
Già accertato il dove e il come abbiamo perso lo scudetto – perchè questo, ahinoi, resterà nella nostra storia come un campionato regalato ad altri – e stabilito che chi l’ha vinto, per quanto ci stia parecchio sul cazzo, non lo ha rubato, varrebbe la pena fare tesoro degli insegnamenti di questa stagione.
Il Milan qualche lezioncina ce l’ha data. Abbiamo perculato per mesi Pioli is on fire, e Pioli on fire lo è stato davvero. Abbiamo ironizzato per mesi sulle loro campagne acquisti creative, come se i giocatori li cercassero su Wish, e invece dobbiamo prendere atto che Leao l’hanno preso loro, Tonali l’hanno preso loro, Maignan l’hanno preso loro, l’insopportabile Theo l’hanno preso loro, e noi no. Abbiamo letto e riletto stupefatti le loro formazioni creative, ma il piccolo miracolo lo hanno costruito passo dopo passo: tipo iniziare la stagione con Kjaer e Romagnoli centrali e finirla con Tomori e Kalulu che prendono due gol in 11 partite, game, set and match. O tipo non avere un vero centrocampo titolare ma una girandola di quasi titolari, buoni ma non buonissimi, forti ma non fortissimi: una formula ben diversa dalla nostra – tre titolari stellari e dietro dei comprimari mai decisivi – e alla lunga più redditizia. Avranno avuto culo, altrochè. Avranno sfruttato al meglio l’eliminazione totale dall’Europa (uhm, chi mi ricorda?) mentre noi ci stressavamo assai, altrochè. Ma hanno superato le difficoltà senza strapparsi mai i capelli e alla fine sono passati all’incasso con un fame che noi non abbiamo avuto.
E noi? Stanchi e un pochino invidiosi, dobbiamo trastullarci con la legge del bicchiere mezzo pieno. Perchè mezzo vuoto non è, anzi. Due coppe dal valore intrinseco altissimo, strappate entrambe alla Juve, una sciccheria totale, e un secondo posto in campionato con cui completiamo il trittico delle ultime tre stagioni che ci hanno riportato a un livello degno di noi: uno scudetto e due secondi posti, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana, una finale di Europa League, il ritorno agli ottavi di Champions dopo dieci anni. Certo, il bicchiere è pieno solo a metà: questo non-scudetto è una pena infinita a ripensarci. A ripensarci dall’inizio.
Le statistiche ci dicono che l’Inter di quest’anno ha fatto 7 punti in meno di quella dello scorso anno. Già, ecco, diciamolo: ha fatto solo 7 punti in meno, senza Conte, senza Lukaku, senza Eriksen, senza Hakimi. Senza tutto ‘sto popò di gente è riuscita addirittura a subire tre gol in meno (quasi la miglior difesa, 32, Napoli e Milan ne hanno presi 31) e a segnarne comunque solo 5 di meno (84, nettamente il miglior attacco del campionato). Lo scorso Ferragosto, giova ricordarlo, eravamo la barzelletta d’Italia, la squadra campione che si era dissolta in un amen e andava incontro a un periodo di terrore, distruzione, morte. E invece è andata come è andata, abbiamo sfiorato un tripletino che avrebbe fatto, se non la storia, almeno la storiella.
Il finale di campionato è stato frustrante, ad aspettare inutilmente che il Milan perdesse. Sotto questo aspetto, meno male che è finito. Nella delusione siamo riusciti anche a finirlo bene: lo spettacolo di amore e orgoglio di San Siro con il tributo alla squadra non-scudettata è una piccola medaglia al valore morale. Ora inizia un altro rosario che ci farà rimpiangere il primo: quello del mercato, della gente che tarderà ad arrivare e di quella che se ne andrà, qualcuna con sollievo e altri no. Che ci tocchi ogni anno cedere uno o più gioielli e a ripartire da un passo indietro, porca miseriaccia schifosa, è una tortura che non ci meritiamo. Costretti sempre a fare le nozze con qualche fico secco. Potessi partecipare a un cda dell’Inter, caldeggerei una soluzione alla Milan: una rosa con meno alti e bassi, più equilibrata (il più possibile verso l’alto, ovvi0), una panchina verso cui non guardare con disperazione nei momenti topici, privilegiando gente vogliosa a qualche nome magari altisonante ma non affidabile.
“Grazie al cazzo”, mi direbbe Steven durante il suddetto cda mostrandomi bilanci Suning, legislazione cinese e il Cud di Vidal. Perchè poi i problemi sono sempre gli stessi: a cominciare da quell’ultimo gradino che dovremmo salire per raggiungere l’Olimpo, mentre invece siamo qui a guardare Saelemaekers che festeggia dal pullman scoperto che avevamo prenotato a fine gennaio.