Flush

Precisamente, di cosa dovremmo parlare? No, perchè gli argomenti di contorno sono tutti finiti nel cesso. Il mio, almeno. Di cesso, dico. E ho già tirato l’acqua. Flush. Non parlatemi di Rocchi, di designazioni, di errori, di complotti et similia, lallallallallallallalla, no, non sento, non sento niente. C’era un tempo in cui gli arbitri – e il sistema – tentavano di fotterci e noi, per risposta, vincevamo. Oggi no, rilassatevi: nessuno vuole fotterci niente. Non c’è bisogno. Oggi, all’Inter del secondo tempo, sarebbe uno spreco tentare di fottere alcunchè. Siamo come Fantozzi nella mitica scena della radiolina all’ingresso del cineforum. Non serve il metal detector o la perquisizione corporale: la radiolina, alla fine, la consegniamo noi.
In tre partite stagionali con la Juve (e la quarta è fra tre giorni) abbiamo segnato zero gol, e questo è un fatto. La partita del girone d’andata sembra preistoria: la Juve era in crisi e noi eravamo molto più avanti.  Oggi la Juve fa la Juve e noi facciamo ridere, o piangere, questione di angolazioni. Tutto questo nel breve volgere di qualche mesetto, nel corso dei quali siamo andati in testa con quattro punti di vantaggio e poi ci siamo inculati tutto – i punti, la vena, la garra, la reputazione – tanto da arrivare questa sera a una triste messinscena prima in campo (un secondo tempo da prenderli tutti a calci in culo) e poi in zona mista, dove tra allenatori afoni e direttori sportivi incazzati abbiamo toccato il fondo stagionale dell’immagine e della credibilità.
I nodi vengono al pettine, prima o poi. Perdere a Torino ci può anche stare, ovviamente, ma:

  1. la vecchia storia del “c’è modo e modo” resta tristemente attuale, ineludibile e necessaria;
  2. le nefandezze degli ultimi due mesi – Sassuolo, Atalanta, Carpi, Verona: tre punti invece di minimo 10 – alla fine ti chiedono il conto, e se stai giocando con il Milan o la Fiorentina o la Juve (e sei depresso di tuo) o tiri fuori l’orgoglio o finisci col cagarti nei Pamper’s e chiamare la mamma. Nei momenti-clou non siamo mai usciti dal campo con la coscienza a posto, mai.

L’allenatore afono si è smarrito nei meandri della sua iper-creativita, dove ha perso il bandolo e il senso della realtà. Le formazioni fuzzy e i cambi al novantesimo ci hanno divertito finchè si vinceva con un tiro a partita. Adesso, purtroppo, ci hanno rotto il cazzo. E non è questione di scendere da certi carri. E’ questione che contro le pari grado o ti entra un tiro di merda di Medel da 30 metri oppure è buio totale. E questa è la storia del campionato, dati alla mano, senza scendere e salire da nessun carro: solo leggendo risultati e numeri. I giocatori hanno le loro belle responsabilità, l’allenatore ha le sue (mi sembra una replica di Garcia alla Roma), la società ha le sue. L’auto-assist di D’Ambrosio è una splendida sintesi di tutto questo.
Il risultato?
Col Milan un punto indietro (è stato a meno 11) e con la Juve 13 punti avanti (è stata a meno 9) non ho più niente da dire. Niente.
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La sera dei distinguo

Nella serata dei distinguo – Mourinho dio, Ronaldo uomo di merda – bisogna farne uno in più: quella con la Samp era una partita pericolosa ma non seria. Non seria perchè la Samp, reduce da una striscia davvero demmerda (9 punti nelle ultime 14 partite), è da un paio di mesi almeno la peggior squadra del campionato. Pericolosa, appunto, proprio per questo: perchè scialare punti anche con la Samp, con questa Samp, poteva essere il colpo di grazia.
Non è accaduto. Oddio, finchè D’Ambrosio non l’ha messa non c’è stato modo di stare tranquilli un nanosecondo, ma poi tutto si è sistemato. E quindi facciamone un altro, di distinguo: dal punto di vista tecnico una vittoria che vale un emerito cazzo (si giocava contro una squadra che schierava contemporaneamente Alvarez, Ranocchia e Dodò), dal punto di vista emozionale una vittoria che vale abbastanza, o forse parecchio. Se non altro, per una domenica non saremo lì col pallottoliere a fare il conto dei punti che recuperano le altre.
No, ecco, perchè vincere è meglio che pareggiare o perdere. Segnare tre gol è meglio che prenderne tre. Non perdere terreno è meglio che sprofondare. Tocca ricordare questi semplici concetti base ai nostri beniamini dopo due mesi trascorsi a fare la Sampdoria più che l’Inter. Adesso abbiamo due partite con i gobbi. Ah, se invece di calcio fosse podismo. È come allenarsi in salita per poi tornare sul piano: in teoria, comunque vada l’allenamento, dopo dovresti andare un po’ più forte.

