Una squadra (sembrerebbe)

L’Inter ha fatto come i saltatori in alto che, dopo due errori alla stessa misura, si giocano il terzo tentativo a quella superiore. Se sbagli vabbe’, non cambia nulla, ciao ciao. Ma se riesci a superare l’asticella, non solo ti salvi il culo ma rientri in gara alla stragrande. La Gimbo Inter aveva sbagliato cinque tentativi alla stessa misura: al sesto errore avrebbe rischiato lo sprofondo e invece toh!, si è inventata un salto poderoso e adesso chissà.

Inter-Barcellona era la partita più importante della stagione: match-chiave della nostra Champions ed esame crudele (dentro o fuori) per capire di che pasta siamo fatti davvero. Poteva essere una replica di Inter-Bayern, cioè una frustrante comparsata sul palcoscenico degli altri. O poteva essere una replica di Inter-Barcellona di 12 anni prima, con tutto il rispetto per quella magica e irripetibile partita: una replica, almeno, di quella voglia di giocarsela, di quell’orgoglio nero e azzurro.

E’ stata, in realtà, un combo (in scala 1:2) di quelle due semifinali: la prima ora dell’andata, a provare a vincerla, e l’ultima mezz’ora del ritorno, a difendere il fortino dall’attacco nemico. E alla fine l’abbiamo vinta davvero, dopo due mesi di alti e bassi, scarsissime certezze e tanti dubbi. Tanto che adesso viene da chiedersi quale sia la vera Inter 2022, quella di Inter-Barcellona (una squadra vera, sembrerebbe) o quella che finora era stata spietata con le piccole e inguardabile con le grandi, un’Inter senza palle nell’affrontare gli snodi più delicati delle partite.

Col Barça ha girato tutto bene. Giocavamo senza Brozo e Lukaku, ma non se n’è accorto nessuno. La difesa colabrodo delle prime dieci partite stagionali ha fatto un match perfetto. Nessuno si è tirato indietro, mostrando una voglia mai vista da agosto a oggi se non in rari e perlopiù insignificanti momenti. Una lucidità che sembra aver ritrovato anche Inzaghi, tipo quando ha effettuato i cambi seguendo la logica della partita e non schemi mentali senza senso.

Ci voleva una grande occasione? Serviva un Barcellona per uscire dall’incantesimo? Boh, forse sì. L’Inter si sarà convinta di essere una squadra? Ecco, sarebbe un peccato mortale scendere alla misura inferiore e tornare a sbagliare: abbiamo – meglio tardi che mai – alzato l’asticella, la sfida è restare lì. Al limite salire ancora, se ci convinciamo che tutto è possibile.

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Cinque / cinque (cinque)

Adesso che la cifra è tonda (10 partite stagionali) e l’equilibrio è perfetto (5 vinte e 5 perse), la statistica ci dà qualche certezza (vinte le 5 facili – due di culo -, perse le 5 difficili) regalandoci una dimensione da centroclassifica (domani potrebbe pure superarci la Juve: no dico, la Juve!) e una sensazione di incertezza e di mediocrità che non ci ricordavamo dai tempi di Kuzmanovic.

La partita con la Roma dice molte cose e anche il loro contrario. Per esempio che abbiamo giocato una delle partite migliori, e l’abbiamo persa. O che abbiamo avuto il 58% di possesso palla e tirato 15 volte, e l’hanno vinta gli altri. Nel dopopartita Inzaghi dice che siamo stati molto sfortunati (sì, vero), Dimarco dice che l’abbiamo dominata (mah). Io dico allora che c’è qualche problema di percezione dei problemi: essere sfortunati e dominarla, secondo la narrazione del club, ti toglie lo sconforto di perderla. E’ com’è che i tre punti se li portano a casa gli altri? Come mai? Che sia anche per i 15 gol subiti in 10 partite? Non abbiamo un andazzo da squadra dominante, ma proprio per niente.

Un gol annullato per un polpaccio fuori posto e un incrocio pieno su punizione dicono che Inter-Roma poteva andare diversamente – Dio solo sa quanto ne avremmo avuto bisogno – per una mera questione di centimetri. Potremmo liquidare la questione così, o dire come Dimarco che la partita l’abbiamo dominata e che prima o poi le cose andranno meglio. La realtà, al di là di polpacci e incroci dei pali, sta nella foto del gol partita: un calcio piazzato da trenta metri e tre giocatori in vantaggio sul pallone, che non sono i nostri. Eccoci qui, fotografati impietosamente mentre arranchiamo, siamo a terra mentre gli altri saltano. Le partite non le vinci così.

