Il turnover e l’arte di non rompere le palle

Due pareggi in due trasferte, quattro punti lasciati per strada, la vetta della classifica già ceduta al Napoli di Antonio Conte che, non a caso, non farà le coppe. Nessuna crisi, nessun allarme, soltanto un messaggio per Simone Inzaghi: col turnover l’Inter non è più la squadra ammazzacampionato.

E’ l’inizio di un articolo del Fatto (dell’altro ieri: nel frattempo la testa della classifica se l’è presa l’Udinese, un’altra che non a caso non fa le coppe) e mi ha incuriosito la sentenza: col turnover l’Inter non è più la squadra ammazzacampionato. Nel senso che il campionato lo vinceremmo solo schierando la formazione tipo per 38 partite, più tutte quelle di coppa (sicure, fino a gennaio compreso, sono tipo altre 13 o 14) (e gennaio è solo a meta stagione)?

Sulla faccenda del turnover bisognerà intendersi, anche tra noi tifosotti. Se vogliamo arrivare vivi fino a luglio, il turnover dovremo farlo eccome, sempre sperando che nessuno si faccia seriamente male. Quindi, il turnover diventa in un certo modo strutturale. Noi – noi tifosotti, intendo – dobbiamo cambiare modo di pensare. A cominciare da “e che cazzo, ma proprio col Monza vai a fare il turnover!” che, giuro, ho sentito risuonare al bar qui sotto. Al che stavo per andare al banco, a torso nudo, a dirgli

“Hai ragione, dovevamo farlo col City o col Milan, due squadracce, perchè il Monza va trattato con rispetto. Correa lo devi mettere col Milan, non col Monza. Juve merda, hip hip urrà!”

e avrei preso il boccale della sua birra media e me lo sarei scolato in un sol gollone, uscendomene insalutato ospite e ruttando battendomi il petto tipo Tarzan. Ma non l’ho fatto. Perchè ecco, nel tris di partite Monza + City + Milan, fossi stato Inzaghi avrei fatto la stessa cosa: il turnover, pesante, nella prospettiva di dover affrontare due partite toste nei successivi sette giorni. E molte altre volte succederà. E forse, a rosa completa, il turnover – se per turnover intendiamo almeno 2-3 varianti alla ipotetica formazione tipo – dovrebbe diventare la regola e la formazione tipo l’eccezione.

Se proprio, da puro tifosotto, un consiglio mi venisse richiesto, ecco, io eviterei di lasciare fuori tutti insieme i pilastri della squadra. Considerando che Lautaro è come se non ci fosse stato, il fatto che a Monza mancassero anche Barella e il turco ha tolto all’Inter tutti quei go-to-guy che sono il naturale punto di riferimento in campo. Se hai il pallone, alzi la testa, pensi di darlo a uno di loro tre e loro tre non ci sono, beh, è un problema.

Però faccio quest’appello: basta parlare del turnover come fosse un pegno da pagare o una maledizione biblica. In una stagione come questa, che terminerà a luglio, è l’unico modo per rimasere in piedi. Va fatto con criterio e va accolto – parlo di noi – senza isterismi. Se poi fosse un problema insormontabile cambiare due, tre o quattro giocatori a partita, beh, allora un po’ ha ragione il Fatto: il campionato non lo ammazzeremo.

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Dietro Brodovic

Mercoledì, scrollando non mi ricordo più cosa, mi appare sul telefonino un post dell’Inter che avverte che i biglietti di Inter-Atalanta sono in vendita. Grazie al cazzo, penso io. Guardo a quando risaliva il post – sarà di 15 giorni fa, ho pensato – e mi accorgo che era stato pubblicato tipo qualche ora prima. Ci clicco sopra, vado a finire nell’area ticketing e mi accorgo che ci sono ancora posti. Ma tipo qualche centinaio (il venerdì sera non è comodissimo per tutti, a fine agosto poi). Due giorni prima della partita: irreale. Mi ci fiondo. Tre primo arancio, tendente blu. Clic. Salasso. Ok, fatto. Al che, in un attimo di lucidità, mi ricordo che l’ultima partita vista allo stadio era Inter-Atalanta di sei mesi esatti prima, 28 febbraio, il famoso recupero, il superamento dell’asterisco, forse il colpo di grazia al campionato. 4-0. Eh vabbe’, non è che può sempre andare bene.