E andare un po’ più forte è la sola cosa che ci serve nei tre mesi che restano. Ormai chi c’è c’è, e quel che siamo siamo. Equivoci e dubbi ce li terremo fino a maggio. Diciamo che si noteranno meno facendo qualche gol in più e, senza avere l’impressione di sprecarci troppo, tirando fuori i coglioni, almeno un po’.

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Quando il gioco si fa molle

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Ho vissuto un’esperienza strana e struggente, più che altro sbalorditiva. Stavo seguendo la partita attraverso uno streaming in ritardo di un minuto e 40 secondi sul reale svolgimento della partita. Siamo ormai al novantesimo. Mi scappa l’occhio sulla app dei risultati in tempo reale proprio nel momento in cui il punteggio viene aggiornato, 2-1. E io sono lì con il mio streaming bello nitido con commento in inglese, la palla è nella metacampo della Viola, e non me ne faccio una ragione. Sul mio monitor stiamo ancora 1-1 e a me il risultato va bene così, ok, meglio un pari di niente, così ragionavo tra me e me prima che l’app mi anticipasse l’apocalisse.
Magari si sono sbagliati, dico.
E quasi me ne convinco. La Fiorentina attacca, sì, ma non è mica un arrembaggio. È un’azione normale, a velocitá normale, a testosterone normale.
Dai, si sono sbagliati.
Bernardeschi entra in area in surplace, tira dove è normale che tiri, parata un po’ così, naso, nuca, gomito, orecchio, ginocchio, gol.
Gol.
No, non ci posso credere. Non può essere andata così davvero. Forse è un’interferenza, una discrasia spazio-temporale, un filmato di repertorio, una pantomima, una fiction tipo Don Matteo 235, un’illusione, uno scherzo a parte, un non so cosa.
L’app non corregge, lo streaming prosegue in maniera coerente. Era tutto vero.
E niente, mi sono incazzato molto più che per la ridicola e insopportabile espulsione di Telles, molto di più. Ancora una partita fottuta a tempo scaduto, ancora una mollezza totale nel momento in cui il gioco si fa duro. È peggio di Mazzoleni, molto peggio.
Nove punti in nove partite, cinque gol di testa presi nelle ultime quattro, quarta partita persa o pareggiata al novantesimo negli ultimi due mesi, un altro scontro diretto a cazzo – e questo vale doppio o forse triplo, con la Fiorentina (sei punti a zero) che allontana la zona Champions, con il Milan (il Milan!) che ormai ci soffia sul coppino, con la dura realtá che ci avverte che non siamo più terzi e nemmeno quarti.
Non so più cosa dire. Vincevamo 1-0 a Firenze e a fine primo tempo ero al settimo cielo. Poi l’umore è virato su “teniamo l’1-0, il nostro format, perchè il 2-0 non lo faremo mai”. Poi su “vabbe’, portiamo a casa il culo è un punto, va bene così”. Poi niente, ho perso le parole. Abbiamo quattro partite davanti, la Juve fuori, vabbe’,  e tre in casa facili, da nove punti. Ma a chi la faccio leggere la mia tabella? Ormai noi tifosotti e l’Inter siamo come il mio streaming di stasera: sincronizzati alla cazzo di cane. Stesso livello di sintonia che vedo tra il Mancio e la squadra, e mi viene un magone clamoroso.