Magari, ecco, le perdi. E purtroppo dopo un mese e mezzo abbiamo già perso tante partite quanto nell’intero campionato scorso e una in più dell’anno dello scudetto. E’ appena iniziato ottobre e abbiamo esaurito il bonus. Ma fosse solo questione di numeri (sospiro).trv

Il problema è che il clima è pesante. Giocatori palesemente confusi, incapaci di superare le difficoltà della partita (tre volte rimontati e mazziati dopo essere andati in vantaggio). Un allenatore che non ha il controllo della situazione (e spesso la peggiora, la situazione). L’evidenza che siamo grandi con le piccole (bella forza) e piccoli con quelle appena sopra il livello medio. E tutto questo alla vigilia di una partita che non è solo contro una squadra molto forte (nostro score stagionale: 0/5), ma che è il match-chiave della nostra Champions, cui potremmo dire bye bye dopo tre partite appena. Arriva il Barcellona e non abbiamo niente da mettere. In campo, intendo.

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Tante coccole!

Siamo arrivati al punto che Bastoni – Bastoni, l’uomo a cui la madre pulisce la bocca con un tovagliolo di carta dopo che ha mangiato una pizzetta – viene sostituito dopo mezz’ora del primo tempo a Udine e prende a calci la panchina. Quasi non ci credevo. E’ come se avessi visto i Teletubbies tirare sampietrini ai vetri delle scuole. Quando Inzaghi in zona mista ha spiegato questa inspiegabile mossa – volevo cambiarli tutti, ho iniziato dai due già ammoniti – avrei fatto come i Teletubbies modificati: avrei tirato sampietrini al televisore. Il nostro prevedibile allenatore ha un modus operandi ormai codificato: faccio una formazione, sostituisco gli ammoniti (ma perchè, perchè? come se a ogni partita uscissero in cinque per doppio giallo), cambio qualcun altro, aspetto il 90esimo, interviste, pullman, casa (repeat and fade).

Il problema – uno dei vari problemi, sul podio della gravità – è che siamo i Teletubbies, quelli veri. Pupazzi antropomorfi che adorano passeggiare sui prati, parlare e muoversi in modo lento e ripetitivo, “ciao ciao!”, “tante coccole!”, e l’Udinese ce ne mette tre di cui l’ultimo andando in porta con il pallone. Noi, si rotola placidamente. Tinky-Winky-Correinky adora fare le capriole e dribblarsi da solo. Dipsy-Devripsy suona il piano, è amico di tutti e non marca stretto nessuno. Brozo-Brozzy vuole sempre dormire e tarda a entrare in forma. Bare-ooh adora giocare, ma si stanca tanto e si riposa per le tre giornate successive. La-La-Ndanoviccy adora tuffarsi ma senza sporcarsi e quindi a volte non si tuffa. Ca-La-Nogly ama il bello, ma senza fretta. Lu-Lu-Kaky è grande, grosso, gentile e sempre a letto.

Ci stiamo perdendo un grande spettacolo, quello della Juve e dei suoi problemi, perchè siamo costretti a vederne un altro, quello dell’Inter e dei suoi problemi. Un doppio schermo in cui scorrono discreti disastri: in 9 partite ufficiali l’Inter ha perso 4 volte (tre volte prendendo 3 gol, tre volte perdendo con 2 gol di scarto), difficile dire se più o meno inquietante delle 2 vittorie in 9 partite dei gobbacci (che avendo fatto tre punti nella prima di campionato hanno dunque vinto una sola volta nelle ultime 8). Che bei pomeriggi, che belle serate avremmo trascorso se non avessimo da vedere i Teletubbies due partite sì e una no.

Inter e Juve sono oggi ostaggi dei loro allenatori, che a loro volta sono ostaggi dei loro giocatori, che a loro volta sono ostaggio delle nostre elementari aspettative, che al mercato mio padre comprò. La Juve che su otto partite ne vince una è una bella cosa. Ma noi, che vinciamo solo quelle facili e perdiamo tutte quelle difficili – e stiamo considerando “difficile” una trasferta a Udine -, non siamo messi molto meglio. E’ sempre troppo presto per preoccuparsi in senso lato (è pur sempre un campionato in cui vanno in fuga Napoli, Atalanta e Udinese), ma siamo perfettamente in tempo per preoccuparci in senso stretto, cioè per le cose di casa nostra, che vanno male. O a voi piacciono? No, per sapere.

