Tante coccole!

Siamo arrivati al punto che Bastoni – Bastoni, l’uomo a cui la madre pulisce la bocca con un tovagliolo di carta dopo che ha mangiato una pizzetta – viene sostituito dopo mezz’ora del primo tempo a Udine e prende a calci la panchina. Quasi non ci credevo. E’ come se avessi visto i Teletubbies tirare sampietrini ai vetri delle scuole. Quando Inzaghi in zona mista ha spiegato questa inspiegabile mossa – volevo cambiarli tutti, ho iniziato dai due già ammoniti – avrei fatto come i Teletubbies modificati: avrei tirato sampietrini al televisore. Il nostro prevedibile allenatore ha un modus operandi ormai codificato: faccio una formazione, sostituisco gli ammoniti (ma perchè, perchè? come se a ogni partita uscissero in cinque per doppio giallo), cambio qualcun altro, aspetto il 90esimo, interviste, pullman, casa (repeat and fade).

Il problema – uno dei vari problemi, sul podio della gravità – è che siamo i Teletubbies, quelli veri. Pupazzi antropomorfi che adorano passeggiare sui prati, parlare e muoversi in modo lento e ripetitivo, “ciao ciao!”, “tante coccole!”, e l’Udinese ce ne mette tre di cui l’ultimo andando in porta con il pallone. Noi, si rotola placidamente. Tinky-Winky-Correinky adora fare le capriole e dribblarsi da solo. Dipsy-Devripsy suona il piano, è amico di tutti e non marca stretto nessuno. Brozo-Brozzy vuole sempre dormire e tarda a entrare in forma. Bare-ooh adora giocare, ma si stanca tanto e si riposa per le tre giornate successive. La-La-Ndanoviccy adora tuffarsi ma senza sporcarsi e quindi a volte non si tuffa. Ca-La-Nogly ama il bello, ma senza fretta. Lu-Lu-Kaky è grande, grosso, gentile e sempre a letto.

Ci stiamo perdendo un grande spettacolo, quello della Juve e dei suoi problemi, perchè siamo costretti a vederne un altro, quello dell’Inter e dei suoi problemi. Un doppio schermo in cui scorrono discreti disastri: in 9 partite ufficiali l’Inter ha perso 4 volte (tre volte prendendo 3 gol, tre volte perdendo con 2 gol di scarto), difficile dire se più o meno inquietante delle 2 vittorie in 9 partite dei gobbacci (che avendo fatto tre punti nella prima di campionato hanno dunque vinto una sola volta nelle ultime 8). Che bei pomeriggi, che belle serate avremmo trascorso se non avessimo da vedere i Teletubbies due partite sì e una no.

Inter e Juve sono oggi ostaggi dei loro allenatori, che a loro volta sono ostaggi dei loro giocatori, che a loro volta sono ostaggio delle nostre elementari aspettative, che al mercato mio padre comprò. La Juve che su otto partite ne vince una è una bella cosa. Ma noi, che vinciamo solo quelle facili e perdiamo tutte quelle difficili – e stiamo considerando “difficile” una trasferta a Udine -, non siamo messi molto meglio. E’ sempre troppo presto per preoccuparsi in senso lato (è pur sempre un campionato in cui vanno in fuga Napoli, Atalanta e Udinese), ma siamo perfettamente in tempo per preoccuparci in senso stretto, cioè per le cose di casa nostra, che vanno male. O a voi piacciono? No, per sapere.

La situazione è tanto grave che anche la Curva è stata costretta a redigere il suo comunicato semestrale. Il cui sunto è: noi non siamo isterici come i tifosotti, però adesso ci avete rotto il cazzo e dopo la pausa di campionato ve la dovete vedere con noi (cioè, sono isterici pure loro). Per diventare Ninja, i Teletubbies devono rimboccarsi le maniche e incazzarsi all’unisono. Se ne esce tutti insieme, dice democraticamente la Curva. Va bene: ma qualcuno suoni la carica. Senza farsi ammonire, mi raccomando.

