Stipsi (produrre poco, vincere di culo)

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Sintetizzando: giocato male (primo tempo,  ha detto l’Oms, da vietare a depressi e narcolettici), vinto di culo (difesa Zelig sul nostro gol, il Destro-Handa al 93′ non va così 99 volte su 100), primi in classifica (temporary, but oggettively).
Praticamente stiamo diventando un caso globale. Sul come una squadra possa avere 21 punti avendo segnato 10 gol, giocando generalmente demmerda e comunque mai più di un tempo a partita sta dividendo il mondo accademico e sportivo in mezzo mondo. Sul numero di novembre di Science uscirá un articolo di Adrian Bacon dal titolo “The art of victory playing at dick”, mentre Christopher Nolan ha annunciato che sta pensando a un film su di noi, “anche se la trama di Interstellar era molto meno complicata e quindi devo vedere”.
Ancora non sapeva, Nolan, che il quadro sarebbe diventato ancora più imperscrutabile. Non sapeva, per esempio, che giochiamo meglio in dieci. O che vinciamo le partite giocate peggio. O che abbiamo la miglior difesa del campionato che però concede almeno un’occasione colossale a partita e spesso la sfanga tipo stasera, quando il giovin attaccante più involuto d’Italia viene servito elementarmente al centro dell’area per un tiro al volo che gli viene troppo bene e – sfiga – colpisce in pieno il portiere che aveva scommesso sulla direzione giusta.
Io amo l’Inter anche per questo. Fosse finita 0-0 (risultato giusto per una partita da bassifondi del football), o 1-1 (risultato giusto se Destro l’avesse presa solo un pelo più sporca), adesso saremmo tutti qui a disperarci sul futuro, a fare una risonanza transcranica al Mancio, a pesare i 22 testicoli in campo, a valutare il tasso tecnico con l’aiuto dei numeri relativi, eccetera eccetera.
Invece siamo primi. E domani sera, comunque vada, secondi. E, probabilmente, ci prepareremo a un imminente partitone prima-seconda.
Cioé, tutto ciò è spiazzante. Ma bello. Valichiamo la decima giornata in posizione ancora molto favorevole a nutrire ambizioni. Ci aspettano 3 partite complicatissime su 4 (Roma, Torino e Napoli, l’altra è il Frosinone) e ci arriviamo non avendoci ancora capito un cazzo. Mettiamola cosí: non possiamo che migliorare. Devo averlo giá detto, sí. E nel frattempo non siamo migliorati per una sega di niente. Ma vuoi mettere? Io firmerei per altre 10 partite cosí (6 vinte, 3 pareggiate, 1 persa). Anzi, firmo subito: avete un modulo?

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Sfiga

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Facciamo finta di non aver visto il primo tempo (come chi – fortunato lui – s’è abbioccato sul sofà) e passiamo direttamente al secondo (una pratica già frequente all’epoca del Mancio-1 e financo di Mourinho, giocare “davvero” solo per 45 minuti, con preferenza per i secondi).
Ecco, quindi cosa resta da dire?
Potremmo anche sforzarci e inventare qualche disamina molto profonda, tipo Bacconi davanti alla lavagna supertrendy. Oppure no, niente spremuta di meningi, e limitarsi a guardare in rapida successione il gol del Palermo – un gol di culo, un gol praticamente a sua insaputa – e, a puro  titolo di esempio,  l’azione di Guarin: tiro da fuori, deviato, il portiere sale e pepe che ci arriva lo stesso per un pelo e la tocca, traversa, fuori. Come il giochino della Settimana Enigmistica: notate delle differenze?
Io penso, serenamente – al netto del primo tempo da suicidio collettivo con l’ausilio di una setta giapponese compiacente, e al netto di un’espulsione ridicola – che difficilmente una squadra che gioca, crea, fa e disfa come l’Inter del secondo tempo non vince la partita. A noi è capitato di non vincerla, e quindi cosa facciamo? Niente, aspettiamo fiduciosi la prossima. Nella mia tabella avevo segnato 6 punti (in subordine 4) nella doppia trasferta Palermo + Bologna. Siamo già entrati nel piano B, quello del subordine. Non riesco a prendermela con nessuno, se non con una sfiga cosmica che speriamo prima o poi di recuperare, in culo a quelli che dicono che siamo una squadretta fortunata e frufru.