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Il gol di Torti all'esordio in Serie A

Come il Mancio, anch’io oggi avrei segnato un gol a 50 e passa anni. Bastava ottenere un ingaggio a gettone dal Verona ed essere schierato da Delneri. Qui, oggettivamente, sta il difficile. Occhei, sono simpatico e ho discrete doti di fondo, ma non è che uno si può prendere un rischio del genere a cuor leggero (anche se dopo aver visto Ionita e Leroy Gomez penso che avrei potuto giocarmela). Però, metti che ormai sei retrocesso e decidi di giocarti la carta Torti. Togli Lele Moras o Emma Marrone, entra Torti, maglia numero 63.
“Chi casso è?”
“Boh, l’avranno preso a gennaio”
“Sembra più vecchio di Toni”
“Impossibile”
“Ha le maniglie dell’amore”
“Come Maxi Lopez?”
“Più o meno”
Delneri mi prende per un braccio e mi dá gli ultimi consigli:
“sfgdfddgj dtdrshshdgg sgfhfjftddhj dgdgdgckvfff”
“Ok mister”
Entro e vado a metacampo. Incrocio Brozo, Kondo, Rodrigo e vorrei abbracciarli e fare un selfie, ma non ho il telefono e soprattutto sono del Verona. Devo giocarmi la mia chance, prima che scoprano che sono vecchio, che non gioco una partita di pallone da una ventina d’anni e che mi hanno tesserato come giocatore svincolato free agent, ma senza avere avvertito l’ufficio di collocamento di Pavia.
Mi piazzo in mezzo, mentre saggiamente il mio Verona decide di giocare sulle fasce. Vedo in lontananza il Pazzo (credo sia lui, almeno: mi mancano tre diottrie e mezzo) che fluidifica e si infrange contro Murillo, rimpallo, tic, tic, tic, angolo.
Angolo.
Io che faccio? Mi giro verso Delneri:
“Fsfddjfjfu dfdrhdkfgdjch sfffdhhhdvcgd”
Dai gesti, mi sembra che intenda dire: ficcati in mezzo e non cagarmi il cazzo che ho giá i miei problemi.
Mi reco quindi in area.
Juan Jesus fa a Telles: “Marca tu El Gordo”
Telles fa: “No, ci pensa Murillo”
Murillo fa: “Ne devo giá marcare sette, ci pensa Brozo”
Brozo fa: “Non ho voglia, sono stanco. Maurito, tienilo tu il 63”
Icardi fa: “Cosa?”
Jesus: “El Gordo”
Perisic: “El?”
Intanto Rómulo batte l’angolo. Siccome sono del Verona ma com’è noto tifo Inter, tengo un profilo basso e non mi muovo.
Tanto non si muove nessuno.
Il pallone spiove verso il centro dell’area, i gialloblù vanno verso la porta, i bianchi tengono la posizione, Toni la spizza e io in quell’esatto istante penso che il verbo spizzare mi fa cacare, è un segno della corruzione della lingua italiana.
Poi noto che il pallone viene verso di me.
La mia vita mi scorre davanti. Perchè penso che adesso mi spazzeranno via, mi prenderò una gomitata nelle costole, un calcio negli stinchi, una testata sul sopracciglio, e allora chiudo gli occhi e dico addio, che bello morire così, sul campo, l’Inter verrà alle mie esequie, magari Ausilio dirá due parole dal pulpito sul mio destino beffardo, io interista ingaggiato dal Verona che prima di toccare il mio primo pallone in Serie A vengo colpito alla testa da Perisic in mezza rovesciata proteso nel tentativo di un disperato rinvio.
Chiudo gli occhi, colpisco con la fronte, sdeng!, cuoio bagnato e scivoloso, wow!, la palla va verso l’angolo opposto.
Gaaaaaaaaaaaaaaaaaaallll.
Il Bentegodi impazzisce, mi abbracciano dei tizi che non conosco con la mia stessa maglia.
“4-1 per il Verona! 4 gol di testa! Stavolta è stato Torti a battere Handanovic! 4-1!”
“Scusa Pardo, ma chi è questo Torti?”
“Ma che cazzo ne so… Ops, eravamo in onda?”
Io ovviamente non esulto. Spiegherò poi i motivi in sala stampa. Anzi, chiedo il cambio.
“Sfgdhdjfdytdh sfshshdryhjdk sffffhhsgdjhhhj!”
Ah giá, ero io il terzo cambio. Vabbè dai, resto, manca poco, magari ne segno un altro. Una vita a farsi seghe mentali, e poi scoprire che segnare un gol in Serie A è una cazzata. Mah.
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(seminascosto da Pisano, Torti segna il gol del 4-1)