Quando finalmente mi siedo – come documentato dalla foto – dietro Brodovic, un personaggio di fantasia tipo Nembo Kid o Gabigol, mi accorgo con disagio che nel primo arancio tendente blu, sedili comodi e visuale ottima (a parte da dalla fila 9 in su non si vedono i tabelloni, e io ero alla fila 9, mortacci loro), la temperatura percepita è di 47 gradi, con il 128% di umidità. Il pensiero di dover trascorrere le successive due ore lì, in questa atmosfera solida e bollente, mi provoca pensieri di morte. Per un attimo mi dico: spero che almeno l’Inter giuochi bene, certo, eggià, ma non è che vinci sempre 4-0 contro questi, porca miseria, ho pure letto che sono i veri favoriti del campionato insieme alla Juve, giuro che l’ho letto.

Per il quarto d’ora che manca all’inizio della partita spero intensamente che passi accanto a me un bibitaro (categoria che ho sempre evitato come la peste), per il quale sarei stato disposto a spendere cifre elevate come corrispettivo della cessione di qualsiasi bevanda fresca: acqua, birra, chinotto, cedrata, gin fizz, spuma, Borghetti Ice, eau de cornèt sdelinguè. Niente, aboliti come i raccattapalle. Mentre penso intensamente al suicidio, inizia la partita.

E come per magia, l’Inter gioca 20 minuti di calcio champagne, gol, golazzzzi, pali, colpi di tacco, rabone, no look. Lo splendore di una squadra che gioca a memoria – il valore aggiunto che dobbiamo inseguire, quello di aver cambiato poco o nulla – e l’entusiasmo di uno stadio che si è fatto trascinare con il cuore oltre l’ostacolo, cioè la canicola. Nel mio logisticamente confortevole sedile, oltre alla insopportabile temperatura percepita rilevo anche un altro difetto: il rimbombo. Non si sente un cazzo, che segna, chi entre, chi esce, lo speaker è un farfugliamento indistinto. In compenso, il boato della folla ti passa da parte a parte. Brodovic, davanti a me, esulta e fa foto a manetta.

Durante l’intervallo penso: con ‘sto caldo, bisognerà stare attenti che questi scarsoni dell’Atalanta magari non trovino un golletto casuale che li rimetta in partita, vai a sapere. Ma quanto torniamo in campo facciamo come nel primo tempo: dopo 7 secondi un contropiede con cui sfioriamo il 3-0, poi venti minuti in cui non gliela facciamo vedere, segnamo due gol grotteschi – giuro, se l’Inter avesse preso da chiunque due gol così mi sarei andato a incatenare ad Appiano Gentile chiedendo l’acquisto di 17 difensori centrali -, ne sbagliamo di altri, siamo in controllo, ci divertiamo, eccetera.

Oh, se questa Inter doveva dare una risposta alla tiritera della fame, beh, l’ha data. Magari avrà appetiti più controllati, ma li coltiva bene. Dalla mia angolazione (dietro la porta, un po’ di sguincio) ho apprezzato cose bellissime. Tipo quando chi dei nostri inizia l’azione alza la testa, vede gli altri muoversi – sa già dove sono – e ogni volta ha due o tre opzioni possibili. L’Inter è un meccanismo meraviglioso: lo si deve soltanto oliare bene, fare manutenzione. Inzaghi ha creato la sua Inter, ora la gestisca con serenità – soprattutto le forze. Squadre migliori di noi, non ne vedo. Ce ne saranno di buone, magari anche ottime. Ma migliori non credo. E quindi sta a noi gestire la nostra superiorità.

Quando esco dalla stadio, mi rendo conto di aver visto due 4-0 all’Atalanta nel giro di sei mesi e mi sento migliore. Sono così estasiato che passo davanti a 30 paninari e manco mi fermo a prendere 14 coche zero, così, per placare la mia sete. Quando sono in macchina e punto verso Pavia, ripenso a Pavard e Dimarco che aizzano la folla dopo due minuti, poi al tiro al volo di Barella e, in generale, alla fortuna di essere interisti. Pensieri che penso abbia condiviso anche il mio nuovo amico Brodovic.