La situazione è tanto grave che anche la Curva è stata costretta a redigere il suo comunicato semestrale. Il cui sunto è: noi non siamo isterici come i tifosotti, però adesso ci avete rotto il cazzo e dopo la pausa di campionato ve la dovete vedere con noi (cioè, sono isterici pure loro). Per diventare Ninja, i Teletubbies devono rimboccarsi le maniche e incazzarsi all’unisono. Se ne esce tutti insieme, dice democraticamente la Curva. Va bene: ma qualcuno suoni la carica. Senza farsi ammonire, mi raccomando.

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Il Var e i conti con la Storia

Oh, bene bene a Plzeň, eh? Ok, parliamo d’altro. Di cose anche più allegre. Un argomento a caso, molto attuale: la Juve e il Var. Bisogna serenamente ammettere che il rapporto tra la Juve e il Var è una delle situazioni più divertenti e interessanti non solo del calcio, ma forse dell’intera storia del costume italiano, nonché dell’antropologia criminale moderna. Se Bonucci (Bonucci!) usa l’aggettivo “depredato” (depredato!) riferito alla Juve (la Juve! depredata! Muahahahah) vuol proprio dire che su questo argomento potremo ancora spassarcela per anni, spaparanzati in poltrona con un’enorme porzione di pop corn (tipo la Nutella di Moretti) a goderci lo spettacolo dei gobbi (intesi come società sabauda e moltitudine di tifosi) che, a cadenza semestrale, perdono la testa di fronte a questa diavoleria che in effetti gli ha cambiato la vita.

Se da un lato il clamoroso finale di Juve-Salernitana dà un colpo quasi mortale alla credibilità del Var (ma come? le telecamere non coprono tutto il campo? e il numero di telecamere è direttamente proporzionale all’importanza della partita? cioè non siamo tutti uguali davanti al Var?), e quindi dovrebbe preoccupare un po’ tutti, dall’altro ci regala lo spettacolo della Juve spappolata tra il danno e la beffa: un gol annullato ingiustamente che genera tre espulsioni. Meraviglioso. Ci vorrebbero altre settecento Juve-Salernitana a pareggiare i conti con la Storia, quindi sticazzi. Ma il dibattito offre altre perle.

Repubblica dedica un pezzo sul cartaceo alla Juve vittima del Var. Vittima nel caso specifico – e vabbe’, siamo d’accordo – ma anche vittima in assoluto. Bum! Perchè da quando è stato introdotto il Var è la squadra trattata, diciamo così, peggio delle altre. Ha avuto 44 chiamate sfavorevoli e solo 23 a favore, mentre tutte le altre hanno un rapporto molto più equilibrato. Per ragioni di spazio, l’atto di accusa juventino nei confronti del magico macchinario dura solo qualche decina di righe nelle pagine dello sport. Nell’edizione on line, invece, il pezzo è corredato da una scheda che riporta la classifica completa degli interventi Var (eccola)

Squadra / a favore / contro
Juventus  / 23 /  44
Inter  /  33 /  26
Milan /  35 / 32
Napoli / 41 / 22
Roma / 28 /  29
Lazio / 37 / 28
Atalanta / 33 / 27
Bologna / 19 / 28
Fiorentina / 37 / 21
Sassuolo / 31 / 40
Sampdoria / 32 / 32
Torino / 25 / 31
Udinese / 25 / 35

e poi una candida considerazione che nel cartaceo non aveva trovato spazio. E cioè: la Juve è davvero vessata dal Var, come dimostrano queste cifre, oppure non sarà che gli arbitri fischiano di default a favore della Juve, poi si va a vedere il Var e si corregge (due volte sì e una no)?

La questione è sfiziosa assai. Non dobbiamo fissarci troppo su Juve-Salernitana, in cui è accaduta una cosa che forse non accadrà mai più, e cioè che un gol regolare è stato annullato dal Var per un incredibile difetto di funzionamento. Nel 99,9% dei casi accade il contrario, cioè che il Var ristabilisce la regolarità dei fatti – o almeno ci prova seriamente. E se su 67 interventi del Var per 44 volte si scopre che la Juve ha torto, viene proprio da pensare che gli arbitri italiani fischino con naturalezza a favore dei gobbi, come da abitudine ataviche, ma con meno pesi sulla coscienza: perchè poi, appunto, c’è il Var, nel caso, a correggere.