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La politica delle piccole cifre

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Volendo accontentarsi almeno di qualcosa, io mi accontento di essere (ri)diventato piacevolmente ingordo: rimirando la classifica dopo le partite del pomeriggio, sognavo il filotto, il bingo, l’ambo secco di una vittoria con i gobbi e di una vetta riconquistata mentre dappertutto si continua a parlare di squadre che non ci stanno davanti. E alla fine ho smadonnato a effetto domino, anche se è giusto così – un tempo ciascuno, un palo ciascuno – e si può andare a dormire con la coscienza abbastanza a posto.
La Juve al completo è più forte di quella con Padoin regista, e noi siamo stati più sfigati del Frosinone e ci siamo beccati la Juve al completo. Ma non c’è problema, non li abbiamo battuti ma abbiamo fatto un notevole upgrade rispetto ad alcuni recenti precedenti: non siamo stati inferiori, che era una sensazione insopportabile. Ce la siamo giocata, poteva andare meglio ma un pari con la Juve ci sta.
(secondo me il grado di anzianitá di una persona si misura dalla frequenza con cui usa la formula “ci sta” in relazione a una non-vittoria)
Bòn, non ho più niente da dire su questa partita. Anzi no, una cosa ci sarebbe, e si infratta dritta dritta nel filone del “Io sono io e voi non capite un cazzo”. È questa: perchè fare due cambi al 91′ quando si poteva farli mooooooolto prima, con l’obiettivo di mettere forze fresche dove più si soffriva e provare a rompere i coglioni ai gobbi e a far mangiare meno orociok ai supporter?
(Il Mancio è diabolico: dopo che ha piantato per bene i suoi paletti concettuali, alle sue pensate non è più possibile reagire con dei vaffanculo di default, ma si è tutti costretti a chiedersi “cos’è che io non capisco e invece lui sì?”)
Ricapitolando. Siamo secondi, per effetto di 5 vittorie nelle prime 5 e di due punti nelle successive tre partite (due in casa, mannaggia) che costituivano il mini-ciclo in cui si alzava l’asticella delle difficoltá. Ecco, diciamo che nel mini-ciclo Fiorentina-Samp-Juve non è che abbiamo proprio brillato, anche se a Genova abbiamo rimontato bene e con la Juve al completo abbiamo giocato alla pari. Resta l’inculata con la Fiorentina. Anomala, dice il Mancio. Anomala ma inculata, dico io. Vabbe’, punti di vista.
A essere stabilianti sono le cifre. Siamo secondi con la miglior difesa, 6 gol, di cui 4 presi nelle stessa partita (quindi cinque volte inviolati). Siamo secondi con uno dei peggiori attacchi, 8 gol, uno a partita, una miseria, solo quattro squadre peggio di noi, e tre di queste sono quartultima, penultima e ultima.
Ecco, non so cosa suggeriscano queste (piccole) cifre, ma a me suggeriscono una cosa che riguarda sempre la piacevole ingordigia di cui sopra: che possiamo migliorare. E poter migliorare dall’alto del secondo posto, come dire, è una bella cosa.
Adesso ci aspettano tre partite in otto giorni. Due trasferte – Palermo e Bologna – che una grande squadra, o almeno una squadra che se la vuole giocare, dovrebbe sapere/volere capitalizzare. E poi la Roma a San Siro. Ecco, facciamo che ci risentiamo dopo Bologna. E poi, a stretto giro, dopo Inter-Roma. Sará l’undicesima giornata, e le piccole cifre avranno un’altra fisionomia. E la fisionomia gliela dobbiamo dare noi. Solo noi.

