Quando esce il calendario

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Questo pezzo l’ho scritto per Il Nero e l’Azzurro
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Il calendario della Serie A è quella cosa che accendi il computer, avvii l’apposito programmino, scrivi il nome di 20 squadre dentro altrettante feritoie e a un certo punto pigi “invio”. Dopo un nanosecondo su un maxischermo appaiono 19 quadrati. Ognuno contiene 10 righe di testo in cui i nomi delle 20 squadre sono accoppiati due a due, e questi accoppiamenti sono tutti diversi
(ohhhhhhhhhhhh)
e nessuno dei 19 quadrati è uguale all’altro, tipo il Sudoku. E’ una tecnica perfezionata negli anni, in tempi meno recenti affidata a un esercito di amanuensi che ci metteva tutta l’estate e, ora, a un dito indice che una sera pigia “invio” e bòn, è fatto. Il risultato, oggi come ieri, è lo stesso. Ciascuna delle squadre iscritte – l’Inter, poniamo – affronterà le altre. Tutte. E per ben due volte, una in casa e una in trasferta, per un totale di 38 partite.
Cioè, è così e basta.
Provo a spiegare. Non è possibile, per esempio, affrontare quattro volte l’Atalanta per evitare lunghe trasferte (nel senso: rinuncio a Palermo e Crotone e chiedo di andare tre volte a Bergamo, tanto più o meno sono uguali). Nè giocare con la Juve meno di due volte (accampando problemi di sicurezza o incompatibilità caratteriale: ne facciamo tre con il Toro e una con la Juve, va bene lo stesso?). O tre volte con il Milan (metti che dopo andata e ritorno serva la bella: tiro via Udine che è scomoda, per dire).
Una volta assodato tutto questo, il tifoso medio, pregno di un’infantile curiosità, procede all’esame critico del calendario. L’ordine di lettura è di solito questo: prima giornata (“vediamo dove si inizia, non vedo l’ora, wow!”), ultima giornata (“vediamo dove si organizza la festa scudetto”), partita con il Milan, partita con la Juve, stop, il resto conta quel che conta. Ma questa è la modalità easy.
Inspiegabilmente, di fronte alla fredda oggettività matematica di un calendario, a un mese dall’inizio del campionato e a 40 giorni dalla fine del mercato, con le squadre – compresa la tua – in divenire, nel bailamme intellettuale che ti coglie nel mezzo tra un’amichevole con la rappresentativa della Valsugana e una col Paris Saint Germain, nella gran parte dei tifosi si scatena la modalità hard.
Così, Chievo-Inter alla prima giornata diventa una “partenza in salita, che bastardi”. Pescara-Inter alla terza, l’11 settembre (la data non facilita le cose), “un colpo basso: chissà che caldo in riva al mare, ricordate la Coppa Davis a Maceiò?”. Inter-Juve alla quarta “l’inizio della fine, ci faranno a pezzi”. Roma-Inter alla settima “il colpo di grazia, che merde”. La serie Milan-Fiorentina-Napoli a cavallo tra novembre e dicembre “un complotto di quegli stronzi della Lega che ci vogliono far retrocedere”.
E poi: quattro soste per la Nazionale, la cui ineluttabilità – in modalità hard – viene seguita da un urlo lancinante, tipo quando Fantozzi apprende dell’improvvisa convocazione del cineforum con il film cecoslovacco sottolitolato in tedesco. E poi: due domeniche che saltano per la sosta natalizia, in virtù di un complotto pluto-cattolico che non riusciamo a scardinare.
E mentre uno (hard) mi spiega che il turno infrasettimanale a Empoli sarà logisticamente dispendioso e l’hanno fatto apposta, e l’altro (easy) che il finale sarà una passeggiata e vinceremo lo scudo con tre giornate di anticipo se non quattro, io mi tappo le orecchie e faccio la-la-la-la-la e prego intimamente che giunga in fretta in 21 agosto. Arriviamo, Chievo: non è stagione di pandoro e quindi – è l’unica certezza – giuocheremo leggeri, tiè.