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Il fattore cooling break

Le statistiche parlano di partite gemelle di Inter e Milan quanto a possesso palla: 61-39, uguale. Poi dicono che l’Inter ha tirato poco (6) e meno del Lecce (!) (7), mentre il Milan ha tirato tanto (15), il doppio del Parma (7). Hanno vinto le squadre che hanno tirato di meno. Ha fatto ca-ca-re la squadra che ha tirato di più. Vabbe’, è la dimostrazione che le statistiche servono fino a un certo punto. Non esiste la voce “Difesa che si impanica ogni volta che parte il contropiede avversario” e nemmeno la voce “Vado in porta con il pallone perchè gli avversari sono impanicati però poi non tiro mannaggia” che avrebbero meglio dipinto Parma-Milan, nè la voce “Squadra che non si sbatte alla morte perchè così basta e avanza e tra l’altro ci sono trenta gradi” con cui analizzare meglio Inter-Lecce. Queste sono partite da vincere e basta, il resto – ad agosto – sono solo particolari. Queste tre partite da giocare boccheggiando in campo e con il mercato ancora aperto sono un festival dell’assurdità, cui seguirà la mortifera pausa per la Nazionale di inizio settembre, un calcio nei coglioni. Giovedì c’è il sorteggio Champions, venerdì l’Atalanta, poi ciao, due settimane di nulla. Non vedo l’ora che sia il 15 settembre: prima, non è stagione. Prima è ‘sta roba qua.

Intanto, continuano a chiedere a Inzaghi se l’Inter ritroverà la fame, dando per scontato che l’Inter la fame l’abbia già persa, tutto questo dopo due partite con Genoa e Lecce e 36 ancora da giocare. La fame, quella vera, arriverà: adesso fa troppo caldo per il brasato con la polenta. Dopodichè dovremo abituarci tutti a un altro andazzo. L’estate 2024 (estate di competizioni internazionali, quindi un’estate a rate per la preparazione) è una novità nella storia recente dell’Inter: non abbiamo rifatto mezza rosa, non abbiamo venduto pezzi forti, abbiamo lo stesso materiale umano che ha dominato l’ultimo campionato. Invecchiato di un anno, ok, ma con gli innesti mirati potenzialmente più forte. Non può esserci l’atmosfera frizzante e/o spiazzante di quando reimposti una squadra o vai alla caccia spasmodica di obiettivi: abbiamo lo scudetto sul petto e la modalità è diversa da quando lo scudetto lo vai a prendere.

Quindi ok, la questione fame è importante (meglio avercela) ma non basilare. L’Inter deve imparare piuttosto a gestire la consapevolezza: in Italia siamo i più forti, con tutto ciò che questo comporta. E niente, bisogna dimostrarlo di volta in volta. La bellezza dello sport è che ogni anno resetti e riparti: per gli altri è un’occasione, per noi è una sfida. Il problema dell’Inter non è la fame (che arriverà, tra campionato e coppe, figuriamoci se non arriverà). Il problema è la noia. Quella, la dobbiamo scacciare. Stesso mister, stessi schemi, stessi compagni, stesse gerarchie: la noia è un rischio. Ma è anche facile scrollarsela di dosso. Non c’è nulla di acquisito, i punti si dovranno andare a prendere dovunque e contro chiunque (oh, è una regola che c’è da cento e passa anni) e la chiave del divertimento – anche quella della fame – è tutta lì. Scavalliamo questo perioso afoso di calcio fake e andiamoci a prendere tutto. Finchè c’è il cooling break non è calcio: è beach soccer su erba.

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Gli svogliati

Il calcio non è una scienza esatta, sennò una partita tra i campioni d’Italia in formazione (quasi) tipo e una squadra che aveva venduto le due punte titolari tipo il giorno prima di iniziare il campionato, beh, secondo il più scrauso degli algoritmi sarebbe finita 4-0 con possesso palla 68-32. Nella realtà, il dato del possesso è l’unico confermato. Il resto parla di un pareggio giusto, in cui la squadra che non avrebbe MAI potuto segnare un gol ci ha fatto 12 tiri (dodici!) e due sono finiti dentro a una porta che le abbiamo spalancato noi.