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Il Mancese del Grillo

E’ pieno di marchesi del Grillo, nowadays. Calderoli lo ha citato alla lettera in Senato, parlando di Grasso, e Mancini lo ha di fatto evocato in conferenza stampa, parlando di se stesso: loro sono loro, e gli altri non sono un cazzo. Il Mancio è stato chiaro: si è strarotto i coglioni di gente attorno che critica le sue scelte, la sue formazioni, la sue bizzarre pensate: tutta gente – oh, ha detto proprio così – che non capisce una fava di calcio, compresi gli ex calciatori. Io, in qualitá di ex casellante, potrei al limite scrivere dei post su quanto è cara l’autostrada in Val d’Aosta, o su quanto cavolo ci stanno mettendo ad allargare il raccordo di Bereguardo. Sul centrocampo dell’Inter posso tuttalpiù esprimere un’opinione, rassegnandomi al fatto che possa essere condivisa o meno dal volgo, ma che – secondo il teorema del Mancio – è una cagata a prescindere.
No, cioè, mi ha messo in soggezione. Quindi cosa cazzo scrivo? Oppure me ne fotto: scrivo cose che so essere a perdere, o che vanno a incasellarsi direttamente tra le minchiate, e non mi offendo. Massì, farò così. Quindi ci metto il disclaimer: tutto quanto segue è frutto dell’opinione personale di uno che non è nato a Jesi, non ha il ciuffo sale e pepe con riflessi dorati e non ha mai giocato in serie A. Ergo: uno che non capisce un cazzo.
Vabbe’, senza offesa, dico che siamo tornati nella normalitá. Come concetto positivo, voglio dire. Considerato in linea teorica, un pareggio a Genova con la Samp è un risultato che ci sta. Per cui, su sette partite l’unica vera toppata resta quella di sette giorni prima, per sanguinosa che possa essere stata. A Genova, piuttosto, non mi è piaciuta l’oretta di Subbuteo a cui ho assistito: se giochi trotterellando come i trentatrè trentini, gli altri è facile che ti inculino (parere rozzo e personale, del resto faccio parte dei 59.999.999 che ci capiscono poco). L’unico che sembra avere un’idea anche atletica del calcio (del tipo: rincorro per 60 metri l’avversario senza chiedere un premio ad hoc tramite il procuratore) è Perisic, e quindi sono contento che abbia segnato.
Lassù qualcuno ci ama: non vedevo un essere umano sbagliare un gol giá fatto dai tempi del campetto, quando un mio amico tirò alto da mezzo mezzo metro a porta vuota tra lo sconcerto generale. Grazie Correa per questo dejavù. Forse l’Inter brutta e cinica delle prime cinque giornate ne avrebbe approfittato per vincere – era un segno divino, diciamolo -, mentre l’Inter brutta e cinica di oggi (diciamo così perchè non capiamo) non ha approfittato della congiuntura positivissima e il gol lo ha preso.
Comunque abbiamo rimediato e portato a Milano il culo ancora discretamente tonico. Siamo secondi, ma per il resto d’Italia siamo giá scomparsi da tutto – classifica, pronostici -, non esistiamo più – si parla solo di Fiorentina, Napoli e Roma, e di una Juventus risorta e rilanciata (io la vedo sempre a destra in classifica, ma forse non ci vedo un cazzo) – e pur non capendoci un cazzo mi sento di dire: cazzo, meglio così.
(mi scuso vivamente per l’eccessivo ricorso a ‘sto cazzo)
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Handare male