Questo spiega anche il tasso medio di indignazione degli juventini nei confronti del Var. Abituati da secoli alla fase 1 (fischio a favore a prescindere), ancora non si capacitano che esista una possibile fase 2 (arbitri davanti a un televisore che valutano il fischio a favore a prescindere). Li capisco.

L’atto di accusa juventino non tralascia alcun filone, compreso quello dei giovani arbitri in cerca di visibilità. Come Marcenaro, l’arbitro di Juve-Salernitana, 30 anni, solo 10 mesi di serie A. Dicono gli juventini: non è la prima volta che un giovane arbitro sceglie la Juve per fare il fenomeno. A parte che, vien da rispondere, fare il fenomeno contro la Juve è sempre un’attività parecchio rischiosa, ma non è questo aspetto solo un’altra faccia della stessa medaglia? Non è che anni e anni di “la Juve paga gli arbitri”, “gli arbitri sono al servizio della Juve” eccetera eccetera, affermazioni diventate luoghi comuni salvo poi essere corroborate in aule giudiziarie, genera nei giovani arbitri un naturale moto di ribellione? Che non è un “adesso sistemo io la Juve”, che sarebbe sbagliato, ma semplicemente “adesso tratto la Juve come tutte le altre”, che è in effetti un po’ rivoluzionario.

Lo juventino non cambierà mai. Potrebbe cambiare invece il Var, in meglio. Questi 5 anni di vita sembrano minimo 10 (per gli juventini 12) a furia di aggiustamenti che non riescono mai a dare l’impressione di un sistema oggettivo ed efficiente al 100%. Peccato, staremmo tutti un pochino più tranquilli. Certo, avremmo dovuto rinunciare al fantastico finale di Juve-Salernitana, l’armageddon dell’Alluminium Stadium. Però non saremmo venuti a sapere che per tipo un’Inter-Juve ci sono 250 telecamere 8k in funzione e per tipo un Lecce-Empoli si valuta il fuorigioco con una super 8. Il calcio non ha mai avuto meccanismi di equità: gli juventini – e qui chiudiamo il cerchio – lo sanno benissimo.

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Lapalisse

Al minuto 85, per portarmi avanti, avevo scritto il post su Facebook: “Ultime 3 partite, tutte a San Siro: 2 gol, 1 punto. Migliori in campo il portiere da rottamare e il centravanti che non segna ma almeno si sbatte. E’ tutto, voi la linea”. Naturalmente non l’ho spedito, aspettavo diligente e rassegnato la fine di un Inter-Torino da dimenticare in fretta. Poi, al minuto 88, la palla inaspettatamente entra, finisce 1-o e sapete come vanno le cose, no? Si alzano i voti in pagella (minimo mezzo punto a tutti, agli autori del gol e dell’assist anche di più), si cambiano i titoli, gli attacchi dei pezzi, si smussa qualche passaggio un po’ rude e via verso il prossimo match.

Dovendo far cagare, è meglio vincere 1-0 che pareggiare o perdere. E’ un vecchio adagio che alcune fonti attribuiscono a Jacques de La Palice, altre a Boskov e altre ancora a Confucio. Facendo cagare, non bisogna vergognarsi di vincere (c’è gente che ci ha costruito delle carriere sul vincere facendo cagare, uno allena attualmente in una città sabauda) e non bisogna fare i malmostosi a segnare tre punti in classifica. Son quelle cose che potrebbero anche aiutarti, al limite. Non è che se fai cagare sei costretto per forza a perdere. No, puoi anche vincere e va bene così. Ché magari ti cambia l’umore, chissà mai.

Cosa utile, al centrario, è tenere ben presente che la partita stava andando in un certo modo e che il tuo avversario non aveva rubato niente, anzi. Dopo una settimana (che poi sono mesi, forse anni) trascorsa a vedersi paragonato a vari oggetti inanimati, Handanovic ha dimostrato di avere ancora le capacità fisiche di respingere palloni. Il Torino ne aveva fatti arrivare nello specchio della porta avversario molto più di noi. Noi che siamo stati ancora una volta complessivamente molli, poco creativi, poco sul pezzo. Poi accade il piccolo miracolo che due tra i giocatori che più ti avevano fatto incazzare (perchè Brozo e Barella sono tra i tre-quattro più forti che abbiamo, e il loro grigiore per noi può essere mortale) confezionano un gol di puro talento, il classico lampo nel buio, e bòn.