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Terrore, morte e 1-0

In un momento di indicibile difficoltà, il Clan dell’Asado 2.0 decide che è giunto il momento della reunion per sostenere i ragazzi. Appuntamento davanti al cancello 8, dove Er Blogghe arriva in un inconsueto anticipo ma comunque per secondo, trovando già sul posto Er Pagnolada in preda a turbe psichiche pregresse (c’è da capirlo, ha assistito inerme a Inter-Sassuolo, Inter-Carpi e Milan-Inter) e a un principio di assideramento tipo Revenant. Nell’ordine arrivano poi Er Pomata, con un vezzoso cappellino a tenergli insieme la preziosa pettinatura, e infine Er Monnezza con la merce più preziosa: i biglietti. Superiamo agevolmente i varchi ed entriamo nel mondo dorato del primo anello rosso, dove cominciamo a farci selfie tipo belle fighe in spiaggia. Che se ci avesse visto Sarri, chissà cosa ci avrebbe detto.
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Dopodichè – non prima di avere incontrato sulla balaustra Antonino Verdi, che è un po’ come incontrare Nadal sulla terra rossa, cioè sul suo terreno naturale –  prendiamo posto e assistiamo fiduciosi alla partita, che consiste sostanzialmente in una sorta di tiro a segno nella porta del Chievo dove un portiere esordiente di circa tredici anni prende anche le scoregge. Ed è qui che, all’unisono, di fronte a quello che appare un segno del destino crollano le nostre poche e povere certezze. Comincia a subentrare il nervosismo e, con esso, un pensiero unico misto di terrore, morte e distruzione. Er Pagnolada inizia a disegnare scenari tetri in cui l’Inter sembra già condannata a giocarsi la salvezza in un drammatico spareggio con il Carpi a fine maggio in località da destinarsi. Er Pomata rivede il film di tutti i gol presi al novantesimo dall’Inter della sua storia, dalla fondazione a oggi. Er Monnezza, ormai nervoso tipo un padre primiparo davanti alla sala parto, sta per mettersi a insultare Nagatomo quando davanti a noi, facendo alzare 35 persone, prendono posto due cotonatissimi giapponesi. E si trattiene.
Anche questo viene interpretato come un segno del destino. L’insulto interruptus  ci riporta alla realtà. E per rispetto del santo uffizio di Er Pagnolada decidiamo di darci una regolata. Niente insulti. Nemmeno a Kondogbia. “Quel ragazzo non caucasico sta disputando una partita di discutibile qualità, ne convieni?” “Sono d’accordo teco, mio caro”, ci diciamo io ed Er Monnezza accasciandoci sulle poltroncine quando il nostro amico, invece di sfondare la rete da favorevole posizione, tira una loffa di sinistro contro il gambone del portierino avversario.
All’intervallo cerchiamo distrazioni. “Oh, non c’è un minimo di figa”, dice Er Pomata a Er Pagnolata che gli impone le mani e dice “Ego te absolvo”. In compenso troviamo Beppe Baresi.
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L’incontro ci rinfranca. Andiamo a cercare un posto nell’altra metacampo e dopo tre minuti del secondo tempo Icardi la mette al termine di una limpida azione manovrata. “Gaaaaaaaaaaa”, urliamo abbracciandoci come gente che non vede un gol da dodici anni. Dopodichè riprende il tiro a segno, traverse, parate miracolose, tiri fuori di un soffio. E ci ritroviamo in men che non si dica verso il minuto 85 in piena zona panico, quel suggestivo spicchio di partita in cui l’Inter si caga in mano contro chiunque e comincia a rinculare verso la propria porta, mentre dall’altra parte prendono fiducia e si rendono conto che, senza eccessivi sforzi, ci possono fottere.
Er Blogghe, Er Monnezza, Er Pomata ed Er Pagnolada assistono terrorizzati allo spettacolo, come quattro adolescenti a una rassegna di Dario Argento. Io ed Er Monnezza ci abbracciamo come due sciampiste e lanciamo urlettini tipo Amici di Maria De Filippi ogni volta che il pallone arriva a Pellissier, Er Pagnolada bacia sul display del telefonino la foto di Beppe Baresi recitando alcune preghiere mentre Er Pomata, che non può mettersi le mani nei capelli per non spettinarsi, piomba in uno stato catatonico e farfuglia nomi a caso: Berardi, Lasagna, Schalke 04, Caporetto, Gresko.
Al triplice fischio usciamo dicendo che basta, non è possibile vivere così, addio Inter, è l’ultima volta. Quattro metri più in là, naturalmente, stavamo già compilando la tabella Champions e organizzando la trasferta di Frosinone. Viva l’Inter, viva il calcio, viva lo stress benefico, viva gli 1-0, abbasso la Fiorentina, fanculo Zarate, Juve merda.
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De bracarum calamento