Non c’è solo la colpa oggettiva di averci fatto perdere la partita, o comunque di non avercela fatta giocare ad armi pari. C’è un’altra pesante responsabilitá ascrivibile
(ora, senza polemica, ditemi voi in quale altro blog di stampo non giuridico si usa l’aggettivo ascrivibile)
a Samir Handanovic, e cioè quella di averci negato la possibilitá di vedere come sarebbe andata a finire. Cioè, quale sarebbe stato – al netto di un pirla che provoca un rigore dopo 3 minuti e poi fa un paio di altre micidiali coglionate nella successiva mezzora – il risultato di Inter-Fiorentina secondo una sola variabile impazzita: le pensate del Mancio.
Ecco, non lo sapremo mai. In 11 contro 11, e con un portiere in serata normale, come sarebbe finita Inter-Fiorentina con (o nonostante) le trovate tecnico/tattiche del nostro brizzolato e ciuffettoso entrenador?
Il quesito è inquietante. Certo, non come “e se Lee Oswald non avesse ucciso Jfk?” o “e se Juve-Inter di Ronaldo e Juliano l’avessi arbitrata io?”. Ecco, non a questi livelli. Però ammettiamolo, il quesito è interessante. Cosa diamine sarebbe mai successo domenica sera a San Siro in una normale dinamica di partita, e cosa cazzo avrá mai portato Mancini a inventarsi quelle trovate dal gusto un po’ così, un po’ dolciastro e un po’ aromatico, tipo una canna lunga mezzo metro?
Rimarremo per sempre con il dubbio.
Al di lá delle singole disposizione tattiche (che presa una a una sono ampiamente discutibili) (ma io faccio l’ex casellante e lui fa l’allenatore, quindi avrá ragione lui, mi dico), c’è una faccenda sulla quale non mi do pace: perchè l’allenatore di una squadra che ne ha vinte 5 su 5 cambiando pochissimo, ecco, voglio dire, perchè all’improvviso fa il creativo?
Cosa c’è di peggio per una qualsiasi squadra di andare a giocare in casa di un’avversaria che ne ha vinte 5 su 5? Perchè improvvisamente è la squadra che ne ha vinte 5 su 5 a doversi adattare all’altra, a prendere contromisure quasi goffe (aumentare i centrali nel momento in cui ne hai due in meno, mettere un attaccante a fare il terzino su un avversario di presunta pericolositá)?
Ecco, la cosa di Perisic mi ha fatto impazzire. Lo metti a fare il terzino contro un “avversario pericoloso”, e poi ti lamenti? Ma figa, il giorno che giochi contro Cristiano Ronaldo o Bale cosa fai, metti sulla fascia dei newjersey, un autovelox, un fosso con i piranha, un cecchino, un drone, Montero e Pasquale Bruno, una tagliola, del filo spinato, una corsia saponata e qualche mina antiuomo?
Comunque, cazzo, non lo sapremo mai. Ed è tutta colpa tua, zuzzurellone sloveno.
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Ilicic Kalicic Titanic

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No, il disastro è che abbiamo buttato via così il nostro primato e… Ah, siamo ancora in testa? No, ecco, quanto scoccia aver permesso a Milan e Juve di recuperare così tre punti e… Ah, hanno perso anche loro?
Ma allora, allora non è successo niente.
Beh, quasi niente. È l’effetto Sassuolo al contrario (che io, sia chiaro, a livello teorico ci metterei dieci firme: non una, dieci): lo scorso anno vincevamo una partita 7-0 e poi ne buttavamo nel cesso a iosa, mentre quest’anno ne vinciamo cinque con un gol di scarto e ne buttiamo nel cesso una. Con questa media si vince lo scudo con dieci punti di vantaggio, per dire.
Non la voglio fare così facile ma nemmeno disperarmi più del necessario. Mezz’ora da incubo può capitare. Prendere tre gol con due tiri può capitare. Poi, ovviamente, andando un po’ più nel profondo la galleria degli orrori si allunga, e pure quella delle preoccupazioni e delle perplessitá. Grossi casini, immani cazzate, errorini a strafottere, strane pensate di Mancini: dipende tutto dalla stupidata di Handanovic dopo tre minuti? Tutto tutto?
Io, con quattro pere sul groppone, mi adombro ma voglio pensare positivo: l’Inter è sempre in testa e forse una tranvata del genere può avere un suo perchè, giusto per far capire che i sogni non si conquistano di default ma vanno sudati, e giusto per far capire a tutti – da Mancio al magazziniere – che nulla arriva per caso, nemmeno queste catastrofi della domenica sera. Intorno cambia la geografia del campionato, le favoritissime lottano per non retrocedere, le favorite vanno a fasi alterne, le attuali battistrada non si sa se dureranno. Tutto ciò è bellissimo, dopo aver visto per quattro anni la tv in bianco e nero. Barra dritta e pedalare, vincerne cinque ti consente di gestire con una relativa disinvoltura la batosta alla sesta. Il mio modesto consiglio è: vinciamone altre cinque, è la via giusta, giuro.

