Dopo il 4-4 con la Juve, la trasferta di Empoli poteva comportare qualche rischio. Classica partita che passa alla storia di un campionato solo se non la vinci: e invece missione compiuta, con percorso facilitato (con l’Empoli in dieci per un’ora, le statistiche parlano di un 78% di possesso palla e 11 tiri contro 2). Vittoria comunque non del tutto banale, contro una squadra che aveva perso solo due volte (meno di Atalanta, Milan, Roma e Lazio), che aveva la terza miglior difesa del campionato e in casa aveva preso solo un gol. Se Inter-Juve aveva lasciato qualche scoria, non si è notato troppo.
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Nelle ultime sette partite l’Inter ha vinto sei volte e pareggiata una, segnato 19 gol e subiti 8, con quattro clean sheet. I numeri non mentono: in attacco viaggiamo a quasi tre gol di media a partita con un Lautaro (che a Empoli ha segnato il suo 134esimo gol con l’Inter, quello che gli regala il primato di miglior nostro cannoniere straniero di tutti i tempi) ancora non nel pieno delle sue funzioni. E tenere questo passo con mezzo Lautaro non è male. Dietro siamo quelli che siamo: cioè gli stessi dell’anno scorso in versione più lenta e insicura. Possiamo solo migliorare (più che altro, dobbiamo).
A Empoli hanno segnato due giocatori in momento critico. Ok, Lautaro ha iniziato tardi bla bla bla, adesso è finita anche ‘sta tiritera del Pallone d’Oro, ora non può che crescere e noi lo aspettiamo volentieri, è il nostro capitano, la punta di diamante – che cosa possiamo fare se non aspettarlo volentieri? Poi c’è Frattesi, un centrocampista con spiccata vocazione offensiva che a fine ottobre ha già segnato sei gol (tre con noi, tre con l’Italia) e quando segna con noi non sorride (con l’Italia invece sorride molto). Ora, il motivo c’è: a Udine pensava di aver segnato in fuorigioco, a Empoli non ha esultato per rispetto verso i suoi ex tifosi, tutto a posto. Però quei non-sorrisi restano metaforici per un giocatore le cui ambizioni restano un po’ sacrificate: uno che è più sicuro di giocare con la Nazionale che non con la sua squadra di club, questa è la cruda realtà. Però Frattesi noi ce l’abbiamo bisogno proprio così, uno sempre pronto, uno che ti può spaccare le partite subentrando, uno che nonostante il notevole profilo è uno dei sei del nostro centrocampo e negli schemi mentali dell’allenatore non è nei primi tre. Uno che forse, con i nostri chiari di luna difensivi, non è abbastanza centrocampista per giocare nel nostro centrocampo (non so se si capisce). Però Frattesi ce lo abbiamo noi, ecco.
Adesso giochiamo tre volte a San Siro in otto giorni, prima con la penultima in classifica poi con Arsenal e Napoli, un crescendo micidiale (e tre modalità diverse) da cui si capiranno un sacco di cose. Tipo chi siamo, e dove andiamo.
(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #83, con il mio socio ex aspirante pensionato (ora effettivamente in quiescenza), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Pavia? Gli 883? Siamo qui apposta.
(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)