler bene. Dovessi scegliere a chi offrire una birra, dico Inzaghi. Per lui è il più bel giorno della carriera, 13-14 mesi fa l’hashtag #inzaghiout rimbalzava sinistro in rete e tra le nostre chiacchiere. Nel frattempo, ha vinto (nell’ordine) una Coppa Italia, conquistato una finale di Champions, vinto una Supercoppa, vinto uno scudetto. Sul podio se la giocano Calhanoglu, Lautaro, Barella e chi volete voi. Ma per me il campione è lui: da #inzaghiout all’Inter (forse) più bella di sempre il passo è stato breve e il merito è tutto suo.

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Campioni, bi-stellati, bellissimi

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La (abbastanza) grande attesa

Se fosse solo una questione di numeri (5-0 gli ultimi scontri diretti, 12-1 i gol) o di classifica (14 punti di vantaggio, +60 e +26 le rispettive differenze reti, no, per dire) o di status (noi belli, loro brutti e stanchi) o di allenatore (noi il Demone angelico di Piacenza on fuckin’ fire, loro il Rancoroso pretino di Parma dead man walking), si tratterebbe solo di scegliere il ripiano del frigo dove mettere in fresco lo champagne o di darsi appuntamento alla tale ora al tal punto con l’autista del pullman scoperto. Ma naturalmente è un derby, la classica partita che – ti piaccia o no – spesso rimescola le carte, secondo quella regoletta immateriale a cui fai ricorso quando sei indietro o che ti agita il sonno quando sei davanti.

Ascolta “In ordine alfabetico” su Spreaker.

Poi c’è quella cosa lì dello scudetto e della seconda stella. Ecco. In fondo – senza la questione stelle, e senza la questione scudetto, sarebbero soltanto novanta minuti di una partita di calcio, che se non fosse un derby la Snai ci darebbe per iper favoriti, che se non fosse una trasferta non ci sarebbero problemi (che poi, scusa, che problemi abbiamo mai avuto in trasferta?). E quindi alla fine ricapitoli: dunque, se ho capito bene ci giochiamo scudetto e stella in un derby in casa del Milan. Giusto?

No, vabbe’: non è meraviglioso?

Per fortuna il calcio ci offre ancora questi snodi di destino e queste robette di storia, di bandiere, di sudore, di sangue, sennò sarebbe una cosa noiosissima, che una qualsiasi intelligenza artificiale confezionerebbe a uso e consumo del popolino. Detto questo, non ci trovo nulla di paragonabile all’attesa delle semifinali di Champions di un anno fa. Allora sì che c’era da impazzire. Stavolta, francamente, no. E’ “solo” un derby con una strana posta in palio. Farebbe piacere doppiamente vincerlo. In caso contrario, la posta in palio si sposta di 5 giorni più in là. Per il Milan, conta così tanto vincerlo? Sarebbe giusto per farci un dispetto – ci sta -, mica per salvare una stagione. E per noi, conta così tanto perderlo? Ma no, cosa vuoi che conti? Poi ci mancherebbero 5 partite con 11 punti di vantaggio (sbadiglio). Sarebbe giusto quell’incazzatura per un dispetto (epocale) che non facciamo ai cugini, chissà quando ci ricapita.

E quindi?

E quindi vinciamolo. Sarebbe una storia da raccontare, un giorno: “Oh, ti ricordi quando abbiamo vinto lo scudo in casa del Milan? Figata!”. Ne abbiamo già tantissime, di storie, ma una in più non fa mai male. Mi arrivano sul telefono i video da Appiano Gentile, c’è un sacco di gente (migliaia, a Milanello erano in 50) non che non vede l’ora. Ah beh, nemmeno io. Vinca il migliore. Forza Inter.

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(No) Nasti boy

Stavi tanto bene al naturale, non capisco perché rifarsi così il seno.

“Perché per quanto mi riguarda le bocce grosse sono belle. De gustibus, non vedo l’ora di rifarle nuovamente”.

E’ pomeriggio, faccio zapping tra Sassuolo-Milan, Liverpool-Crystal Palace e Tsitsipas-Ruud – quelle tipiche situazioni in cui poi a un certo punto a) ti vergogni b) non capisci un cazzo di nessuno dei tre eventi – e intanto guardo il sito della Gazza (quindi, riassumendo, sto facendo quattro cose) (per noi maschi è un vanto). E’ qui che mi imbatto in un’interessante intervista di ben due domande a Chiara Nasti, moglie di Zaccagni. Anzi no, non è un’intervista: è una selezione. Cioè, vengono riportate due domande fatte dai follower alla loro influencer preferita (l’altra domanda era: avete scelto il nome della piccolina?).

Ascolta “In ordine alfabetico” su Spreaker.

Cioè, riassumendo: il più importante e storico giornale sportivo italiano, nella sua sezione Golssip (voglio morire), copia due botta e risposta su Instagram e ne fa un articoletto dal titolo “Chiara Nasti: “Seno rifatto? Per me grosse sono belle. E mia figlia si chiamerà…”. La Gazza. Le bocce grosse sono belle. La Gazza.

Ma perchè dico questo?

Perchè stiamo tutti cazzeggiando. Noi e la Gazza. La Gazza, non so perché. Noi, perchè è umano. L’ho già detto e lo ripeto: assegnateci lo scudetto, è solo un pro forma. Noi ci impegniamo a mandare in campo la migliore squadra da qui alla fine. Ma voi dateci lo scudo. Perché stiamo perdendo tempo? E’ tutto così deciso che un calo di testa – che poi si ripercuote anche sulle gambe – è il minimo che possa accadere. Cioè, oggi abbiamo influito nella lotta per la salvezza. Fossi nel Frosinone, farei ricorso: “Assegnate lo scudetto all’Inter per una maggiore regolarità del campionato”. Magari ci pensa il Codacons.