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Partitina dopo partitina

Appartengo, relativamente ai fatti delle ultime 72 ore, alla corrente degli Interisti Tifosotti Avventisti Mughiniani del Settimo Giorno. Ecco, insomma, Mughini ha sostanzialmente ragione quando parla di noi: avevamo vinto  4 partitine e adesso, partitina dopo partitina, abbiamo vinto la quinta. Partitina. La quinta su cinque. Quello che Mughini ha omesso di dire è che tutte le cosiddette grandi, o presunte favorite, hanno giocato quasi solo delle partitine. Le non-partitine finora sono state due (Roma-Juve e Inter-Milan), e per il resto tutta la fuffa che può offrire questa insopportabile Serie A a venti squadre.
La Juve, Roma a parte, ha giocato partitone? Ma mi faccia il piacere: nel suo ormai consolidato far ca-ca-re, in 5 partite ha addirittura affrontato tre squadre che la seguono in classifica. No, dico. Eppure è riuscita nell’impresa di fare 5 punti, un punto a partita. Noi invece ne abbiamo fatti tre a partita, e non starò qui a vantarmi delle vittorie con l’Atalanta (che peraltro ha gli stessi punti della Juve, e una partita in meno), il Verona o il Carpi, ma il Milan è pur sempre il Milan e il Chievo ha il doppio dei punti della Juve. Per dire, eh?
Partitita dopo partitina, un golletto di scarto ogni volta (6 fatti, 1 subito,  saranno pure cifre sommarie e premature ma non sono cifre banali), l’Inter se ne va, resta davanti a tutte e si prepara al big match con la seconda. Nel frattempo archivia una partitina ricca di simbologie. Tipo che il Verona fa un contropiede e prende una traversa clamorosa, e che nel minuto successivo, invece di cambiare il pannolone, andiamo a segnare il gol della vittoria con l’uomo più preso di mira degli ultimi tre giorni nel mondo intero, ed ex juventino.
Qualche minuto più tardi, un tizio toscano col cognome francese, che quattro anni e mezzo fa era ancora al Pavia e ora giuoca nel Frosinone, la mette in mischia in calcio d’angolo. Alla Juve. A Torino. Al novantaduesimo. Era una partitina, volevano vin-cer-la, e invece l’han presa nel culo.
Ecco, le partitine son finite. Ne abbiamo avute un tot e le abbiamo vinte tutte (un’enorme sostanziale differenza rispetto alle ultime stagioni). Ora cominciano le partite vere e le affrontiamo da una posizione privilegiata, con l’animo leggero e un discreto entusiasmo. Che di per sè son tutte cose che fanno la differenza. Ora la questione è solo una: dimostrare a Mughini che di noi non capisce un cazzo.
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(nella foto: scusa Melo, ma metto Blanchard)

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Quei fottuti geni della Pixar