L’Inter continua a lasciarmi perplesso. Nei miei elementari schemi mentali, non mi capacito che la stessa squadra che l’anno scorso giocava un calcio scoppiettante adesso sfiori la morte civile. E’ un problema fisico? Non mi capacito che a metà settembre una squadra sia ancora ridotta così. E’ un problema mentale? Non mi capacito che a metà settembre una squadra soffra già di tali paturnei. E’ un problema più complesso? Non mi capacito di non sapere un cazzo. Insomma, non mi capacito.

Non mi va di passare per disfattista, io che il disfattismo lo combatto. Mi inquieto se noto del disfattismo nella truppa, questo sì. Gente in bilico tra il malcontento e il giocare contro. Gente così facile a perdersi che non capisci perchè li abbiamo presi, strapagandoli. Gente che ha davanti degli obiettivi da inseguire e sembra non interessarsene abbastanza. C’è del disfattismo dell’aria e non è il mio, è il loro. E non va bene.

Inter-Torino non cambia lo scenario. L’Inter ha vinto tutte le partite facili e ha perso tutte quelle difficili, un bilancio che resta preoccupante anche se Barella fa un assist che sembra Modric e Brozo fa un magheggio che sembra Enzo Paolo Turchi. Adesso ci sono all’orizzonte due partite che sparigliano le classificazioni. In Champions, una partita facile che in realtà è difficilissima (perchè se la canniamo addio). In campionato, una partita facile che in realtà è molto complicata, in trasferta contro la squadra più in forma del campionato. Vediamo se questa variazione ci dà una svegliata. Sarebbe ora.

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Nostalgia

La giornata era iniziata con un teorico passo in avanti – Inzaghi che, vivaddio, cambia formazione, prova soluzioni, mette i nuovi – e poi è finita in maniera progressivamente triste, con una partita manifestamente da vorrei ma non posso, contro una squadra di un’altra categoria, certo, ma giocata per gran parte del tempo con un atteggiamento del tipo “minchia, sono di un’altra categoria, volete venire voi a giocare contro questi satanassi?” che non è il massimo della vita e ti lascia il retrogusto amaro. Che si parli di Lazio, Milan o Bayern, sia pure in contesti diversi e con gradazioni diverse, finisce sempre a parlare di garra, charrua o non charrua che sia. Una garra che non viene fuori mai se non sporadicamente, quei raptus di garra con risultati lasciati al caso, e che comunque durano troppo poco per cambiare il destino di una partita.

La differenza tecnica tra Inter e Bayern, oggi, sfiora l’imbarazzante. E se non ci metti un surplus di garra rischi l’imbarcata. Aver perso 0-2 è quasi buono, in questo senso. Anche col Liverpool avevi perso 0-2 ma te l’eri giocata per 70 minuti alla pari. Col Bayern alla pari non ci sei stato mai. E siccome un Bayern sbilanciato e a tratti un po’ annoiato qualche cosa ti ha concesso, siamo qui a pensare che sull0 0-1 potevamo pareggiare, e sullo 0-2 potevamo accorciare. Niente, non è successo. Poco cattivi in tutte le zone del campo, in attacco addirittura ci si è concessi qualche mollezza di quelle che ti vengono sul 5-0 con una piccola, e invece era una partita ancora in corso – ancora in bilico – con una super top.

A Napoli ne hanno fatti 4 al Liverpool e potevano essere 6, forse 8. A Milano abbiamo messo insieme qualche mezza occasioncella contro una squadra che ha fatto il doppio o il triplo di noi senza nemmeno sbattersi troppo. Abbiamo facce smunte e spaurite, sempre. Quella di Inzaghi, colta dalla telecamera al rientro dopo il riposo, era di un condannato a morte (c’è qualcosa che non sappiamo?). E dire che proprio lui aveva parlato di questa partita come di un’occasione per dimenticare il derby: beh, in quanti l’hanno giocata e vissuta così (lui compreso)? Stiamo ripiombando in un complesso d’inferiorità, o di inadeguatezza, che comincia a preoccupare. Per voi Conte era troppo gobbo? Per me era un fattore determinante. E in serate come questa mi manca da morire.

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Come prima, peggio di prima

Ho assistito alle ultime due partite dell’Inter NON dal divano, tanta roba per un pantolofaio come me. Inter-Cremonese: ero a San Siro in tribuna rossa fake, quello spicchio del primo anello una volta considerato “minchia che posto demmerda” e oggi allestito con sedili rossi e venduto profumatamente al pubblico come tale. Milan-Inter: ero in un pub di Padova in prima fila davanti al televisore, con dietro gente che uluvava e davanti camerieri che recapitavano roba buona al tavolo. In entrambi i casi, non ero perfettamente sul pezzo.