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Uno squalo di nome Wanda

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Questo pezzo l’ho scritto per Il Nero e L’Azzurro
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Come accade per i figli in certi inesorabili passaggi della vita (“Fa l’università? Sembra ieri che era all’asilo”), non ci siamo ben resi conto – pur avendola davanti agli occhi quasi tutti i giorni – del preciso momento in cui Wanda Nara si è trasformata da amor de mi vida a procuratrice plenipotenziaria di Maurito Icardi, il di lei marito e il di noi capitano. Sembra ieri, appunto, che faceva duke face a nastro o i selfie dal terrazzo vista stadio o le foto in sala parto, in una deriva social che un po’ ci infastidiva ma un po’ ci piaceva, se non altro perchè la Wanda è una donna di un certo livello e Maurito pure – un uomo, un calciatore, si intende – e la telenovela “Anche i Maxi piangono” aveva un suo morboso perchè.
Come ce la ricordavamo, la Wanda Nara? Faceva la moglie e anche la madre, la pin up, la biondona da area riservata, la donna navigata che svezza il suo Maurito senza influire – i numeri parlano chiaro – sul suo rendimento. Anzi, moltiplicandolo: in virtù di quella condizione virtuale e legge non scritta (si è sposato, quindi è tranquillo) che potrebbe non trovare applicazione se la moglie è una gnocca spaziale, e invece sì.
Il problema – per noi – è che Wanda non si è limitata a proporsi come procuratrice (è donna adulta, faccia ciò che vuole). Saltando alcuni passaggi formali e concettuali, si è direttamente trasformata in una versione femminile e ossigenata di Raiola. E lo ha certificato via Twitter, il suo mezzo preferito. Laddove in un tempo molto recente giravano solo foto dei suoi perizoma e di quello statuario lettone che vale il Cud di noi comuni mortali, negli ultimi giorni abbiamo assistito all’esibizione social di una novella procuratrice raiolizzata fino al midollo. Che getta sassi, nasconde mani, lancia messaggi, semina zizzania, sparge cifre e – addirittura, roba giusto concessa a gente ultrasgamata – fa il prezzo.
La questione è seria ma non grave, e va affrontata con il giusto realismo e senza isterismi da tifoso tradito. Sarebbe da sciocchi ignorare che Mauro Icardi è un giocatore che ha mercato, in tutti i sensi: lui non farebbe la minima fatica a trovarsi una nuova squadra e l’Inter ne ricaverebbe un sacco di soldi. Un uomo, una plusvalenza. O penserete di farne una uguale, senza offesa, con Nagatomo?
Che ci siano squadre che vogliono Icardi, in fondo, non serve che ce lo dica Wanda: lo immaginiamo. E immaginiamo pure che a Maurito non dispiacerebbe andare in una squadra che magari fa la Champions, e magari lo paga il doppio. Non è mica un fachiro.
Detto questo, non vorremmo che il raiolismo della procuratrice Nara avesse oltrepassato il limite di guardia già al suo primo incarico. Il ritocco al contratto, la scelta del proprio futuro, il prezzo del cartellino non li decide solo la famiglia Icardi. No, insomma: ci sarebbe anche l’Inter.
Icardi poi non è uno qualunque. E’ il capitano, è il cannoniere, è il pezzo migliore nel rapporto qualità/età/prezzo. Qualsiasi decisione lo riguardi, sarà una decisione importante. E va bene tutto, Wanda, ma non bastano quattro tweet a mettere i paletti.
Dopodiché la nuova figura professionale di Wanda – prima donna al mondo a transitare dallo stato di soubrette a quello di procuratrice di mariti calciatori – che ci piaccia o no va rispettata. L’Inter se la veda con lei, com’è giusto che sia se ha il mandato di Maurito. Ci riempiamo la bocca sulla parità e le pari opportunità, e poi storciamo il naso se Wanda si emancipa, mette il tailleur e va a trattare lo stipendio del marito? No, davvero, che brutte persone siamo?