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Il Var e i conti con la Storia

Oh, bene bene a Plzeň, eh? Ok, parliamo d’altro. Di cose anche più allegre. Un argomento a caso, molto attuale: la Juve e il Var. Bisogna serenamente ammettere che il rapporto tra la Juve e il Var è una delle situazioni più divertenti e interessanti non solo del calcio, ma forse dell’intera storia del costume italiano, nonché dell’antropologia criminale moderna. Se Bonucci (Bonucci!) usa l’aggettivo “depredato” (depredato!) riferito alla Juve (la Juve! depredata! Muahahahah) vuol proprio dire che su questo argomento potremo ancora spassarcela per anni, spaparanzati in poltrona con un’enorme porzione di pop corn (tipo la Nutella di Moretti) a goderci lo spettacolo dei gobbi (intesi come società sabauda e moltitudine di tifosi) che, a cadenza semestrale, perdono la testa di fronte a questa diavoleria che in effetti gli ha cambiato la vita.

Se da un lato il clamoroso finale di Juve-Salernitana dà un colpo quasi mortale alla credibilità del Var (ma come? le telecamere non coprono tutto il campo? e il numero di telecamere è direttamente proporzionale all’importanza della partita? cioè non siamo tutti uguali davanti al Var?), e quindi dovrebbe preoccupare un po’ tutti, dall’altro ci regala lo spettacolo della Juve spappolata tra il danno e la beffa: un gol annullato ingiustamente che genera tre espulsioni. Meraviglioso. Ci vorrebbero altre settecento Juve-Salernitana a pareggiare i conti con la Storia, quindi sticazzi. Ma il dibattito offre altre perle.

Repubblica dedica un pezzo sul cartaceo alla Juve vittima del Var. Vittima nel caso specifico – e vabbe’, siamo d’accordo – ma anche vittima in assoluto. Bum! Perchè da quando è stato introdotto il Var è la squadra trattata, diciamo così, peggio delle altre. Ha avuto 44 chiamate sfavorevoli e solo 23 a favore, mentre tutte le altre hanno un rapporto molto più equilibrato. Per ragioni di spazio, l’atto di accusa juventino nei confronti del magico macchinario dura solo qualche decina di righe nelle pagine dello sport. Nell’edizione on line, invece, il pezzo è corredato da una scheda che riporta la classifica completa degli interventi Var (eccola)

Squadra / a favore / contro
Juventus  / 23 /  44
Inter  /  33 /  26
Milan /  35 / 32
Napoli / 41 / 22
Roma / 28 /  29
Lazio / 37 / 28
Atalanta / 33 / 27
Bologna / 19 / 28
Fiorentina / 37 / 21
Sassuolo / 31 / 40
Sampdoria / 32 / 32
Torino / 25 / 31
Udinese / 25 / 35

e poi una candida considerazione che nel cartaceo non aveva trovato spazio. E cioè: la Juve è davvero vessata dal Var, come dimostrano queste cifre, oppure non sarà che gli arbitri fischiano di default a favore della Juve, poi si va a vedere il Var e si corregge (due volte sì e una no)?

La questione è sfiziosa assai. Non dobbiamo fissarci troppo su Juve-Salernitana, in cui è accaduta una cosa che forse non accadrà mai più, e cioè che un gol regolare è stato annullato dal Var per un incredibile difetto di funzionamento. Nel 99,9% dei casi accade il contrario, cioè che il Var ristabilisce la regolarità dei fatti – o almeno ci prova seriamente. E se su 67 interventi del Var per 44 volte si scopre che la Juve ha torto, viene proprio da pensare che gli arbitri italiani fischino con naturalezza a favore dei gobbi, come da abitudine ataviche, ma con meno pesi sulla coscienza: perchè poi, appunto, c’è il Var, nel caso, a correggere.

Questo spiega anche il tasso medio di indignazione degli juventini nei confronti del Var. Abituati da secoli alla fase 1 (fischio a favore a prescindere), ancora non si capacitano che esista una possibile fase 2 (arbitri davanti a un televisore che valutano il fischio a favore a prescindere). Li capisco.