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Chissà, forse sarebbe bastato un centimetro – rigore, Icardi, palo interno, gol – e adesso saremmo qui a dire che vabbe’, meglio un pareggio di niente, giochiamoci il terzo posto con la Fiorentina e amen, non parliamo più del resto, facciamo che va bene così. Anche nel primo tempo forse sarebbe bastato un centimetro a Eder per incornarla meglio e metterla dentro e saremmo andati in vantaggio al sesto minuto e forse adesso saremmo qui a dire che bla bla bla.
Il problema, alla fine del derby, è che siamo qui con uno 0-6 da incubo, risultato aggregato di due partite in quattro giorni con Juve e Milan, un risultato aggregato spaventoso, peggio ancora del punto in due partite con Sassuolo e Carpi, peggio ancora delle partite di merda messe assieme da Udinese-Inter a oggi. Peggio di tutto perchè è una sentenza bella e buona sulle tue ambizioni, è un sigillo con ceralacca sulla pergamena in cui è descritto il tuo profilo di squadra. Un profilo che un mese e mezzo fa era un altro, mentre lo Standard & Poor’s del calcio nel frattempo ci ha già declassato tre o quattro volte. Eravamo Singapore, ora siamo la Grecia.
Il Milan che ci scherza nel finale – no dico, il Milan! una squadraccia se ce n’è una – è lo spottone conclusivo di questo gennaio da tregenda, in cui non si sa più come classificare la partita di Napoli (a questo punto viene da pensare che il Napoli quella sera là abbia pestato una merda) mentre il resto, tutto il resto, lo abbiamo ben presente. Perdere 3-0 con Juve e Milan, prendere per tre volte gol al novantesimo e oltre, giocare quasi sempre male, non segnare quasi mai. Se quattro indizi non fanno una prova…
Anche prima di Udinese-Inter (eravamo primi con 4 punti di vantaggio, solo un mese e mezzo fa, roba da matti) si parlava degli indizi che facevano una prova. Dei pochi gol che prendevamo, degli 1-0 chirurgici, degli #epicbrozo che sostanziavano un clima positivo in una squadra che vinceva e si divertiva. Certo, sembrava tutto facile e ci divertivamo un sacco e tutti erano bravi belli forti eccetera. Nello sport è una ovvietà. Ma qui non si tratta di scendere dal carro dei vincitori adesso che non vincono più. Si tratta solo di dover dare un nome e un cognome a questo improvviso e inaspettato sfacelo, al panico che ti prende in casa con il Carpi o alle braghe che cali con i tuoi peggiori nemici, uno al massimo dell’euforia (nelle ultime 6 partite ha fatto 13 punti più di te) e l’altro che, invece, hai contribuito a riportare in vita dopo 20 partite da zombie.
E quindi spiace che manchi, clamorosamente, la personalitá che ti dovrebbe sorreggere quando affronti in calo di forma un ciclo facile, o quando affronti le tue avversarie storiche in quelle partite che di default danno un senso alla stagione. Per due volte in quattro giorni ti hanno sotterrato, perchè tu sei andato in pappa alla prima avversità. Nessuno penso pretendesse di vincere largo a Torino o di piallare il Milan sette a zero. Penso che sia invece normale pretendere che non ci si posizioni a novanta, mai, o che ci si caghi in mano a tempo scaduto contro Sassuolo e Carpi manco fossero Real e Barcellona.
Il Mancio ha speso le migliori energie sul tema delle unioni civili. Di calcio, invece, si occupa a spot, tappando buchi per creare voragini, guardando altrove più che a gestire il presente, demotivando mezza rosa, prendendo scelte che vorrebbero essere creative e invece sono sciagurate (la gestione dei terzini e delle punte a gennaio è da pura schizofrenia, per tacer del centrocampo). Forse abbiamo vissuto a lungo sopra le nostre possibilità, ma questo sprofondo non è giustificabile. Lui deve tenere la barra dritta e non divagare. Non mi piacciono le sue risate dalla panchina, non mi piace vederlo mandare affanculo mezzo stadio e poi la giornalista tv: non è stile.
Questo gennaio ha dato una sistemata ai valori generali del campionato. Napoli e Juve sono di un’altra categoria, stop. Ma le altre – Fiorentina, Roma, Milan – sono come o peggio di noi a livello di incongruenze, equivoci, dubbi, perplessità, prospettive. Con queste squadr dobbiamo giocarci il terzo posto, sarebbe un delitto farsi precedere da una qualsiasi di queste mezze barzellette. Ci stiamo impegnando, questo sì.
Auguro a Eder di segnare 20 gol da qui a maggio, ma non era lui la massima urgenza di questa squadra. Non ho voglia, nè mezzi tecnici e cerebrali per disegnare l’Inter ideale con il materiale a disposizione. Serve soprattutto una svolta, nelle testoline vuote dei giocatori e ancor più nel manico. il Mancio – e con lui la società, Stankovic, Zanetti – prendano la squadra per i coglioni e la tirino fuori da questa pena infinita. Di tempo ce n’è, ma basta con queste partite: non esiste, non esiste proprio.