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Sindrome cinese

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Martedì 31 maggio mi sono addormentato in Italia e mercoledì 1 giugno mi sono svegliato in Cina. La cosa bella è che non avevo spostato minimamente il culo. E non ero neanche in un film tratto da un qualcosa di Stephen King. Semplicemente, la regione in cui risiedo – l’operosa Lombardia – e la lussureggiante località in cui vivo e opero – Pavia, capitale mondiale della zanzara da salasso e della nutria da riporto – si sono virtualmente popolate di pagode e di sputacchi, e soprattutto di soldi – euro, dollari e come cazzo si dice, gli yuan, unità base del Renmimbi, la moneta del popolo (musica austera in sottofondo).
E’ andata così. E’ suonata la sveglia del telefonino, ho allungato la mano verso il comodino, ho spento il plin plin plin, ho appicciato contestualmente internette, ho puntato gli occhietti ancora cisposi sul display
(ditemi voi in quale blogghe uno può permettersi di leggere aggettivi come “cisposo”)
e la Gazza a tradimento mi informava che l’Inter da lì a poco sarebbe diventata cinese.
Minchia, mi sono detto con la voce ancora cisposa.
Fast forward.
Tre ore dopo, a Casa Pavia, lo spazio multifunzionale aperto dal Pavia Calcio nel cuore di Pavia, in piazza della Vittoria sulla Zanzara, il direttore generale del Pavia (mi scuso per l’ossessivo ripetersi del toponimo Pavia)
(ditemi voi in qualche blogghe vedete utilizzata con disinvoltura la parola “toponimo”)
informava giornalisti e folto pubblico che la proprietà dimezzava seduta stante il budget a disposizione e, con esso, le ambizioni di gloria, sottolineando che ad agosto non si partirà per vincere il campionato di Lega Pro ma, se va bene, per rimanerci.
Dal 3 luglio 2014 la proprietà del Pavia è cinese, lo sanno anche i sassi.
E tutto ciò, tutto questo cinesismo assortito, piombato tra capo e collo nel giro di tre ore a un povero interista di Pavia, un uomo bucherellato dalle zanzare e morsicato delle nutrie e devastato dall’amore per la squadra del cuore sballottata nella procella globalizzata, lo trovo molto suggestivo. Anzi no, terribilmente suggestivo. Cinese per parte di squadra cittadina, e cinesizzando per parte di squadra del cuore, mi sono trovato nella giusta condizione per alzarmi di scatto tutto sudato e dire:
“La Cina è vicina e non ho un cazzo da mettermi”.
Ma addiveniamo a un più lucido esame della situazione. Nella mia situazione di cinese ad honorem, o di esperto di calcio cinese in proiezione lombarda, mi trovo nella situazione di poter offrire una personale ma responsabile risposta alla domanda:
“Ma tu ti fidi dei cinesi? E i cinesi dell’Inter saranno mica come i cinesi del Pavia?”
1) Io non mi fido di nessuno, cinesi compresi, questo lo premetto perchè poi non mi veniate a tirare la giacchetta. Anche perchè non indosso giacchette. Quindi che cazzo tirate?
2) Veniamo ai cinesi del Pavia. Ora, dopo due anni, qualche nodo è venuto al pettine. Cioè, qui a Pavia sembrava troppo bello, fin eccessivo. Molta grandeur, stipendioni, progettoni, sogni a lettere maiuscole. Solo un anno fa, in piazza, il presidente arringava la folla con promesse di Serie A e Champions League (giuro, è la verità). Però, debbo dire che i “nostri” cinesi non possono essere catalogati come degli avventurieri. Ci hanno messo i soldi, tanti (rapportati alla Lega Pro). Dal punto di vista sportivo, hanno rilevato una società arrivata ultima (in un campionato che, due anni fa, non prevedeva retrocessioni) e l’hanno portata il primo anno a sfiorare in effetti la B (eliminati al primo turno dei play off dopo un campionato sempre al vertice), il secondo anno a superare tre turni di Coppa Italia (eliminando anche il Bologna, sconfitti poi dal Verona al 90′) e a giocare un campionato tanto ambizioso quanto deludente, rifacendo la squadra a gennaio con innesti altisonanti e -purtroppo – fallimentari. Insomma, il secondo anno è andata a schifio.
Non si sono nascosti, anzi, hanno frequentato il salotto politico della città, accolti da sindaco con fascia tricolore, voglio dire, e l’Università come sponsor e partner per un progetto di formazione sportiva. Hanno portato la Cucinotta e Schwarzenegger (che poi si è defilato, appena in tempo) a girare un film cinese a Pavia, che è una cosa anche concettualmente strepitosa (il film si chiama Magic Card, guardate pure su YouTube). Hanno portato a Pavia allenatori cinesi a imparare il mestiere. Hanno proposto di costruire un nuovo stadio (l’edilizia è il core business del fondo cinese cui fa capo la società), trovando un certo interesse del tipo “noi non vi rompiamo i coglioni su terreni licenze ecc. ecc. però sono cazzi vostri”, e infatti per un po’ ne hanno parlato e poi più. Hanno aperto in piazza della Vittoria sulla Zanzara un negozio su due piani, una specie di Pavia Store che vende anche prodotti del territorio: una cosa visibile, vera, tangibile e probabilmente un po’ sproporzionata (cioè, io non è che un giorno sì e uno no vado all’Inter Store, voglio dire, figurati al Pavia Store).
Insomma, le cose le fanno. Magari un po’ così, ma le fanno, le hanno fatte, probabilmente ne faranno ancora. Sì, un po’ così, ecco: esonerano allenatori qualificati ai play off alla penultima di campionato, per esempio. O fanno piazza pulita di interi management nel giro di mezza estate. O esonerano altri due allenatori, quello del girone d’andata e quello con cui avevano rifatto la squadra per il girone di ritorno. Prendono nazionali maltesi, ex nazionali cechi, gente così. Prendono anche punti di penalizzazione perchè non versano i contributi in tempo. Riportano la gente allo stadio, molta. Ma quest’anno – siccome non vinci, siccome giochi di merda, siccome fai casini su casini – è finita con i cori contro e tanti saluti.
3) Veniamo ai cinesi dell’Inter. Tra Pavia e Inter e relativi cinesi va fatta la relativa tara e la relativa proporzione. A Milano sbarcano cinesi di un enormissimo gruppo commerciale e finanziario, presieduto da uno degli uomini più liquidi della Cina e quindi del mondo. A Pavia i cinesi sono venuti a sperimentare, a Milano – all’Inter – i cinesi vengono per fare subito business, che vuole anche dire vincere (sennò il business viene male).
Storcere il naso, per gente che da due anni è indonesiana, fa un po’ ridere. E fa un po’ ridere anche su scala internazionale, perchè siamo qui a invidiare quotidianamente squadre in mano a sceicchi e magnati vari e poi, all’arrivo dei cinesi, ci guardiamo smarriti. Questo purtroppo è il calcio, bellezza. E dico purtroppo perchè sono anziano, non sono nativo del calcio 2.0 che cambia mani e dimensioni e asset come io mi cambio le mutande. Nato e cresciuto con presidenti milanesi, adesso mi fa un’enorme impressione diventare cinese due anni dopo essere diventato indonesiano. Ma è un passaggio necessario, non vedo alternative. In Italia ce ne sono poche, e nessuna al livello che sogniamo noi.
Ah, non secondario: in tutto questo noi, noi tifosotti, cosa possiamo fare?
Il cambiamento vero c’è stato due anni fa (nel frattempo non è morto nessuno e l’Inter esiste ancora). Ora c’è un upgrade, certo, un upgrade bello pesante. Posso giusto sperare che il nuovo assetto all chinese sia perlomeno un po’ più duraturo. Non ho voglia di affrontare ogni due anni un cambio di proprietà e di etnia, non ce la posso fare. Voglio un bel progetto
(tutti dicono progetto)
e voglio volare alto, tornare a mordere il culo alla Juve, tornare a sentire la musichetta deciempiooooooooons, insomma, tornare a guardare dall’alto verso il basso la stragrande maggioranza dell’umanità pallonara. E lo dico adesso, ammantandomi di una superficialità che quasi mi fa paura, ma bauscizzandomi il giusto: che siano euro, dollari o Renminbi, l’importante è ci siano. E che il nerazzurro domini il mondo. Io, nel mio piccolo, sarò interista anche con un presidente della Cayman e con la retrocessione in Eccellenza per bancarotta supercazzola fraudolenta: è una debolezza che sento di potermi permettere. Perché l’Inter ci sarà sempre, e una cosa resterà chiara fino alla notte dei tempi: Juve melda.
 