A noi giovani padri degli anni ’90 e seguenti, la Pixar ha salvato la vita. Poteva essere un periodo denso di cenerentole, bianchenevi, cariche dei centouno, cerbiatti, topi e gatti vari – un periodo difficile-, e invece no, siamo stati graziati e ci si è aperto un mondo. Quando uscì Toy Story, la novitá fu interessante: si passava a un’animazione computerizzata, tridimensionale, tremendamente innovativa (c’era di mezzo Steve Jobs) e questo all’inizio bastava e avanzava per andare al cinema con convizione e senza mai guardare l’orologio  (santiddio, quando finisce?).
Fu quattro anni dopo, con Toy Story II (1999), che mi accorsi che non era solo questione di computer. Dietro quella allora sbalorditiva tecnica c’era dell’altro. C’era della scrittura, e che scrittura. Quando un film mi piace mi sento gonfiare il petto, la sensazione fisica di essere pieno di grande cinema (almeno quello tale secondo la mia modesta opinione, de gustibus, per caritá). Ecco, durante Toy Story II – inaspettatamente – mi è capitato. Mi ricordo anche il momento: c’era una Barbie che guidava una macchina della Barbie e portava in giro il cowboy Woody in un magazzino di giocattoli. Volevo alzarmi in piedi e applaudire (figura di merda, diciamolo). Ma come, è solo un cartone, dicevo tra me e me. Eppure il petto, sì sì, lievitava. E con la Pixar mi sarebbe capitato ancora, altre volte, tante, anzi parecchie.
Quindi mi sono chiesto: chi è il fottuto genio che scrive queste storie?
Uscito dal tunnel dei doveri nei confronti dell’infanzia – leggi: portare le figlie al cinema a vedere i cartoni -, sono entrato in quello dei doveri nei confronti del cinema – leggi: vado a vedere i cartoni della Pixar per mia estrema e intima tensione e convinzione personale. E senza il minimo tentennamento. Non come quello che in edicola compra Micromega e Limes per infilarci Le Ore. No no, con trasparenza.
Dicevo: chi è il fottuto genio?
Ora, i film della Pixar non hanno tutti la stessa mano, nè nel disegno nè nella scrittura. Ci sono quelli di Brad Bird, per dire (Nemo, Ratatouille), quelli di Stanton o di Unkrich. Ma il meglio, l’eccelso fa capo a due menti, quelle di John Lasseter (il pioniere, oggi “solo” direttore creativo e super-mega-produttore) e di Pete Docter, che hanno diretto e sceneggiato i capolavori: i primi due Toy Story, Bug’s Life, Monsters & Co e Up.
E quindi sabato sera sono andato al cinema con il petto giá pronto a riempirsi per vedere Inside Out, scritto e diretto da Pete Docter, l’allievo che supera il maestro, almeno così diceva una recensione.
La scrittura, ecco. Non è solo il pensiero che sta dietro un soggetto (e qui, in Inside Out, nell’avventura  dentro il cervello di una ragazzina delle cinque emozioni che dominano l’essere umano, c’è l’ispirazione a fior di studi sulla psicologia partendo da un saggio di Darwin di un secolo e mezzo fa), ma è la ricchezza di una sceneggiatura che ti mette insieme in 90 minuti più battute riuscite che non negli ultimi sette film di Woody Allen (e io adoro Woody Allen) o nelle ultime settecento commedie italiane. Non è solo giocare con il cuoricino dello spettatore – bambino o adulto che sia, non ha importanza – sapendo di poterlo devastare con le solite tre o quattro semplici mosse, ma offrire su un vassoio un gioco di rimandi e di citazioni che ti ribalta sulla poltrona anche se sei lì seduto, almeno in apparenza.
Tutto è relativo. Per dire, c’è gente disposta a farsi tre ore di coda all’Expo al padiglione del Giappone (sì, ok, è bello) per quattro emozioncine visive. Inside Out varrebbe 48 ore di coda davanti al cinema,  con sacco a pelo e cucina da campo, tipo quando c’era da comprare il biglietto per Madrid.
E quindi lancio la mia campagna. La Pixar l’Oscar per il miglior film di animazione l’ha giá vinto varie volte,  Lasseter ne avrá una collezione (due sono suoi personali), Docter stesso ne ha vinto uno come regista di Up. Ecco, bisogna andar un po’ oltre, perchè quel che è giusto è giusto: dopo tre nomination, è giunta l’ora dell’Oscar per la miglior sceneggiatura originale.  Viva Inside Out, viva Pete Docter, viva l’Inter, viva il cinema, viva la Juventus in B per meriti sportivi.
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Arrivedooorci!

Arriverdooorci!
Uh, lo dico in allegria, cosciente che prima o poi, come a Stanlio e Ollio, capiterá di bucare dopo un metro o di finire in un vascone di cemento fresco. Ma intanto, che diamine, godiamoci il piacere di dire Arrivedooorci! a quelli che restano indietro e ci vedono partire, da soli e belli freschi, come non ci capitava da un quinquennio. Step by step siamo in testa da un mese, e se il primato dopo Atalanta e Carpi aveva un peso ora, dopo Milan e Chievo, ne ha un altro. Giusto per rimanere nell’oggettivitá, ecco, tenendo a bada pulsioni ormai sopite e svolazzi che – con 34 giornate e 8 mesi di campionato davanti – sono sempre e rigorosamente prematuri. Ma mi sento come Ollio, al volante del mio trabiccolo, che dico Arrivedooorci! ai miei vicini di casa tanto tanto simpatici ma (rumore di tuoni) juventini. Arrivedooorci ragazzi, il più tardi possibile.
Dopodichè, nell’esaminare di pura pancia la partita di Verona, mi sovvengono alcuni minuti finali da Orociok e qualche fisiologica minchiata sparsa, ma anche una sensazione di soliditá che ci riporta a momenti felici e quel gusto un po’ spaccone per il futbol abastansa bailado che fino a pochi mesi fa non ci potevamo permettere. 4 partite sono pochissime per dire che produciamo l’essenziale e subiamo poco, però il momentaneo effetto Arrivedooorci! me lo fa pensare, così, cautamente, sommessamente, prima di forare – che capiterá – o dei vasconi di cemento fresco, che troveremo.
Poi, insomma, quei piccoli particolari che ti confortano, ecco. Tipo che vedere in campo Melo, Medel e Kondogbia (primo tempo extralusso, per me) ti fa capire che il sacrificio di Kovacic aveva un senso non solo economico. Questa è una squadra che aveva bisogno muscoli e coglioni, in un bilanciamento che non saprei dire ma che va bene così: ora ne abbiamo in maggior quantitá degli uni e degli altri, e pazienza se vedremo meno veroniche e meno triplette agli islandesi.
Poi ho telefonato all’Iffsh, segnaladogli questa cosa: abbiamo battuto 1-0 il Chievo che ha battuto 3-1 l’Empoli che ha battuto 2-1 l’Udinese che ha battuto 1-0 la Juve. Loro mi hanno detto “grazie della segnalazione, gringo” e mi hanno comunicato che, in base a questi risultati, batteremo la Juve tipo 7 a 2, oppure 14 a 4. “Posso giocarmi l’over?”, ho chiesto. “A tuo rischio e pericolo”, mi hanno risposto, poi hanno messo giù mentre gli dicevo Arrivedoorci!
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Lo scopriremo solo vivendo