L’atto di accusa juventino non tralascia alcun filone, compreso quello dei giovani arbitri in cerca di visibilità. Come Marcenaro, l’arbitro di Juve-Salernitana, 30 anni, solo 10 mesi di serie A. Dicono gli juventini: non è la prima volta che un giovane arbitro sceglie la Juve per fare il fenomeno. A parte che, vien da rispondere, fare il fenomeno contro la Juve è sempre un’attività parecchio rischiosa, ma non è questo aspetto solo un’altra faccia della stessa medaglia? Non è che anni e anni di “la Juve paga gli arbitri”, “gli arbitri sono al servizio della Juve” eccetera eccetera, affermazioni diventate luoghi comuni salvo poi essere corroborate in aule giudiziarie, genera nei giovani arbitri un naturale moto di ribellione? Che non è un “adesso sistemo io la Juve”, che sarebbe sbagliato, ma semplicemente “adesso tratto la Juve come tutte le altre”, che è in effetti un po’ rivoluzionario.

Lo juventino non cambierà mai. Potrebbe cambiare invece il Var, in meglio. Questi 5 anni di vita sembrano minimo 10 (per gli juventini 12) a furia di aggiustamenti che non riescono mai a dare l’impressione di un sistema oggettivo ed efficiente al 100%. Peccato, staremmo tutti un pochino più tranquilli. Certo, avremmo dovuto rinunciare al fantastico finale di Juve-Salernitana, l’armageddon dell’Alluminium Stadium. Però non saremmo venuti a sapere che per tipo un’Inter-Juve ci sono 250 telecamere 8k in funzione e per tipo un Lecce-Empoli si valuta il fuorigioco con una super 8. Il calcio non ha mai avuto meccanismi di equità: gli juventini – e qui chiudiamo il cerchio – lo sanno benissimo.

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Lapalisse

Al minuto 85, per portarmi avanti, avevo scritto il post su Facebook: “Ultime 3 partite, tutte a San Siro: 2 gol, 1 punto. Migliori in campo il portiere da rottamare e il centravanti che non segna ma almeno si sbatte. E’ tutto, voi la linea”. Naturalmente non l’ho spedito, aspettavo diligente e rassegnato la fine di un Inter-Torino da dimenticare in fretta. Poi, al minuto 88, la palla inaspettatamente entra, finisce 1-o e sapete come vanno le cose, no? Si alzano i voti in pagella (minimo mezzo punto a tutti, agli autori del gol e dell’assist anche di più), si cambiano i titoli, gli attacchi dei pezzi, si smussa qualche passaggio un po’ rude e via verso il prossimo match.

Dovendo far cagare, è meglio vincere 1-0 che pareggiare o perdere. E’ un vecchio adagio che alcune fonti attribuiscono a Jacques de La Palice, altre a Boskov e altre ancora a Confucio. Facendo cagare, non bisogna vergognarsi di vincere (c’è gente che ci ha costruito delle carriere sul vincere facendo cagare, uno allena attualmente in una città sabauda) e non bisogna fare i malmostosi a segnare tre punti in classifica. Son quelle cose che potrebbero anche aiutarti, al limite. Non è che se fai cagare sei costretto per forza a perdere. No, puoi anche vincere e va bene così. Ché magari ti cambia l’umore, chissà mai.

Cosa utile, al centrario, è tenere ben presente che la partita stava andando in un certo modo e che il tuo avversario non aveva rubato niente, anzi. Dopo una settimana (che poi sono mesi, forse anni) trascorsa a vedersi paragonato a vari oggetti inanimati, Handanovic ha dimostrato di avere ancora le capacità fisiche di respingere palloni. Il Torino ne aveva fatti arrivare nello specchio della porta avversario molto più di noi. Noi che siamo stati ancora una volta complessivamente molli, poco creativi, poco sul pezzo. Poi accade il piccolo miracolo che due tra i giocatori che più ti avevano fatto incazzare (perchè Brozo e Barella sono tra i tre-quattro più forti che abbiamo, e il loro grigiore per noi può essere mortale) confezionano un gol di puro talento, il classico lampo nel buio, e bòn.

L’Inter continua a lasciarmi perplesso. Nei miei elementari schemi mentali, non mi capacito che la stessa squadra che l’anno scorso giocava un calcio scoppiettante adesso sfiori la morte civile. E’ un problema fisico? Non mi capacito che a metà settembre una squadra sia ancora ridotta così. E’ un problema mentale? Non mi capacito che a metà settembre una squadra soffra già di tali paturnei. E’ un problema più complesso? Non mi capacito di non sapere un cazzo. Insomma, non mi capacito.