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Buffon, ovvero: l'insostenibile leggerezza della Gazza

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Buongiorno.
(brusio)
Una équipe di…
(forte brusio, accenno di applauso)
Una équipe di…
(voce maschile dal fondo) “…scienziati dell’Università di Sassuolo”
(forte brusio, risate soffocate)
Non la caccio fuori solo perché mi sento particolarmente fragile.
(silenzio)
Una équipe di scienziati… No, debbo essere sincero. Una équipe di giornalisti della Gazzetta dello Sport…
(forte brusio)
(altra voce maschile dal fondo) “Cos’è questo brusio? La Gazza fa testo, non facciamo gli schizzinosi”
Infatti, sono d’accordo. Dicevo: una équipe di giornalisti della Gazzetta  dello Sport…
(silenzio)
ha stabilito che Gianluigi Buffon è il più forte giocatore italiano di tutti i tempi.
(maschio dalle prime file) “Ahahahahahahahahahahah, stratosferico. No, dai, non ci credo… ahahahahahahahahah, ma che sostanze hanno assunto? Ahahahahahahahah, santa madonna”
Venga.
“Mi scusi, davvero. È stato l’istinto. Non volevo, ma…”.
28 le va bene?
“Grazie, non me lo aspettavo”.
Bene. Domande?
(voce maschile) “Ma si riferisce a Sportweek di due sabati fa?”
Sì, ma non mi sono ancora dato pace. Altro?
(voce femminile dal fondo) “Lei è d’accordo con questa bizzarra tesi, professore?”
Naturalmente la trovo del tutto discutibile per non dire balzana e…
(vola un reggiseno)
Non per fare polemica, ma di solito non lo lancia a fine lezione?
“(sospiro) Volevo giuocare la carta a sorpresa”
Glielo appoggio qui, lo può riprendere alla fine. Dunque, affrontiamo l’argomento con una tecnica innovativa e costruttiva. Non limitiamoci a…
(voce maschile dal fondo) “… a dire che è una cazzata”
(brusio, risolini)
…a demolire l’impianto del ragionamento gazzettesco. No, noi dobbiamo motivare. Adesso a turno diciamo un giocatore che è meglio di Buffon. Un giocatore che è meglio di Buffon oggettivamente. Per esempio, lei.
(ripiegando “Sport & Scommesse”) “Ero distratto. Può ripetere?”
“Non puoi mancare di rispetto al professore!”
“Zitta, troia!”
(forte brusio, insulti, sedie che si spostano)
Esca.
(rumore di passi)
Venga qui. (sottovoce) Va per caso alla Snai?
(sottovoce) “Ovvio”
(sottovoce) Volevo giocare la finale di Coppa Italia delle isole Faroer.
(sottovoce) “Intende la finale di Coppa Faroer”
(sottovoce). Sì, semplificazione corretta. Ecco 5 euro. Mi giochi un combo con “primo tempo no goal” e “partita sospesa per vento”.
(sottovoce) “Ok, arrivederci”.
Dunque, dicevamo?
(maschio in prima fila) “Va bene, inizio io. Io dico Zoff. Buffon non è nemmeno il primo dei portieri, come minimo è il secondo”.
Molto bene. Altri?
(femmina nel mezzo) “Beh, io  gli metterei davanti anche i Palloni d’oro, no?”
Tesi interessante. Quindi?
“Rivera e Roberto Baggio tutta la vita. Paolo Rossi vabbe’, potremmo parlarne, però è simpatico, e fateli voi sei gol in un Mondiale. Poi c’è quel tamarro di Cannavaro”
(voce maschile poco distante) “Posso spezzare una lancia a favore di Gigi Buffon?”
Sì, ma faccia in fretta.
“Il Pallone d’Oro a Cannavaro è un po’ anche di Buffon”
Sì, anche di Zaccardo se è per quello. Rimaniamo ai fatti, vi prego. Altri?
(voce maschile dalle prime file): “No, volevo ricordare che c’è gente che di Mondiali ne ha vinti due. Minimo ci metterei Meazza. Ma minimo, eh?”
(altra voce maschile, masticando chewingum) “No, dico, e quel tizio che ha segnato centomila gol e gli hanno intitolato una fermata della metro?”
Intende Silvio Piola?
“Sì, bravo”
(voce femminile dal fondo) “Ehi, rispetta il signor professore. È mica tuo fratello”
“Taci, illusa”
“Argh! Come ti permetti?”
(forte brusio, tentativo di aggressione)
Vi prego. Altri?
(tizio con la sciarpa rossonera) “Su Sportweek stesso si dice che il giocatore italiano con più titoli è Paolo Maldini. No, dico. Se posso, ci aggiungerei Franco Baresi”
(tizio con la sciarpa nerazzurra) “Cerco di trattenermi, professore. Mi limito alla Grande Inter e ai Mondiali del Messico. Facchetti. Ci aggiungo Mazzola, visto che il collega ha aggiunto Franco Baresi”.
(tizio con la sciarpa bianconera) “Io…”
(ululati, insulti, lancio di oggetti)
“Ehi, un po’ di fair play!”
(rumori, tentativi di linciaggio, intemperanze verbali)
“Boniperti e… argh!”
Lasciatelo stare, vi prego. Altri?
(tizio con la sciarpa granata) “A quelli del Grande Torino, mi consenta, Buffon manco gli lucidava le scarpe. Dico Valentino Mazzola, come minimo. E se posso continuare nel filone non-mainstream…”
Prego.
“… Ci metto anche Totti e ovviamente Gigi Riva, che il Lesster gli fa un baffo”
(voce maschile dal fondo) “Lei-ce-ster”
“Lesster, gnuránt!”
(forte brusio, accenno di rissa)
Va bene, sta per finire l’ora. Qualcuno ha tenuto il conto?
(voce maschile dal fondo) “Quindici”.
Bene. Buffon è il sedicesimo giocatore italiano della storia. Arrivederci.
(voce femminile dal fondo) “Professore, la sua brutalità è il valore aggiunto della mia vita”
(vola un reggiseno)
No, scusi, ma lei quanti reggipetti ha?
“(sospiro) Oggi c’erano i saldi da Tezenis”
Arrivederci.
(voce maschile) “Professore, è finito il campionato: è contento?”
Sono sempre contento quando finisce il campionato.
(voce femminile dal fondo, sospirando) “E’ il segno del tempo che passa”
(voce maschile di fianco) “Che passa invano”
(accenno di rissa, subito sedato)
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Sprazzi di Inter