L’infinita stagione 2024/25 (che potrebbe durare 11 mesi) inizia dunque così, cioè maluccio, dopo la strana estate post-sbornia: Europei, Coppa America, Olimpiadi, poche amichevoli, pochi acquisti, una transizione sonnolenta, ben diversa da quella dello scorso anno, quando l’Inter rinnovò metà della rosa e si presentò all’avvio del campionato con una discreta cazzimma. Era, quella di un anno fa, un’Inter che aveva una gran voglia di giocare. Quella di oggi ne aveva un po’ meno.

Ascolta “Genoa per noi” su Spreaker.

Moriremo tutti? Sì, ma senza fretta. Mettici che siamo a Ferragosto, mettici che abbiamo davanti un milione di partite, ok, mettici quello che vuoi, ma oggi l’Inter ha fatto l’Inter solo a sprazzi, e quando lo ha fatto ha creato occasioni e fatto cose bellissime. Però sono stati, appunto, sprazzi. Brevi. Tanto gioco in orizzontale, una difesa orripilante: boh, diciamo che non ci eravamo più abituati a certi spettacoli. Ci sono delle note positive: Thuram straripante, Barella tonico, Frattesi rabbioso. Però restano negli occhi i due gol presi, su cui i tempi di reazione sulle palle vaganti sono stati pachidermici. Sul primo gol, da Sommer a Bisseck & C. c’è stata una dormita clamorosa. Il rigore è stato il catalogo di cosa non si fa: il fallo di mano di Bisseck, e poi Messias che in solitaria riprende la respinta di Sommer, con il difensore più vicino a tre metri. La lentezza degli svogliati.

Anche il Milan ha fatto 2-2, con un mezzo miracolo nel finale: per dire, non è che i problemi di concentrazione e di rimettersi in bolla li abbiamo solo noi. Il 17 agosto è una data terribilmente prematura per esprimere qualsiasi concetto, meglio tacere. Però, ecco, ai nostri beniamini consiglierei di scendere dal pullman scoperto: ragazzi, resettiamo e ripartiamo, consci che il tappeto rosso non ce lo stenderà nessuno.


(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #74, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato (manca solo l’ufficialità), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Facciamoci ‘sta puntata su Genoa-Inter e poi andiamo in vacanza. Andiamo in vacanza in quanto podcast. Cioè, io resto qui ma lui, Max, va in vacanza. In bici. A Istanbul. Quando parte? Il 20. Quando torna? Boh. Non trovate che questa vaghezza sia irresistibile?

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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Olimpiadi #19. Ciao

E’ finita bene, ma proprio bene. Velasco ha trascorso due settimane a dire di smetterla di parlare del tabù dell’oro della pallavolo italiana, ma ‘sta cosa pesava assai su un movimento che fa da traino nel mondo e a cui mancava giusto questo, l’oro olimpico, la ciliegina necessaria, la certificazione definitiva. E’ finita come doveva finire, perchè l’Italia ha giocato un torneo quasi perfetto e la partita con gli Usa perfetta lo è stata davvero, un dominio che è difficile vedere in una finale. Gli uomini (molli quando il gioco si è fatto duro) rifletteranno sui loro errori, ma le donne possono festeggiare alla stragrande: si è soliti accusare le federazioni di essere il male dello sport italiano – molto spesso è vero – ma l’operazione Velasco nel volley femminile è stata una scommessa intelligente: solo un guru poteva riuscire a risolvere il problema di fondo della nazionale, in cui c’erano da ricostruire i rapporti e fare (poche) scelte tecniche chiare, cercando di non deprimere i talenti ma di esaltarli. E’ caduto così anche un tabù temporaneo, quello degli sport di squadra, da diverse edizioni olimpiche sempre fonte di delusioni se non di mezzi disastri. Quindi: grazie ragazze.

Ascolta “L'auto-aiuto post olimpico” su Spreaker.