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Inferiors

ju
Tre pere dalla Juve sono sempre una brutta cosa. Nello specifico, anche peggio: perchè ti accorgi che oggi loro sono meglio di noi, molto meglio. Ne avevo un sospettuccio dopo che nelle ultime 5 di campionato avevano fatto 10 punti in più. Ora, avendoli visti per 90 minuti di fila, avanza qualche certezza ulteriore: non c’è molto confronto, oggi. Oh, magari tra un mese ce ne sarà di più: visto che dovremo affrontarli due volte in quattro giorni (prima campionato, poi ritorno di coppetta), più che una speranza la chiamerei esigenza: bisognerà essere diversi, metterci una garra diversa, puntare la porta non come fosse una mera eventualità. O switchiamo da questa condizione di mezzi fantasmi a un qualcos’altro, o sono cazzi.
Mi piacerebbe potermi lamentare dell’arbitro (meglio tenere un profilo basso stasera), oppure dire che con un bel 4-0 si passa il turno e via, si va in finale: non è tanto per l’eccessivo ottimismo che non lo dico, quanto perchè per fare quattro gol bisogna tirare bene per almeno quattro volte in porta, e oggi per noi è un’impresa tipo Tre cime di Lavaredo. Chissà se con Eder cambierà la solfa. Adesso ho solo tanta voglia di piangere, vedendo i gobbi festeggiare la vittoria rotonda e anche l’imprevedibile ritorno in vita di Morata, che allunga la lista storica delle resurrezioni che abbiamo agevolato dalla fondazione a oggi. Anche questo è stile. Forse.

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#epicmerda

lasagna
Spettatrice distratta post hangover con la Lazio, sostanzialmente culattona con l’Empoli, sprecona ma mai superiore con il Sassuolo, inguardabile con l’Atalanta, inqualificabile con il Carpi. Questa è stata l’Inter nell’ultimo mese. Cinque punti in cinque partite, 1 punto nelle ultime tre  in casa (non con Real Barcellona e Bayern ma con Lazio Sassuolo e Carpi). In queste cinque partite 4 gol, di cui un’autorete e uno a porta vuota. Sì, c’è stata anche la vittoria di Napoli, ma – come direbbe il giudice sportivo – era Coppa Italia e ha effetto solo in Coppa Italia. L’effetto in campionato, invece, è quello che facciamo oggi: schifo, purtroppo.
Avevamo lasciato l’Inter a Udine, ebbra di un 4-0, e là è rimasta. Non è evidentemente colpa dei party di Natale. Se fai 5 punti in un ciclo di 5 partite medio-facili (3 in casa e 2 fuori) in cui puoi ragionevolmente pensare di portarne a casa 13 (bilancio -8) prima che il calendario si faccia ben più insidioso, beh, allora più che smaltire i brindisi vuol dire che hai abdicato. Oggi abbiamo preso un gol in casa al 92′ da una squadra in 10. Non ci sono cazzi, questo è abdicare. Non è il fato, non è la sfiga, no. E’ abdicare di testa e di gambe, perchè non ci sono altre spiegazioni. Le ultime tre partite in casa se ne sono andate a puttane così, prendendo un gol nel finale. Tre su tre. Un po’ come per gli 1-0 in serie: se la statistica si fa pesante, non è (più) un caso.
Effettivamente siamo stati in bilico per settimane e settimane su un meraviglioso strapiombo in cui tutto ci andava quasi sempre bene: bastava un golletto e bastava che il nostro portiere parasse anche le scoregge. E’ una situazione molto a rischio, in effetti: perchè se ti va bene ogni volta è una goduria, ma se segni sempre e solo un gol, agli altri basta poco per fotterti. Del tutto o almeno parzialmente tipo oggi, che ti caghi in mano mentre un Lasagna qualsiasi fa la cosa che tu non hai fatto per 90 minuti: catapultarsi con voglia su un pallone invitante.
E anche questo – giocare non al cento per cento, traccheggiare in attesa della doccia, tirare poco come se tirare costasse qualcosa – è abdicare, abdicare a se stessi e ai propri obiettivi. Era bastata una sconfitta (che all’epoca potevamo considerare casuale, quella con la Lazio) per sentir dire dai nostri condottieri che il nostro obiettivo vero era la Champions, non lo scudo. Che sarà anche così, per carità, ma dirlo una settimana dopo aver condotto la classifica con 4 punti di vantaggio – con noi tifosotti belli gasati e la garra delle grandi occasioni – mi è sembrato così frettoloso e superficiale che mi era scappato un mezzo vaffanculo.
Ora, dopo Inter-Carpi, e al culmine di un mini-ciclo di 5 partite di merda, dovremmo dire – per l’evidenza dei fatti, più che altro – che il nostro vero obiettivo è l’Europa League. E, you know, sarebbe un disastro.
Restiamo al quarto posto, per carità. Ma siamo qui a guardare le terga della Signora dopo averla osservata a lungo arrancare da lontano: solo che loro, i gobbi, nelle ultime 11 partite hanno fatto 13 punti più di noi. Il Mancio parla dopo la partita con qualche sfumatura pesante del tipo: mi sono rotto i coglioni in generale, e due o tre dei miei giocatori me li hanno rotti in particolare. Bel clima, per una squadra che fino a qualche settimana fa andava avanti a sorrisoni,  selfie, champagne e #epicbrozo. Adesso andiamo nel panico se attacca il Carpi, questa è la cruda realtà.