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Cioè, trovatemi voi una squadra più intellettualmente impegnativa dell’Inter. Per dire: con una giornata di anticipo – quindi, dandovi 7 giorni di tempo in più per rimuginare il senso di una stagione – ci scodella il risultato definitivo e noi tifosotti restiamo lì come quelli della Mascherpa, incapaci di emettere un giudizio definitivo.
Quarto posto in campionato.
Che è il miglior risultato degli ultimi cinque anni. Più una semifinale di Coppa Italia persa ai rigori.  Apperò. E quindi cosa facciamo? Come ci poniamo? Quanto siamo soddisfatti? O quanto siamo delusi? Quanto è pieno o vuoto il nostro bicchiere?
La risposta è: boh.
Sarebbe il caso di fare una media ponderata di questi ultimi cinque anni, tutti zero tituli, in cui il massimo che abbiamo saputo fare è arrivare quarti in campionato e/o in semifinale di Coppa Italia. E quando c’era pure l’Europa, bei tempi, agli ottavi di Champions o di Europa League.
Quindi potremmo anche essere abbastanza contenti.
Però è anche vero che Mancini ha avuto a disposizione molto di più rispetto a chi lo ha preceduto. E parlando proprio di quest’anno, molto molto di più. Ogni tanto mi sveglio di notte tutto sudato pensando a cosa avevano rifilato al povero Mazzarri. D’accordo, lui era un testone e poi è anche piovuto e tutto è andato a ramengo. Però poverino, e poverini noi, a farci forza a vicenda sussurrando che M’Vila non aveva le gambe così storte e Kuzmanovic non era così male e Osvaldo non era pirla come dicevano tutti.
Il capitale umano di quest’anno, al netto di qualche approssimazione, non l’ha avuto a disposizione nessuno degli altri allenatori di questi disgraziati cinque anni. Dopo anni di Inter “a togliere”, Mancini ha avuto il privilegio di “aggiungere”. Addirittura, di scegliere. Certo, nel limite della nostra essenza (perchè, ahinoi, non siamo più di prima fascia) e delle nostre possibilità (buone, non illimitate). Però ha scelto, dato indicazioni, segnato priorità. Non ha avuto tutto, ma parecchio.
E quindi questo quarto posto è: abbastanza rispetto alle quattro stagioni precedenti, ma poco rispetto alle possibilitá di quest’anno. Possibilitá reali, non teoriche. Le possibilità che ci si erano prospettate fino a Natale, in un campionato condotto anche con 4 punti di vantaggio, con un titolo d’inverno sfumato negli ultimi 90′ del girone d’andata, prima che sfumasse anche il culo e, soprattutto, prima che tornasse la Juve.
È un campionato da 6. Perché l’alunna Inter non si è sempre impegnata fino in fondo, e di fronte ai compiti più impegnativi spesso se l’è fatta addosso. In compenso ha dato segnali di vita e qualche sprazzo di genio e di talento. Da qui ripartiamo, dagli sprazzi migliori. Con il Mancio, in particolare, non si potrà più essere così indulgenti. Dopo questo campionato, anche noi possiamo permetterci di avere un pochino di puzza sotto il naso. Un pochino.
 

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Non tifo Leicester (si chiama invidia)