Ma il grazie alle ragazze va esteso all’intera spedizione olimpica. Le imprese sono quasi tutte loro: pallavolo, ginnastica a squadre e individuale, la Battocletti. Cioè medaglie che sembravano proibite, o andate a prendere in territori clamorosamente altrui: medaglie che pesano il triplo delle altre. Lo stesso discorso per gli uomini vale per Ceccon e Martinenghi, ori in uno sport universale e con una concorrenza micidiale. Tutto il resto è stato bello, bellissimo, straordinario ma un po’ più normale. Butto giù ‘ste due righe mentre la cerimonia di chiusura sta entrando nella sua fase tunz-e-tunz, la grande novità di queste Olimpiadi, una svolta da cui sarà impossibile tornare indietro. C’è uno che canta, sembra Bugo. Le Olimpiadi sono diventate una enorme festa di popolo, una sagra planetaria dello sport con il bello e il brutto che questo comporta. Però vaffanculo, mi mancherano lo stesso. Domani accenderò la tv e non ci sarà niente. Mi sarebbe bastato un po’ di canottaggio e qualche batteria di eptathlon. Bisognerà studiare un modo per uscire gradualmente dall’Olimpiade, questa brutalità già mi angoscia. Abbasso il Cio, Juve merda.


(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #74, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato (manca solo l’ufficialità), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Abbiamo dedicato un episodio alle Olimpiadi, poi ci sarà Genoa-Inter, e poi andiamo in vacanza. Andiamo in vacanza in quanto podcast. Cioè, io resto qui ma lui va in vacanza. In bici. A Istanbul. Quando parte? Il 20. Quando torna? Boh. Non trovate che questa vaghezza sia irresistibile?

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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Olimpiadi #18. Reni

La rimonta finale con cui abbiamo eguagliato quantitativamente (domani arriverà la medaglia n. 40) e migliorato qualitativamente Tokyo (minimo un oro e due argenti in più) ha veramente dell’incredibile, non ci avrei scommesso un euro. E tutto questo conferma che le Olimpiadi sono sempre una figata, anche col sottofondo del tunz-e-tunz-e-tunz che mi ha scassato i coglioni.

Mi sono rivisto l’impresa della Battocletti e, alzando l’audio, mi sono accorto che anche nella pista olimpica avevano corso con il ritmo del tunz-e-tunz. Non ci volevo credere. Dio mio. Secondo me c’è il tunz-e-tunz anche nei cessi degli stadi, e anche nei wc chimici per strada. Cioè, tu entri per pisciare, ti concentri e intanto tunz-e-tunz. Ma porca troia, e il valore del silenzio? Comunque, a parte questo. la Battocletti ha fatto una delle imprese top 5 di queste Olimpiadi azzurre, perchè non è facile andare sul podio contro una pletora di africane: grandissima. E grandi in generale le donne, che tra ieri e oggi tra ritmica e ciclismo ci hanno dato una spinta mica da ridere al medagliere.

Stamattina ho visto dall’inizio alla fine la maratona, una corsa durissima per il caldo e per le salite che ci hanno piazzato in mezzo, di cui una crudelissima al 28esimo chilometro. Che abbia vinto (col record olimpico) uno fortissimo in assoluto ma che è stato convocato a fine luglio al posto di un infortunato boh, mi lascia senza parole: correre una maratona del genere così, al volo o quasi, è mostruoso.

La mia personale medaglia d’oro alla Specialità Che Non Si Capisce Un Cazzo Di Niente va al ciclismo su pista madison (un oro e un argento, siamo gente che spicca nel caos), un casino immane di ciclisti che girano come criceti a caso e tu sei lì che guardi ‘sta ammuina senza punti di riferimenti: secondo me i giudici di gara dopo una gara di madison vengono ricoverati in un centro per il recupero dal burnout.

Tamberi non riesce a essere normale. E’ totalente anormale nel bene e nel male, sempre. Un campione dalla carriera pazzesca che però non riusciamo mai a prendere totalmente sul serio perchè è Tamberi e fa sempre il Tamberi. Anche oggi, santa madonna, è stato clamorosamente Tamberi: ho avuto una colica, addio, comunque gareggio, no!, un’altra colica!, è tutto finito, manca un’ora alla gara, addio mondo crudele!, comunque ci vediamo allo stadio. E che cazzo, Gimbo, mettilo via ogni tanto ‘sto telefonino di merda. Onore a lui, al suo coraggio, alla sua voglia di esserci, al suo spirito eccetera. Ma datti una calmata. Però, se si desse una calmata, non sarebbe Tamberi. E allora sapete cosa vi dico? TUNZ-E-TUNZ-E-TUNZ.