In Inter-Cremonese la mente vagava alle incertezze di un mercato non ancora finito, con Gosens che mezzo stadio dava ormai per venduto e Skriniar ancora corteggiato dai saltimbanchi francesi, che due coglioni!, e intanto guardavo lo stadio sold out ma con tanti posti vuoti migliori del mio, e allora mi sovveniva una domanda tipo quella delle anatre del Giovane Holden: cioè, dove sono i detentori dei posti liberi quando giuoca l’Inter? Perchè non sono qui come me, che ho preso due biglietti di tribuna rossa fake e ho parcheggiato a due chilometri, che la prossima volta lascio direttamente la macchina all’Ikea così sono già sulla strada? Tra un pensiero e l’altro l’Inter segnava tre gol e ne subiva uno, come mi confermava il tabellone elettronico.

In Milan-Inter, metà del primo tempo se n’è andato beandomi della strana coincidenza di trovarmi nella città dell’arbitro e consultando il menù del pub con il qr code, ordinando cose, brindando eccetera. Praticamente, mi sono perso la parte migliore dell’Inter. Quando ho iniziato a bere e mangiare, il Milan ha iniziato a bersi e a mangiarsi l’Inter, era tutto un rumore di fauci, una cosa disgustosa. Uno spettacolo triste da cui mi sono svegliato sul gol del 3-2, quando ormai pensavo che sarebbe finita 7-1 tipo Germania-Brasile ed ero pronto a ordinare altri panini e tentare il suicidio tipo la Grande Bouffe, seduto nelle retrovie vicino il cuginastro padovano che a cadenza regolare dava del kebabbaro a Cahla.

Dopo di che, mi sono seriamente interrogato sul nostro futuro prossimo e remoto.

In campo, l’Inter – senza Lukaku – aveva schierato all’inizio una squadra che poteva essere quella dell’anno scorso, con Correa al posto di Dzeko e con chiunque al posto di Perisic. Ecco, della voragine fisica e concettuale che si è aperta sulla nostra fascia sinistra mi ero già accorto sia dal divano che dalla tribuna rossa fake, ma dal pub mi sembrava di vedere Darmian muoversi sull’orlo di un burrone cercando di non precipitare dentro. Quindi ok, sulla questione Perisic bisognerà seriamente attrezzarsi tecnicamente e moralmente. Quanto a tutto il resto – lo stesso portiere, la stessa difesa, lo stesso centrocampo, il quasi-stesso attacco della squadra che lo scorso anno è arrivata secondo per un eccesso di sciocca generosità -, perchè facciamo così drammaticamente ca-ca-re?

Cinque partite. Tre elementari, vinte (una al 95′). Due difficili, perse (male, malissimo, sei gol presi, merda totale). Oggi, 4 settembre, di bilanci non se ne fanno. Ma mettiamoci nell’ottica di provare, senza disfattissimo, un serena preoccupazione. Visto che arriva il Bayern e, con tutto il rispetto, è un pochino più competitivo dello Spezia e un pochino più attrezzato anche della Lazio e del Milan che si sono fatti beffe di noi. Mettici che poi l’Uefa ti sanziona e ti avverte che ti terrà d’occhio nei secoli dei secoli, ed ecco ritornare impetuosa la sensazione delle pezze al culo. Mettici poi che si fanno questioni di principio sul sostituto di Ranocchia, mentre le altre comprano che è una bellezza. Abbiamo vissuto momenti migliori, ecco.

La squadra non sembra mai sincronizzata all’impegno richiesto dalla singola partita. Ho visto Barella fare il fenomeno con la Cremonese e restare ai margini con il Milan: e a noi cosa serve, esattamente, un Barella che fa i numeri con la Cremonese ed è un uomo in meno con il Milan? Poi: perchè la difesa migliore degli ultimi tre campionati adesso sembra preda di un incantesimo che ti fa distrarre o sbagliare movimento ogni volta che arriva un cross, anche il meno creativo? Perché Inzaghi, nella partita in cui deve schierare la squadra più cazzuta, non fa nemmeno una scelta coraggiosa? Perchè l’unica scelta che fa – Correa, l’uomo che non sa cosa sia la garra – la sbaglia?