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What about the contracted British pronunciation of place names like “Worcester,” “Gloucester,” and “Leicester”? As you know, the names of those English cities are much easier to say than to write. They sound like WOOS-ter (with the “oo” of “wood”), GLOSS-ter, and LESS-ter.
Ora, il problema – per quanto mi riguarda – era sempre stato Worcester. Provate voi ad andare a comprare la salsa Worcester (pronunciata all’italiana, Uorcèster, o Uòrcester, che fa anche più figo) pronunciandola all’inglese: “Buongiorno, ha la salsa Uh-ster?” “Ehhhh? Mai avuta, provi dai cinesi, oppure in Svizzera”. “Ma scusi, vedo la bottiglietta”. “Ah, la Uorcéster. Uster? Ma parla come mangi, santiddio”.
Quando nel corso di una lezione di inglese, in età ormai ampiamente adulta, conobbi il segreto della pronuncia di queste tre città, fui avvinto da un totale senso di smarrimento. A me Lèicester, pronunciato all’italiana, con l’accento sulla prima e, non dispiaceva affatto come parola, anzi, era proprio bella. Lesster no, non mi piaceva. Per me esisteva solo Lester Piggot, il fantino, o Lester Young, il jazzista. La città di Lester non mi piaceva, preferivo Lèicester, aveva un che di antico.
Quindi, dovevo resettare. Lesster, lesster, lesster.
Confesso tutto questo per distinguermi culturalmente e sportivamente dal lessterismo delle ultime ore. Ora, al netto della simpatia per Ranieri e dell’empatia con un italiano che vince lo scudetto in Inghilterra con una squadra che non lo aveva mai fatto prima in culo ai vari Manchester eccetera eccetera – quindi, al netto di una forte simpatia e di una forte empatia -,  che cazzo c’entriamo noi con il Leicester?
Mi trovo circondato da gente che parla del Leicester come se lo seguisse da sempre, come se non aspettasse altro che lo scudetto dei Leicester, come se il Leicester fosse per osmosi la sua rivincita personale, sportiva, sociale, esoterica, umana e filosofica.
Osmosi de che?
E’ che noi – noi italiani, intendo – siamo fatti così. Tra poco inizierà la fase più divertente del nostro zelighismo intellettuale: le Olimpiadi. Spunteranno come funghi persone – anche tra i vostri amici più cari – che per quattro anni vedete occuparsi solo di calcio ed esprimersi con suoni gutturali, e che d’improvviso saranno esperti di tutto, dal taekwondo alla vela classe Soling.
“Cazzo, hai visto il fioretto ieri sera?”
A bbello, fioretto de che? Ma tu la sai la differenza tra fioretto, spada e sciabola?
“Dunque, la sciabola… (silenzio)”
Due mesi fa tutti – tutti! – parlavano della scarsa organizzazione delle polizie francesi e belghe, e soprattutto della incomunicabilità tra intelligence in Europa (ho visto gente che non sa fare due più due discutere di intelligence come fossero reincarnazioni di Edgar J. Hoover). Poi, improvvisamente, il silenzio. Due settimane fa sentivo fare disquisizioni sulle trivellazioni a gente che sa distinguere giusto la benzina dal gasolio quando va a fare il pieno.
“No, perchè le concessioni, le miglia, il futuro energetico…”
Descrivimi una piattaforma petrolifera.
“Dunque, c’è il mare, no?, ok, e poi tu ci metti due tralicci… (silenzio)”
Il lessterismo è figlio di tutto questo, ne sono certo. Noi abbiamo bisogno di una moda ogni 15 giorni, massimo un mese. Poi la cambiamo. Quindi, fino a metà maggio tutti vi romperanno il cazzo su quanto è bello il Leicester (peccato questo accavallarsi con il Crotone, sennò ci sarebbe stato il Crotone: ma vuoi mettere “Leicester” e “Crotone”? Naaaa), poi all’incirca dal 16 maggio subentrerà qualcos’altro. Non siamo in grado di resistere di più, perchè poi ci annoiamo.
Il Leicester è una bella storia, bellissima. E noi sospiriamo guardandola da qua, con un pizzico di invidia per una gioia così violenta e liberatoria. Però stop, morta lì. Non siamo di Leicester. Io sono di Voghera, forzatamente trapiantato a Pavia. Voghera non è la Leicester della Lombardia. Pavia nemmeno, è piena di zanzare e di nutrie. Il Pavia ha la maglia simile a quella del Leicester, però è il Lega Pro e ultimamente fa cagare.
Io non dico: non gioite per il Leicester. Anzi, gioisco anch’io. Dico solo: rilassatevi, voi non siete di Leicester e del Leicester, non lo siete mai stati e non lo sarete mai. Lo so che è triste, ma è così.
Mi rivolgo dunque a chi sa ancora distinguere se stesso dal Leicester. Ecco, in questi 15 giorni di vita leissteriana, toglietevi qualche soddisfazione. Al tifoso del Leicester che avrete di fianco in treno, in mensa, al bar, al cinema, a Gardaland, all’Esselunga o durante una gang bang, fate qualche domanda trabocchetto. Così, per valutare la caducità del lessterismo. Di che colore è la maglia del Leicester? Mi dici tre giocatori del Leicester (Vardy non vale) (come sarebbe a dire “chi è Vardy?”)? Mi dici dov’è approssimativamente Leicester (nord, centro, sud, più o meno)?
Poi, se volete fare i fighi: chi è il presidente del Leicester?
Questa è difficile: Vichai Srivaddhanaprabha. Che è l’unica cosa che mi rende davvero interessante il Leicester, a parte la simpatia, l’empatia eccetera. E cioè: è possibile che un miliardario dell’estremo oriente compri una squadra in occidente e la porti allo scudetto. E allora viva il Leicester, lunga vita al Leicester e Juve merda, prima che si diventi tutti esperti di (in ordine di tempo) amministrazioni comunali romane o milanesi, riforme costituzionali, dressage, tiro a volo double trap o presidenti americani donna e/o col riporto.

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Che Dominika bestiale

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L’Inter ha avuto un buon impatto con la partita: un uomo anziano, dopo sette minuti, scherza la difesa con un triangolo scolastico, balla il geghegè davanti ad Handa che fa il limbo e si corica, fa un cucchiaio che sembra un mestolone da marmitta militare e bòn, è finita.
Cioè, al settimo minuto (e qualche secondo) di solito le partite iniziano, ma la nostra è finita. Di solito le partite si rimediano, ma la nostra è irrimediabile e i nostri sono irrimediabilmente decisi a non rimediarla. Il primo tempo è una roba oscena tipo City-Real al quadrato, quelle partite nelle quali ti chiedi come mai hai eletto il calcio a tuo sport preferito e non, chessò, la lotta greco-romana. L’Inter è molle come un Certosino. Mi prende un abbiocco clamoroso che di solito domino, ma che stavolta assecondo.
“Oh – penso nel dormiveglia diagonale sul divano – magari mi addomento, poi mi sveglio e stiamo 1-1 e sono contento e bòn”.
Non accade.
Nel secondo tempo, dove mettiamo insieme alcune occasioni davvero eccitanti, che al confronto Don Matteo 10 è Breaking Bad, a un certo punto prendo una decisione: giro sul 64.
“Vaffanculo. 64”, dico brandendo il telecomando come una banderilla.
Il 64 è il mio canale jolly. L’Inter fa cagare? Non c’è un cazzo in tv? Ho 10 minuti di relax? Fa troppo caldo/troppo freddo per uscire? H0 5 minuti liberi? Non ho voglia di andare a fare la spesa? Vado a correre, anzi no, vado tra un quarto d’ora? Il tg non è ancora iniziato? Lazio-Inter è la prima causa di impotenza nell’uomo?
Giro sul 64.
Fanculo Inter, giro sul 64. 64 forever, diobono. E mi trovo nel bel mezzo di Cibulkova-Radwanska. Cioè, l’ambientazione è una roba alla Stephen King, quelle cose che guardi e riguardi e non ci capisci un cazzo. E’ domenica, quindi è la finale? No, è il primo turno di Madrid. Primo turno? Roba da matti. Fa un freddo becco, le due sono belle bardate. La telecamera allarga: in uno stadio da 10mila spettatori ce ne saranno sì e no 2-300. No dico, Cibulkova-Radwanska. Mica Torti-amico di Torti. Incredibile.
‘Spetta che giro. Sempre 1-0 per la Lazio.
Vai sul 64 santa madonna. La Cibulkova sta 6-4 5-3, poi va in pappa come spesso le accade, la Cibulkova ha le paturnie e la Radwanska vince il secondo al tie break. Questa sì che è una partita eccitante, mica quella fetecchia di Lazio-Inter.
L’Inter (sospiro).
Preso dal rimorso, giro su Lazio-Inter. Noto un frenetico forcing da parte dei miei beniamini, una roba che farebbe addormentare un bambino con le coliche. Poi vedo un esagitato, pettinato come Rodolfo Valentino, che cerca di spezzare i legamenti a uno della Lazio nel bel mezzo dell’area. Matthew McConaughey, fin lì molto sbilanciato verso di noi – quando le partite non contano più un cazzo, allora si sbilanciano -, non può esimersi dal fischiare il rigore, espellere Rodolfo Valentino e chiederne l’estradizione in Colombia con rogatoria internazionale e firma in questura.
Tira Candreva, gol, spogliarello, merda, 2-0.
A quel punto mi metto nella posizione del loto sul divano, mi concentro e mi dico:
“Non incazzarti, guarda cosa fa la Cibulkova”.
La Cibulkova, che è l’Antonella Clerici slovacca – cioè, un tipino slanciato -, fa il contrario dell’Inter: messa sotto, ha un sussulto e la mette in culo alla testa di serie numero 2. 6-3 al terzo e via, a casa, torna in Polonia. Certo che la Cibulkova è sfigata: fa questo po-pò di partita e non la vede nessuno, nè a Madrid nè sul 64, perchè erano tutti a guardare il concerto del Primo maggio o Lazio-Inter.
Ma io no, cara Dominika dal lombo ubertoso e dal culo basso. No, voglio dire, se per caso lasci il tuo fidanzato-hipster-allenatore, potresti fare un pensierino su di me, il tuo fan della pianura padana, l’unico uomo che pur di non guardare l’Inter farse schifo (molto molto schifo) ha guardato te nella tundra spagnola fare a fettine quella spocchiosetta di Agnieszka o come cazzo si scrive.
Juve merda l’avevo già detto? No? Vabbe’, allora Juve merda.
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Con quelle facce da stranieri