Ora mancano le ragazze della pallavolo. Farò il tifo per loro perchè svanisca la maledizione delle Olimpiadi. Non per altro, ma i telecronisti del volley la citano ogni 5 minuti e mi sono rotto il cazzo. E comunque volevo dire una cosa: TUNZ-E-TUNZ-E-TUNZ!

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Olimpiadi #17. Tunz

Tra farfalle (Raffaeli, prima volta nella storia) e rudi sollevatori (Pizzolato, non male per un ex maratoneta over 65) adesso piovono bronzi, oltre ai soliti quarti posti (compreso quello di Acerenza nella putrida Senna, cioè, uno nuota per 10 km nell’escherichia coli e arriva quarto, c’è da uscire di testa). Il quarto posto più deludente è stato quello della pallavolo, che si è sciolta sul più bello con due 0-3 che lasciano spazio solo ai rimpianti. Oggi hanno perso contro la formazione vintage degli Stati Uniti, non bene, ma ci hanno comunque fatto divertire.

Saluto comunque con sollievo la fine della pallavolo. Ora ho capito perchè la cerimonia inaugurale è stata all’insegna del tunz-e-tunz-e-tunz: perchè l’intera Olimpiade è disseminata di tunz-e-tunz-e-tunz e la pallavolo è stato lo sport più tunz-e-tunz di tutti, in relazione alla tradizione e alla popolarità. Voglio dire: skate e breaking sono stati molto tunz-e-tunz, ma sta un po’ nelle cose (per quanto vedere assegnare medaglie a gente che balla è stato un colpo al cuore). Il volley invece è diventata una insopportabile roba per gggiovani: a ogni time out e pausa set parte la musica a palla, dalla techno a “Sarà perchè ti amo”, non la trovate una spaventosa corruzione dei costumi? Per me l’Olimpiade è una roba un po’ ieratica, con i suoi riti, le sue solennità. Non me la puoi ridurre a una cosa tunz-e-tunz-e-tunz, dopo un po’ a un anziano come me girano i coglioni.

Il pubblico è diventato molto tunz-etunz, si è adeguato all’andazzo, anzi, ne è il protagonista, gente che per un’inquadratura venderebbe la madre, gente che balla e si prostituisce davanti agli obiettivi. E anche gli atleti si stanno adeguando al tunz-e-tunz-e-tunz. La ginnastica maschile, per esempio. Le esultanze e le attese dei punteggi sono diventando uno spettacolo nello spettacolo. Una spettacolo horror per gggiovani, tipo quei filmacci sui vampiri un po’ fluidi. La squadra giapponese aveva reazioni così isteriche che quando hanno annunciato che avevano vinto l’oro ho pensato che qualcuno morisse sul posto per l’emozione, oppure che a un certo punto iniziassero a sgozzarsi l’un con l’altro, tipo gli abitanti di Masada, urlando “Nessuno potrà mai batterci, maiali occidentali”, e mentre la chiazza rossa si allargava sulla pedana tutto il pubblico applaudiva e ballava  tunz-e-tunz-e-tunz.

E’ ovvio che da tutto ciò è impossibile tornare indietro. Probabilmente si peggiorerà. E io non saprò più cosa fare. *

*) non è vero, saprò benissimo cosa fare: guarderò tutto, come al solito. Adesso ‘sta cosa del tunz-e-tunz la sto un po’ drammatizzando, il problema è che sto cercando di agevolare il distacco dalle Olimpiadi, che sarà lacerante. Mi mancherà tutto, tranne il tunz-e-tunz-e-tunz.