Non mi va di passare per disfattista, io che il disfattismo lo combatto. Mi inquieto se noto del disfattismo nella truppa, questo sì. Gente in bilico tra il malcontento e il giocare contro. Gente così facile a perdersi che non capisci perchè li abbiamo presi, strapagandoli. Gente che ha davanti degli obiettivi da inseguire e sembra non interessarsene abbastanza. C’è del disfattismo dell’aria e non è il mio, è il loro. E non va bene.

Inter-Torino non cambia lo scenario. L’Inter ha vinto tutte le partite facili e ha perso tutte quelle difficili, un bilancio che resta preoccupante anche se Barella fa un assist che sembra Modric e Brozo fa un magheggio che sembra Enzo Paolo Turchi. Adesso ci sono all’orizzonte due partite che sparigliano le classificazioni. In Champions, una partita facile che in realtà è difficilissima (perchè se la canniamo addio). In campionato, una partita facile che in realtà è molto complicata, in trasferta contro la squadra più in forma del campionato. Vediamo se questa variazione ci dà una svegliata. Sarebbe ora.

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Nostalgia

La giornata era iniziata con un teorico passo in avanti – Inzaghi che, vivaddio, cambia formazione, prova soluzioni, mette i nuovi – e poi è finita in maniera progressivamente triste, con una partita manifestamente da vorrei ma non posso, contro una squadra di un’altra categoria, certo, ma giocata per gran parte del tempo con un atteggiamento del tipo “minchia, sono di un’altra categoria, volete venire voi a giocare contro questi satanassi?” che non è il massimo della vita e ti lascia il retrogusto amaro. Che si parli di Lazio, Milan o Bayern, sia pure in contesti diversi e con gradazioni diverse, finisce sempre a parlare di garra, charrua o non charrua che sia. Una garra che non viene fuori mai se non sporadicamente, quei raptus di garra con risultati lasciati al caso, e che comunque durano troppo poco per cambiare il destino di una partita.

La differenza tecnica tra Inter e Bayern, oggi, sfiora l’imbarazzante. E se non ci metti un surplus di garra rischi l’imbarcata. Aver perso 0-2 è quasi buono, in questo senso. Anche col Liverpool avevi perso 0-2 ma te l’eri giocata per 70 minuti alla pari. Col Bayern alla pari non ci sei stato mai. E siccome un Bayern sbilanciato e a tratti un po’ annoiato qualche cosa ti ha concesso, siamo qui a pensare che sull0 0-1 potevamo pareggiare, e sullo 0-2 potevamo accorciare. Niente, non è successo. Poco cattivi in tutte le zone del campo, in attacco addirittura ci si è concessi qualche mollezza di quelle che ti vengono sul 5-0 con una piccola, e invece era una partita ancora in corso – ancora in bilico – con una super top.

A Napoli ne hanno fatti 4 al Liverpool e potevano essere 6, forse 8. A Milano abbiamo messo insieme qualche mezza occasioncella contro una squadra che ha fatto il doppio o il triplo di noi senza nemmeno sbattersi troppo. Abbiamo facce smunte e spaurite, sempre. Quella di Inzaghi, colta dalla telecamera al rientro dopo il riposo, era di un condannato a morte (c’è qualcosa che non sappiamo?). E dire che proprio lui aveva parlato di questa partita come di un’occasione per dimenticare il derby: beh, in quanti l’hanno giocata e vissuta così (lui compreso)? Stiamo ripiombando in un complesso d’inferiorità, o di inadeguatezza, che comincia a preoccupare. Per voi Conte era troppo gobbo? Per me era un fattore determinante. E in serate come questa mi manca da morire.

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Come prima, peggio di prima

Ho assistito alle ultime due partite dell’Inter NON dal divano, tanta roba per un pantolofaio come me. Inter-Cremonese: ero a San Siro in tribuna rossa fake, quello spicchio del primo anello una volta considerato “minchia che posto demmerda” e oggi allestito con sedili rossi e venduto profumatamente al pubblico come tale. Milan-Inter: ero in un pub di Padova in prima fila davanti al televisore, con dietro gente che uluvava e davanti camerieri che recapitavano roba buona al tavolo. In entrambi i casi, non ero perfettamente sul pezzo.