Per alcuni minuti ho pensato che annullassero la partita.  Cioè, ‘sta cosa che non c’erano italiani in campo la stavano mettendo giù dura da dio. Che poi, porca puttana, era solo colpa nostra? Cioè, l’Udinese non poteva mettere dentro un italiano e sanare ‘sto guazzabuglio? Tocca per forza a noi? Non ci può essere un po’ di fair play, santa polenta? Cioè, ci si telefona prima, “senti, non hai un qualche scarto di italiano da mettere, così non ci cagano il cazzo?”, “mah, adesso vedo… Tu non puoi mettere Eder, per dire?”, “ma vale Eder?” “figa se vale, giuoca in nazionale!”, “la nostra?”, “giuro!”, “vvabbe’, verifico, ma tu non puoi mettere tipo Di Natale?” “Di Natale chi?”.
Niente, poi si fa la distinta e bòn, ventidue stranieri e via. Non era mai capitato nella storia. La mia prima reazione è:
“Minchia!”
La seconda è:
“E allora?”
La terza è:
“Ma santiddio, fate sei ora di coda al padiglione del Giappone e adesso venite a rompere le palle a noi?”
Ma lo scandalo è ormai esploso. I commentatori a quel punto sbroccano e io che sono sensibile vado in confusione: adesso l’arbitro cosa fa, rinvia la partita? La dá persa a tutte e due?  Chiama l’esercito e fa rastrellare il campo?
No. Si gioca. Sub judice, forse, ma si gioca.
Ogni tre minuti inquadrano Thohir, indonesiano. Al suo fianco c’è Zanetti, argentino. Sotto c’è Bolingbroke, inglese, insieme a un sacco di cinesi. Io, tutto sudato, mi alzo in piedi sul divano e urlo:
“Cazzo, ma c’è un italiano? Uno?”
In quel momento segna Thereau, francese. In dialetto pavese Thereau significa “individuo tipicamente meridionale”. Forse è italiano, mi dico. Comunque poi pareggia Jovetic, montenegrino, e siccome nessuno sospende la partita comincio a pensare che sia tutto regolare in culo agli autarchici del mio membro virile.
Regolare, si gioca. Quindi, bisogna vincerla. Poi al limite Mediaset Premium fará ricorso, ma intanto portiamola a casa. Quando l’Udinese mette dentro Pasquale, è ormai chiaro che la partita ha tutti i crismi di regolarità. Jovetic segna di tetta, Kondo sembra risorto, Brozo spunta dappertutto, poi entrano D’Ambrosio ed Eder è ormai è festival italiano, pizza e mandolino, mafia, moda, spaghetti, uè uè uè, che bello il calcio italiano, che bella l’Italia, eccetera.
Le inquadrature in tribuna, non-luogo multietnico, diventano più fitte. Ogni minuto inquadrano Thohir e i cinesi. Alla fine son tutti lá che brindano, cin cin, cui en lai, cin cin, mentre io sono steso sul pavimento stravolto dal mancato pareggio dell’Udinese.
“Ha segnato Eder!”
“Ma quando? Ma chi? L’italiano? Il nostro?”
Figa, non si può vivere così. Adesso aspettiamo l’omologa del risultato. Non ho altro da dire se non Juve merda, così, per partito preso. Viva il calcio italiano.
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Ubi De Maio Inter cessat