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Olimpiadi #16. Acqua

Prima della fine delle Olimpiadi (ma anche dopo, non importa) vorrei risolvere un mistero: perchè nei canali Eurosport ce n’è sempre uno con la pallamano? E’ dal giorno 1 delle Olimpiadi che, durante lo zapping compulsivo, trovo sempre la pallamano, in diretta o in replica, sempre. Perché? C’è una lobby mondiale della pallamano che esercita pressioni sul Cio? La cosa mi colpisce parecchio perché ho scoperto – ma forse è una diretta reazione a questo per me sconcertante fenomeno – che non ci sono molti sport olimpici di cui mi frega così poco. Nel girone infernale dei miei gusti olimpici insieme alla pallamano metto il dressage, il nuoto sincronizzato, il golf, il rugby a sette, il basket a tre. Gli altri li guardo tutti. Persino la vela è più interessante, ora che con la grafica riescono a dare una dimensione alla gara. No, perchè le vecchie telecronache di vela si limitavano a inquadrare dei puntini bianchi in mezzo al mare, una roba insostenibile. Adesso invece è bello. Poi vinci l’oro (Tita-Banti, due olimpiadi due ori, chapeau) ed è ancora più bello.

Oggi le medaglie sono arrivate tutte dall’acqua, insomma, dal nostro dna. Grandi i ragazzi del C2 500, lo sport più scomodo del mondo, e grande la Taddeucci che è stata l’ultima a qualificarsi e la prima della nostre ad arrivare nella 10 km nella putrida Senna. A proposito di sport non-mainstream, oggi ho guardato anche il sollevamento pesi femminile: c’era Lucrezia Magistris, che è di Pavia, che ha un aspetto assai poco da pesista (ma immagino che se le dovessi stringere la mano per congratularmi mi spezzerebbe il metacarpo): è arrivata undicesima ma brava brava brava lo stesso. E a proposito della maledizione dei quarti posti del cazzo: oggi è toccato a Larissa Iapichino, gara da top ma 9 cm dietro le altre.

Serata magica con le squadre. La pallavolo femminile con Velasco alla guida è una macchina quasi perfetta e io spero tanto che domenica faranno il culo alle americane. E’ una bella squadra, con poco divismo e molta cazzimma. Ma la partita più divertente della giornata è stata l’ultima, Usa-Serbia di basket. Premessa: del basket ho visto pochissimo perchè i Dream Team ammazzano il torneo e quindi l’interesse, i campionati che si decidono dal secondo posto in giù li trovo noiosi a prescindere. E anche le partite stesse del Dream Team alla fine rischiano di risultare noiose: sì, ok, tutti nomi pazzeschi, qualsiasi giocata è una potenziale gioia per gli occhi, ma quando le vinci tutte di 20 o 30 che gusto c’è? Ecco, quando mi sono accorto che all’intervallo la Serbia era nettamente davanti (è stata anche a +17) mi sono scapicollato davanti alla tv per godermi lo spettacolo dei serbi affamati e degli americani impanicati. I pianeti si sono riallineati a 4 minuti dalla fine, quando la Serbia ha pagato d’un botto tutta la fatica spesa per mettere sotto il Dream Team (che comunque a 1 minuto dalla fine era avanti solo di due, per dire). Peccato, sarebbe stata l’apocalisse e forse la pietra tombale sui Dream Team da qui all’eternità. Ce ne sorbiremo molti altri, invece: talentuosi, stellari, supponenti e svogliati. Ma c’è di peggio, tipo la pallamano.

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Olimpiadi #15. Male

Giornataccia olimpica. Innanzitutto, l’Inter si fa spezzare le reni dall’Al Ittihad, ma non saprei cosa dire dalla partita, non l’ho vista, avevo altro da fare (da vedere, intendo). Il problema è che anche il resto è andato tutto male, a parte l’inseguimento a squadra nel ciclismo, un bronzo che spezza il mood dolente. Riponevo speranze nella pallavolo, ma la Francia ci ha presi a pallate. Riponevo speranze nella pallanuoto, ma abbiamo perso ai rigori (sbagliati tre su quattro). Riponevo speranze nell’Inter, ma (ah scusa, l’avevo già detto).

Nell’atletica tutto male (riponevo speranze in Simonelli, ci sono rimasto male, giusto) tranne Tamberi e Sottile che vanno in finale nell’alto. Tamberi è ingiudicabile di solito, figuriamoci dopo il mese di vigilia che ha avuto, una sfiga dopo l’altra. Ma il suo istrionico orgoglio sa sempre trascinare anche noi tifosotti verso un ottimismo magari immotivato, ma contagioso. Quanto all’Inter, ancora un amichevole e poi ci siamo. Proseguendo nel mio fioretto, non la vedrò: sono già sintonizzato su Marassi, sabato prossimo alle 18,30, con 45 gradi all’ombra: ti amo campionato.