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Vedi Napoli e poi frocio

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Non sapremo mai come sarebbero stati i titoli di domani, i titoli veri, i titoli puri, se si sarebbero soffermati sull’Inter brutta che però vince, o sull’Inter con Jovetic e senza Icardi, o sull’Inter che fa cacare ed è in semifinale di Coppa Italia, o sull’Inter che l’ultima volta a Napoli c’erano Ronaldo e Simoni. Tutto si è spostato sul duello rusticano tra Mancini e Sarri, che in effetti – fatti salvi i due gol, uno meraviglioso e uno molto bello – è stato molto più divertente dell’intera partita.
Mancini ha fatto coming out. No, nel senso che ha rivelato con dovizia di particolari cosa si dicono due allenatori durante una mezza rissa a fine match. Cioè, mai avrei pensato che in un campo di calcio ci si desse del frocio. Io ero rimasto a negro di merda, figlio di puttana, portami tua sorella, ti apro il culo, madonna quanto sei scarso, quelle robe lí. Debbo dire che non pensavo ci si desse del frocio.
Certo che Mancini – un po’ come le ragazze di Colonia – se l’è andata a cercare. È chiaro che se mi metti la sciarpetta da mille euro, il cappottino tre quarti, il pantalone a sigaretta, le scarpe da tre stipendi, il capello sale e pepe, la blefaroplastica e quanto ce n’è, è chiaro che l’uomo in tuta ti dá del frocio. Poteva dirti stronzo, imbecille, skipper di merda, invece è andato dritto al punto e ti ha detto frocio.
Sarri ha dei precedenti specifici sul tema frocio, e la cosa dovrebbe preoccupare più lui di noi, perchè magari ti scappa detto in osteria o dopo un Varese-Empoli, ma poi – come certe scoregge che tu pensi sempre di poter domare – ti scappa anche in mondovisione e la faccenda si fa un po’ più spessa. Peccato che ora si incrini un po’ la bella favoletta dell’allenatore operaio molto di sinistra che magari vince lo scudetto epperò dá del frocio al collega che lo ha appena inculato battuto sul campo, ma vabbe’, passerá. Anzi, diventerá un eroe popolare. Magari non un’icona gay – diciamo che qualche fan se l’è giocato – ma un eroe popolare sí, di quelli attaccati a certi valori, non a queste stronzate dei culattoni che si sposano. Un comunista che piace alla destra.
A chi daranno più giornate, a Sarri o al frocio delatore? Questa è una bella domanda.
Intanto, per la cronaca, siamo in semifinale di Coppa Italia. E siamo tornati –  spero non occasionalmente – quelli di due mesi fa, quelli che vincevano facendo vomitare gli esteti del calcio. Che va stra-bene cosí, sia chiaro, va benissimo. Spero solo che la Saiwa non faccia troppe pressioni: partite cosí, con poche emozioni e scorribande a orologeria, fanno crollare i consumi di Orociok e tutti noi sappiamo su quali cazzo di equilibri si regga il mercato della galletta col cacao appiccicato sopra.
 