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L’Inter non sbloccava la situescion mentre la Roma, per due volte, stava sotto con il Toro: tutto questo, oltre a frustrarmi un casino, mi sembrava giá terribilmente simbolico di una stagione che si è dipanata così, tra molte aspettative e pochi gol segnati – le aspettative e i gol devono essere direttamente proporzionali, sennò sono cazzi.
Quando De Maio, il cantante dei Fine Young Cannibals, marcato da Telles come se avesse la scabbia purulenta fulminate da contatto della minchia di mio zio in carriola demmerda argh!, De Maio, dicevo, canticchiando “Johnny come home” segnava il gol del Genoa – De Maio non segnava da un anno – e contemporaneamente il Pupone sistemava le cose a Roma, il quadro si componeva di brutto. L’affidabilità offensiva e morale di questa squadra non è ancora adeguata agli obiettivi, sennò da certe partite (quella di stasera come giá in altre sette-otto occasioni)  usciresti in un altro modo. Non scornato così, dopo aver annusato l’odore di Chiampions e, nello stretto giro di mezz’oretta, rinunciandovi per sempre.
Una sera ti prendi quasi gioco del Napoli e, quattro sere dopo, non riesci a metterla contro una squadra giá mentalmente fuori dalle paturnie di campionato. E vabbè’, questi siamo e non è una novitá. Li amo lo stesso, di default. Mi sta prendendo la rilassatezza da fine campionato, uno spleen calcistico agevolato dall’insopportabilitá del quinto scudo dei gobbacci di merda e dai 12 Ringo al cioccolato che mi sono mangiato nel secondo tempo, porca puttana, che mi ci vorranno trenta chilometri a buttarli giù.

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Jonas, il Gufo e l'Infiltrato

Mentre mi reco allo stadio Meazza per assistere a Inter-Napoli, faccio un pronostico basandomi su fattori puramente esoterici: “Essendoci Thohir allo stadio, dovremmo perdere. Ma siccome vincendo regaleremmo lo scudetto alla Juve, vinceremo fisso”. E’ quindi così, con animo leggero, che mi appropinquo alla cancellata, dove a domanda di uno steward gentile ma muscolare estraggo l’abbonamento che mi hanno gentilmente prestato, intestato a Nick Jonas, quello dei Jonas Brother ormai avviato a una brillante carriera da solista.
“Lei è Nick Jonas?”
“No, guardi, ho stampato l’apposito modulo di cambio usufruttore”.
“Sì, ma in che rapporti è con Nick Jonas?”
“Scusi, ma a lei che cazzo gliene frega?”
“E’ per una mia forma di piccata puntigliosità professionale”.
“Sono il padre. Roberto Jonas, Bob per gli amici”.
“Prego, passi pure”.
Mi dirigo verso il posto assegnato. Per la legge del marketing macroeconomico della minchia fritta, un posto che quindici anni  fa era blu e costava diecimila lire e via, oggi è rosso e costa alcuni bigliettoni della nuova divisa. Tra vent’anni il primo anello sarà tutto rosso come la barriera corallina e ci vorrà il mutuo.
Ma a me, Bob Jonas senior, chemmefrega? Mentre sono ancora lì avvinto dallo spettacolo dello stadio parecchio pieno, mi accorgo che Medel sciabatta una palla verso Maurito che ci si avventa e la insacca.
“Gaaaaaaaaaaaaaa”.
E lì mi accorgo dello strano figuro che ho davanti. Un tizio che su WhatsApp continua a mandare la foto di lui medesimo insieme a Thohir (Thohir!), ma che in realtà
tifa Napoli.
Infatti al gol di Maurito resta lì tipo statua di sale. Poi si rianima quando il Napoli attacca, comincia a tifare, si lascia andare:
“Iamme!”
Ma perchè ha la foto con Thohir? Come avrà fatto? Da quel momento lo battezzo:
l’Infiltrato.
Se la prende con Icardi (“P’tte ci vuole Maccc-si Lopez!”), se la prende con la curva (“Che ignoranza! Fanno uhuhuhu e c’hanno la squadra piena di negri!”), se la prende con quasi tutti i suoi (“Marò che partita e’mmerda”), poi se lo prende in culo quando Brozo la mette e la partita puff!, finisce lì.
“Ahhhhmmerdmaròahhhiammsfaccimm”
L’Infiltrato riceve un messaggio.:
“Icardi era in fuorigioco di tre metri! Tremmetri! Ahhhhmmerdmaròahhhiammsfaccimm”.
Poverino. Io, rilassatissimo, ormai faccio pablic relescion. Incontro nell’ordine Robbie The Monz, un uomo sociale; Antò, il Gufo titolare; Nick Jonas, che viene a riprendersi l’abbonamento e mi racconta del suo disgustoso bacio con Miley Cyrus:
“Cioè?”
“La prima persona che ho baciato è stata Miley Cyrus, fuori dal California Pizza Kitchen ad Hollywood. E’ stato romantico ma io avevo appena mangiato una pizza con le cipolle. Credo che il mio alito fosse terribile”.
Vabbe’, gli ho detto, guarda l’Infiltrato e consòlati, lui sì che soffre.
Il secondo tempo va giù veloce come un Gatorade dopo una mezza maratona. Faccio conversazione rilassata con il Gufo, che poi mi invita a bordocampo:
“Vieni, fratello: scendi meco a respirare il profumo dell’erba”.
Passo davanti all’Infiltrato, prostrato come Bertolaso davanti ai sondaggi di Roma. Respiro l’erba, saluto Ale lo scudiero della Balaustra che scende dalla scala tipo Wanda Osiris e poi niente, prendo e torno al parcheggio. Mi passano davanti i punti gettati nel cesso, ma la serata è tiepida, l’umore è alto e mi prendo una Heineken prima che, anche solo per ipotesi, mi potessero un po’ girare i coglioni. Amala, forza Inter, abbasso l’Infiltrato, Juve merda approfittatrice almeno ringrazia fanculo ciao.
icardinapoli
 

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