Oh, qui bisogna ragionare sul medagliere. Quanto al totale, mi sa che le 40 di Tokyo sono irraggiungibili, dopo paginate e paginate di proclami e di insopportabili sboronate (“Puntiamo a 50”). Perchè non essere mai realisti? Purtroppo i quarti posti non contano. O meglio, contano: nel senso che sono stati troppi. Però sul peso delle medaglie possiamo ancora fare meglio: 20 delle 40 di Tokyo erano bronzi, possiamo ancora superare le 10 d’oro, manca poco ma si può fare. Tipo che domani dalla vela potrebbe arrivare il decimo, poi si vedrà. Dopodichè nel medagliere siamo sempre lì, tra l’ottava e la decima posizione, i settimi sono irraggiungibili (vediamo di non uscire dalla top ten, ecco). La grande Germania, dopo dodici giorni di gare, è ancora dietro. Facciamo che la teniamo lì, una volta tanto.

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Olimpiadi #14. Lungo

Mentre faccio zapping, dannazione, non mi vado a imbattere in Juve A-Juve B? O meglio, Juve A-Juve Next Gen, la versione contemporanea di quella partita fake che una volta si giocava a Villar Perosa e adesso all’Alluminium Stadium, ancora miracolosamente in piedi nonostante il peso di 34mila spettatori che evidentemente non avevano un cazzo da fare il pomeriggio del 6 agosto con 47 gradi all’ombra? Vabbe’, ma non volevo parlare di Juve. E’ che mi sono accorto che non solo esiste ancora il calcio – pensavo l’avessero abolito, giuro – ma che domani gioca l’Inter con l’Al-Ittihad, la squadra dove sono andati a svernare Benzema e Fabinho, e che la settimana prossima – la settimana prossima! – inizia il campionato.

E’ stato terribile. Mi sono sentito impreparato come alla vigilia di certe interrogazioni a scuola. Roba che mi facessero una domanda a bruciapelo – chessò, cosa succede se passi il pallone al portiere e quel fesso lo prende con le mani? – starei lì a pensarci per qualche secondo. O forse qualche minuto.

No, perchè mi piace occuparmi di quella pletora di sport di cui ancora traboccano le Olimpiadi e perdermi tra i canali di Eurosport (oggi per mezz’ora ho guardato il ping pong). La pallavolo femminile è in semifinale con la Turchia che abbiamo piallato nell’ultima partita della fase a gironi, secondo me possiamo sognare, come anche per i maschietti (che giocano domani contro i merdoni francesi). Il quartetto dell’inseguimento su pista farà la finale per il bronzo, bene ma non benissimo ma comunque bravi, gli australiani sembrava avessero il motore, anzi, il reattore.

E poi c’è l’atletica, che è sempre fascinosa. Ieri sera la Battocletti è stata per un pochino sul podio del 5000 (vabbe’, onestamente la squalifica che l’aveva fatta scalare di una posizione era un pochino eccessiva), ma il suo quarto posto (un altro, mannaggia) è scintillante, prima delle europee, prima delle “normali”, e record italiano frantumato. Stessa cosa per Pietro Arese, ottavo con un record italiano triturato in una meravigliosa finale dei 1500, forse una delle top 3 gare delle intere Olimpiadi, 3 minuti e 27 secondi di pura adrenalina. E strepitoso Mattia Furlani, 19 anni, talento fisico da paura, terzo nel lungo sfiorando il personale, un salto nullo di 2 cm che forse valeva l’oro, era planato lontanissimo, ma davvero. Un italiano può diventare atleta dominante (o comunque protagonita assoluto) di una specialità, giù il cappello.

Domani c’è pure Tamberi, personaggio pirotecnico pure nella sfiga. Comunque vada, sarà un applauso. Certo, se riesce a saltare e a qualificarsi uno che ha avuto una colica renale tre giorni prima, spero che al roscio che è rimasto a casa per due colpi di tosse (c0stringendoci a leggere trattati sulla tonsillite da Ippocrate ai giorni nostri) e adesso è in Canada a tirare pallate fischino le orecchie per almeno sette giorni a partire da (troi, deux, un, fiiiiiiiiiiiii) ora!

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