Ascolta “Il casello di Agrate” su Spreaker.

Oggi ho visto due partite molto umane. Molto scoccianti e molto umane. Il Liverpool, dopo averne superate di ogni in Premier da inizio campionato – vittorie impossibili, gol al 99′, partite portate a casa nonostante dieci infortunati, un allenatore che ha già detto che se ne va perché non ce la fa più – adesso si sta incartando su se stesso a pochi passi dalla meta. Noi possiamo permettercelo, loro no. Ma l’origine dell’incartamento è la stessa, è la testa che a un certo punto recalcitra. La loro, per troppa pressione. La nostra, per troppo poca. Quando le vinci quasi tutte, è normale. E’ umano.

Avevo titolato il pezzo di Udinese-Inter “Belli, sporchi e cattivi” perché così eravano stati fino all’ultimo istante della scorsa partita. Oggi, col Cagliari, siamo stati belli a piccoli tratti, sporchi quasi mai, cattivi ancora meno. L’indugiare sulla nostra bellezza, l’iniziare intimamente a festeggiare in anticipo, diventare troppo puliti e troppo buoni, sono cose che non puoi permetterti quando dall’altra parte hai una squadra che gioca con una certa urgenza di punti.

L’urgenza di punti l’avremmo anche noi – quelli per vincere lo scudetto -, però tutta ‘sta mosceria di questo mega vantaggio e della diretta avversaria che ne prende tre a Sassuolo, ecco, alla lunga ci ammorba.

E comunque – giusto per essere un po’ cattivo, almeno io – il gol del 2-2 non era da annullare? Il fallo di mano sarà anche stato involontario, però ha influito sull’azione, porca puttana se ha influito. Forza Inter. Voglio andare al mare.


(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #59, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Cioè, tifate Inter, state per vincere il vostro ventesimo scudetto: avete un sacco di argomenti)

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Siete cripto-milanisti? No, chiedo)

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Belli, sporchi e cattivi

Quando vinci al 95′, il giochino del “cosa avresti scritto se” è molto realistico. Io, per esempio, fosse finita al 94′ avrei scritto che era un peccato – quasi un mistero, un mistero buffo come il gol che abbiamo preso – non aver vinto una partita in cui tu fai 16 tiri e gli altri 2, in cui tu fai il 78% di possesso palla e gli il 22%, in cui tu tiri 8 corner e gli altri 0, che queste cifre autorizzano a parlare di sfiga, e autorizzano anche a non farsi troppi film e troppe seghe mentali sulla partita, sul momento, sulle prospettive, niente, è andata così perchè ogni tanto le cose vanno così, pace, vinceremo lo scudetto una settimana dopo.

Poi, al 95′, abbiamo segnato.

L’esultanza tra campo e panchina, dolcemente esagerata, ha detto tutto. Ha detto della voglia che abbiamo, della fatica fatta per questa vittoria (la 26esima in 31 partite: ragazzi, godiamocela, chissà quando ci ricapita), dell’attesa squassante di una festa e di due stelle che non vediamo l’ora di poter mostrare all’Italia e al mondo intero.

Ascolta “Bitti o bitto?” su Spreaker.

Non era facile tornare da Udine con tre punti, con tutta ‘sta pressione, tutta ‘sta stanchezza, e con tutta la disperazione che ci ha messo l’Udinese per cercare di uscire indenne dal confronto. Le statistiche dipingono l’intensità della nostra partita. Certo, non dicono tutto su qualche passaggio a vuoto, qualche distrazione e qualche imprecisione, perché un pochino di annebbiamento ogni tanto lo proviamo. Non sono tutti in formissima, i nostri. Ma il meccanismo gira ancora bene nel complesso: crea, promette, realizza. Vince.

Due gesti:

Frattesi (come in Inter-Verona) la risolve in pieno recupero, arrivando per primo (e per distacco) su un pallone vagante. Non giocando quasi mai da titolare, è al settimo gol stagionale. Si conferma per quello che ci aspettavamo fosse, però giocandosi tutto negli spicchi di partita che gli vengono concessi. Ha sposato la causa con grande serietà. E’ una delle piacevoli sorprese di questa meravigliosa stagione

Mkhitaryan ha evitato il secondo gol dell’Udinese con un recupero pazzesco, preciso, chirugico dopo quaranta metri di corsa. Ha 35 anni e tre mesi, è il giocatore di movimento più schierato da Inzaghi (sempre, raramente sostituito). Al mister gli puoi togliere quasi chiunque. Lui è uno di quelli che mette sempre. Vivere una stagione in perenne stato di grazia a quell’età è un piccolo miracolo che andrebbe sempre celebrato.

Volendo, siamo ancora in corsa per tutti i record possibili. Il record di punti assoluto e il record di punti nostro. Stiamo volando a quote così alte che nemmeno le gufate sono più così convinte, si disperdono nell’atmosfera. La partita di Udine – a parte un gol grottesco, lo scambio di sguardi tra Sommer e Dumfries sono quelle cose che vedi al campetto – ci dice che siamo ancora belli e, se serve, possiamo essere sporchi e cattivi. Manca poco, manca sempre meno. Grazie Inter.


(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #58, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Cioè, tifate Inter, state per vincere il vostro ventesimo scudetto: avete un sacco di argomenti)

(il podcast , oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Meritereste di essere legati a una sedia con un podcast sulla Juve in loop nelle vostre cuffie. Poi vediamo come va a finire)

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