In questo momento dovrebbe essere l’allenatore a dare qualche segnale importante. La squadra nei momenti difficili si perde – è successo due volte su due – e lui dovrebbe aiutarla a non perdersi. Non è uno scandalo che la condizione fisica sia imperfetta, ma per un club che punta a vincere è piuttosto scandaloso procedere a tentoni, in un clima di provvisorietà che è inutile drogare con le presunte “ottime prestazioni” con le retrocedende.

La “lontananza” dell’Inter dal focus delle partite, quando queste richiedono un livello di sforzo superiore al Cremonese-mode, dovrebbe far riflettere soprattutto Inzaghi. Che in questo inizio di stagione incide poco o niente, se non addirittura in negativo (il Correa col Milan è uguale al Gagliardini con la la Lazio, scelte sbagliate in premessa). La squadra ha bisogno di una scossa, questo torpore è fastidioso. Le supercazzole in zona mista non fanno più tenerezza. Uno dei pregi dell’Inzaghi-1 era l’Inter sempre propositiva e mai passiva che abbiamo visto nel 95% dei match della scorsa stagione. Quest’anno la percentuale si è così contratta che qualche domandina sarebbe meglio farsela prima che qualcuno tiri fuori dal cassetto il counter del panettone, che è una roba tossica tanto quanto le tiritere di Skriniar, Acerbi e Gosens. E noi, adesso, abbiamo bisogno di menti sgombre.

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Correità

Non moriremo tutti, è solo il 26 di agosto, mancano 35 partite, la stagione è lunga, non parlo dei singoli, decide il mister, la palla è rotonda. Diciamo solo che alla prima partita vera qualche nodo è venuto al pettine, e che se è prematuro tirare conclusioni non lo è affatto preccuparsi, visto che prima di arrivare alla metà di settembre (cioè, tipo dopodomani) avremo giocato altre tre partite di campionato e due di Champions. E il mondo che ci aspetta sarà popolato più di altre Lazio che di altre Spezia. E insomma, bisognerà attrezzarsi se non vogliamo che ogni volta finisca così, a raccogliere palloni in fondo alla rete, la nostra.

Dopo giorni di interviste a vip o esperti che ci danno quasi tutti come i naturali favoriti del campionato, l’Inter ha riscoperto sensazioni antiche (non prendeva 3 gol da Lazio-Inter dell’anno scorso) e altre sempreverdi: che le partite non si vincono in automatico.

Che ci siano giocatori più o meno in palla al 26 di agosto, boh, mi pare il minimo. Che ci sia un atteggiamento poco bellicoso alla prima trasferta importante della stagione, invece, mi pare deludente. Non ce l’ho con Correa, sia chiaro. Ma oggi, con giusto qualche rara eccezione, avevamo un po’ tutti la faccia di Correa. Presente, no?, la faccia di Correa. Quella di uno che non ti trasmette di default quella ferocia agonistica, you know. Poi magari ti fa due gol col tiraggiro. O magari no.

Abbiamo perso 3-1 una partita che potevamo vincere, se quel colpo di testa di Dumfries fosse entrato appena un minuto dopo il gol di Lautaro. Da un uno-due del genere non so se la Lazio si sarebbe risollevata. Invece poi il 2-1 l’hanno fatto loro. E dopo il 2-1, il nostro nulla. Roba che alla fine ti viene solo da pensare che la nostra partita vera sia durata quel minuto là (per il resto tanto possesso sterile, tiracci senza un domani, pochissime buone idee) mentre la loro è durata un po’ di più. Avevano più voglia, se non altro.

Nelle prime due partite, per quanto contassero, mi era piaciuto il clima generale. L’abbraccio al 95esimo di Lecce, la serena ostinazione di provarci sempre con lo Spezia. A Roma si è vista purtroppo un’Inter che ci ha provato poco a cambiare il destino della partita. E, statisticamente, se ci provi poco a) ti può andare di culo, oppure b) la puoi tranquillamente perdere. Al video del primo gol spero seguirà dibattito, in sala tv, o almeno un piccolo concorso interno: chi era il più molle? Chi vince, paga l’asado a tutti. E via verso la prossima avventura.