Perdersi un derby da capo a piedi (ero pur sempre in uno stadio lombardo a vedere una partita tra due squadre lombarde) (Cremonese-Pavia, però) (e non per diletto), un derby non qualunque, il derby che ti porta  in testa alla classifica da soli dopo 5 anni, è una cosa brutta in sè, ma porta anche dei vantaggi. Il più evidente è che per me la nuova Inter è un inedito, e domenica con il Chievo – sia pure in un orario di merda – mi godrò per la prima volta i Perisic, i Melo, i Telles, i Ljajic come fossero al debutto, e mi perfonderò di assoluto, tipo quando ti imbatti in un vecchio film del tuo regista preferito e non lo avevi mai visto prima, ed è bellissimo perchè te lo godi e gli altri no, non allo stesso modo almeno, perchè l’hanno già visto, e tu invece te ne stai lì assorto e gli altri no, tu ti stupisci e gli altri no, no, no ennò.
(mi indoro la pillola a cinque giorni da quel buco nero. In realtà sono devastato come un 15enne che ha dovuto rinunciare a XFactor per andare a vedere il saggio di flauto dolce del cuginetto di sette anni alla sagra del paese)
Detto questo, la settimana si è intellettualmente e tecnicamente complicata. No, perchè domenica notte (mentre cercavo ailàitz della partita come un tossico in riserva) mi godevo la grafica della classifica, la bellezza di quell’architettura che ci vede primi in alto a sinistra e la Juve molto in basso a destra, otto punti sotto, e stavo bene. Poi, appunto, la settimana si è articolata secondo un’altra realtà – virtuale o meno, lo scopriremo solo vivendo -, con la Juve del-punto-in-tre-partite che fa un’impresona in casa di quei vacui del City, con la Roma che non ne becca sette dal Barcellona ma dimostra di avere imparato la lezione, del Napoli che in campionato fa ca-ca-re e che in Europa League fa il calcio champagne.
Dunque, dove sta la verità?
Ecco, restando nel campo della conclusioni  premature, da domani e fino al 4 ottobre (15 giorni appena) ci saranno quattro giornate di campionato che ci diranno qualcosa in più. Senza scontri epocali, sarà comunque per tutti un mini-ciclo superconcentrato in cui l’asticella delle difficoltà è destinata ad alzarsi. Più o meno, il mix è uguale tra partite morbide e altre meno, o molto meno. A settima giornata conclusa, faremo il punto. E poi, dopo la pausa per la Nazionale, ci ritroveremo  per un’ottava giornata, 17-18 ottobre, in sè molto pepata: Inter-Juve, Torino-Milan, Napoli-Fiorentina. Ecco, la sera del 18 ottobre, con otto giornate alle spalle, sarà una classifica interessante. La prima, vera, polposa, significativa classifica.
Nel frattempo vediamo come si modella la Serie A. Noi, per esempio, siamo una capolista effimera o facciamo molto sul serio? Andiamo sul campo della seconda a vedere di che pasta siamo fatti, orsù, e niente scherzi (e niente supponenze, soprattutto). E la Juve, in un drammatico scontro salvezza con il Genoa, ci faccia sapere se quest’anno si abbassa la quota scudetto o si alza la quota retrocessione.
keisuke

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