 
 
 

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Handa e Benji

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Abbagliato, come sulla via di Damasco, dal sole che mi batteva contro direttamente dalle onde di uno streaming spagnolo, assistevo – virtualmente sdraiato dietro la nostra porta -all’episodio in cui Sigariiinnniiiii (pronuncia streaming di Cigarini) e Handa, in volo tipo Holly e Benji, si giocavano la partita in un duello manga, avventandosi su un pallone vagante nella nostra area, troppo vicino alla nostra porta, entrambi sforbiciando e tendendo il gambone di ritorno verso la sfera di cuoio (li fanno ancora di cuoio? Nescio).
Ora, bisogna onestamente riconoscere che un fulbar del genere, in una posizione del genere, arpionato in una mezza rovesciata del genere, di solito finisce dentro. Di solito vedi la rete che si gonfia, e anche parecchio, per via della forza del pallone, pum!. No dai, diciamolo. Quindi mi viene da commentare la partita così, un po’ alla Suma e un po’ alla Azimov, un po’ alla King e un po’ alla Paolo Brosio, come una non-sconfitta, o come una sconfitta che vale un punto, o come una para-partita, o come una specie di partita Medjugorje, dove sia pur scetticamente cogli qualcosa di vagamente soprannaturale, del tipo che poi non dici “cazzo abbiamo pareggiato porca merda” ma dici “abbiamo pareggiato, no ma va bene, Bergamo è un campo difficile, non è a Bergamo che devi (aggiungi un verbo), viva l’amore”, cose così.
Cioè, ci è andata bene. E quindi, nel contempo, a una più complessiva analisi della situescion, va male male.
Quattro punti nelle ultime quattro partite, con tre gol segnati, non è esattamente un cammino-scudetto, e rischia di diventare anche problematico in proiezione Champions, il nostro vero obiettivo (non so se avete notato che Inter-Lazio in poi tutti si correggono, “il nostro obiettivo a dire il vero è la Champions”, quelle frasi al ribasso che mi fanno girare il cazzo, con licenza parlando).
E quindi diciamo – se proprio bisogna star lì a non fare i disfattisti, “che se ci avessero detto di firmare (segue resto della frase) – sì, diciamo che non va bene.
Ora, l’unico settore del campo in cui l’Inter attualmente va alla grande è la porta. La nostra. E questo in sè è indice di qualche problema. La difesa è meno gladiatoria di un mese fa (ne prendiamo pochi, per carità, ma sempre più di quelli che mettiamo) e Murillo va resettato come un pc che ogni tanto si pianta. Il centrocampo è in crisi d’identità (che è un po’ la sua condizione naturale, ma a volte questa cosuccia pesa), l’attacco è in crisi, punto, perchè segniamo poco, pochissimo o nulla. Oggi ha segnato uno dell’Atalanta, e meno male. Domenica scorsa di 20 tiri non ne entra uno. Serve un ritiro a Lourdes o una bella sistemata generale, a partire dai singoli cervelli.
Poi c’è il Mancio. Tipo che, tra le altre cose,  io – a gennaio – non avrei fatto giocare uno che – per il diciassettesimo anno consecutivo – stai cercando di vendere entro la fine di gennaio – stiamo parlando del gennaio medesimo, questo -. Oh, magari poi sono particolari (è noto che non capisco). Per fortuna alla fine ha fatto il culo alla squadra, cioè, giusto per marcare i limiti del territorio (va bene pareggiare, ok, ma rischiare di perdere no, ma fare abbastanza cagare no) (ecco).
E comunque non abbiamo perso, quindi bòn, cerchiamo di sollevarci in fretta da questa mediocritas pre e post natalizia. Se Cigarini non ha segnato, forse è stato un segno. In hoc signo svìges*.
(voce del verbo svegliarsi)
handa
(nella foto: cagarsi addosso da un’altra angolazione)

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