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Lu-Lu La-La-La (trottolini amorosi)

Quando si fantastica, con una punta di amarezza, su cosa avrebbe potuto essere l’Inter dello scorso campionato con Lukaku – avremmo vinto il campionato con quattro giornate di anticipo, forse -, ci si confronta con un dato incontrovertibile: l’Inter senza Lukaku ha avuto comunque il miglior attacco del campionato e lo scudetto, evidentemente, non ce lo siamo giocato lì. Certo che oggi rivedere Lukaku al centro dell’attacco, e rivedere la virtuosità del suo sodalizio con Lautaro, autorizza a concedersi altre e nuove fantasie: quando la palla finisce là davanti è assai probabile che qualcosa succeda – un tiro, un assist, un colpo di scena – e questo a noi tutti piace parecchio.

Ovvio che, se il pudore conta ancora qualcosa, non è il caso di lasciarsi andare troppo dopo una vittoria in casa con lo Spezia, bella e convincente quanto vuoi, quantomeno quel che ci voleva a dimenticare gli spaventi di Lecce. Però nelle prossime tre giornate, prima della mortifera pausa per la nazionale, ci aspettano due partite vere, molto vere, e le trasferte con Lazio e Milan ci potranno dare qualche indicazione in più. Finchè gireremo in bermuda non sarà il caso di tirare grandi conclusioni, ma c’è bisogno di calarsi in situazioni meno morbide per darsi una dimensione. Anche il sorteggio di Champions servirà a darci una mossa, perchè il mondo non è fatto di Lecci e Spezie (per fortuna, eh? Sai che due coglioni).

Lu-La funziona senza nemmeno aver bisogno di chissà che. Lautaro sembra bello tonico, Big Rom un po’ meno, ma fanno cose di default, ne fanno già molte. Il palo di testa, l’assist a Lautaro e il quasi assist al turco giustificano le aspettative che riponiamo su Lukaku e già un po’ le soddisfano. Intorno le cose girano già discretamente. Ma è lì, nel piccolo mondo di quei due, che deve funzionare tutto a puntino. Il nostro futuro passa dai loro piedi, dalla loro testa, dalla formula chimica che li tiene insieme. Per ora, senza rilassarci troppo, possiamo stare discretamente tranquilli.

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Novantacinque

Alla fine (ma solo alla fine, che più fine non si può) di 95 minuti salvi solo quel mucchio selvaggio a bordo campo, l’esultanza corale che all’improvviso ti riempie lo schermo del televisore (vorresti essere lì a rotolarti con loro, e forse un po’ ci sei) e dà un senso a due orette di divano fin troppo faticose. E così, quando nemmeno ci speri più, si dissolvono i malumori multipli e preventivi – il campionato che inizia quando un tempo si giocava il Birra Moretti, le lunghe settimane a triturarsi i coglioni su Skriniar, Bremer, Dumfries, Pinamonti e Casadei, la prospettiva di altri quasi 20 giorni di mercato aperto (una iattura) e più in generale di un campionato che non sarà normale neanche un po’ – e torni a palpitare per l’Inter e basta, sbalestrata e perfettibile quanto vuoi, ma pur sempre Inter.

Segnare all’ultimo secondo di una partita, giocando a fare gli intellettualmente onesti, ti deve far pensare a cosa avresti detto se non ci fosse stato il tempo per quell’ultimo cross e la partita fosse finita sull’1-1, un pareggino sul campo di una neopromossa. Io avrei detto “boh, male male” e avrei girato canale per vedere il finale di Hurkacz-Ruud, ma già mi immagino i “moriremo tutti” e “manco in Champions andiamo” che mi avrebbero ammorbato il display. Mi affido per pigrizia al commento di Inzaghi che è contento dell’inizio (e beh, 84 secondi e segna Lukaku, cosa vuoi di più?) e della prima mezz’ora (davvero? nemmeno un’occasione, a meno che non stessi facendo zapping per frustrazione), poi il fallo su Lautaro ci ha innervositi e ci siamo un po’ persi (se ti perdi per un fallo, stiamo freschi) e ci dovremo riflettere un po’ su perchè non ci si può ridurre a vincere al 95′ (ecco, brevi, riflettete).

Beh, a pensarci bene mi è piaciuto anche il finale con il 4-2-4, non so perché, ma mi ha risvegliato i sensi: non è una gran serata ma provi a vincerla fino al 94′, diciamo che il minimo sindacale era stato fatto. Poi vabbe’, l’abbiamo pure vinta. E mi fermo qui, perchè era pur sempre un Lecce-Inter semibalneare e finchè non si chiude il mercato resta nell’aria una provvisorietà che suona sinistra. Vorrei mettere la sveglia e riprendere conoscenza a settembre, ma non si può.

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