In Inter-Cremonese la mente vagava alle incertezze di un mercato non ancora finito, con Gosens che mezzo stadio dava ormai per venduto e Skriniar ancora corteggiato dai saltimbanchi francesi, che due coglioni!, e intanto guardavo lo stadio sold out ma con tanti posti vuoti migliori del mio, e allora mi sovveniva una domanda tipo quella delle anatre del Giovane Holden: cioè, dove sono i detentori dei posti liberi quando giuoca l’Inter? Perchè non sono qui come me, che ho preso due biglietti di tribuna rossa fake e ho parcheggiato a due chilometri, che la prossima volta lascio direttamente la macchina all’Ikea così sono già sulla strada? Tra un pensiero e l’altro l’Inter segnava tre gol e ne subiva uno, come mi confermava il tabellone elettronico.

In Milan-Inter, metà del primo tempo se n’è andato beandomi della strana coincidenza di trovarmi nella città dell’arbitro e consultando il menù del pub con il qr code, ordinando cose, brindando eccetera. Praticamente, mi sono perso la parte migliore dell’Inter. Quando ho iniziato a bere e mangiare, il Milan ha iniziato a bersi e a mangiarsi l’Inter, era tutto un rumore di fauci, una cosa disgustosa. Uno spettacolo triste da cui mi sono svegliato sul gol del 3-2, quando ormai pensavo che sarebbe finita 7-1 tipo Germania-Brasile ed ero pronto a ordinare altri panini e tentare il suicidio tipo la Grande Bouffe, seduto nelle retrovie vicino il cuginastro padovano che a cadenza regolare dava del kebabbaro a Cahla.

Dopo di che, mi sono seriamente interrogato sul nostro futuro prossimo e remoto.

In campo, l’Inter – senza Lukaku – aveva schierato all’inizio una squadra che poteva essere quella dell’anno scorso, con Correa al posto di Dzeko e con chiunque al posto di Perisic. Ecco, della voragine fisica e concettuale che si è aperta sulla nostra fascia sinistra mi ero già accorto sia dal divano che dalla tribuna rossa fake, ma dal pub mi sembrava di vedere Darmian muoversi sull’orlo di un burrone cercando di non precipitare dentro. Quindi ok, sulla questione Perisic bisognerà seriamente attrezzarsi tecnicamente e moralmente. Quanto a tutto il resto – lo stesso portiere, la stessa difesa, lo stesso centrocampo, il quasi-stesso attacco della squadra che lo scorso anno è arrivata secondo per un eccesso di sciocca generosità -, perchè facciamo così drammaticamente ca-ca-re?

Cinque partite. Tre elementari, vinte (una al 95′). Due difficili, perse (male, malissimo, sei gol presi, merda totale). Oggi, 4 settembre, di bilanci non se ne fanno. Ma mettiamoci nell’ottica di provare, senza disfattissimo, un serena preoccupazione. Visto che arriva il Bayern e, con tutto il rispetto, è un pochino più competitivo dello Spezia e un pochino più attrezzato anche della Lazio e del Milan che si sono fatti beffe di noi. Mettici che poi l’Uefa ti sanziona e ti avverte che ti terrà d’occhio nei secoli dei secoli, ed ecco ritornare impetuosa la sensazione delle pezze al culo. Mettici poi che si fanno questioni di principio sul sostituto di Ranocchia, mentre le altre comprano che è una bellezza. Abbiamo vissuto momenti migliori, ecco.

La squadra non sembra mai sincronizzata all’impegno richiesto dalla singola partita. Ho visto Barella fare il fenomeno con la Cremonese e restare ai margini con il Milan: e a noi cosa serve, esattamente, un Barella che fa i numeri con la Cremonese ed è un uomo in meno con il Milan? Poi: perchè la difesa migliore degli ultimi tre campionati adesso sembra preda di un incantesimo che ti fa distrarre o sbagliare movimento ogni volta che arriva un cross, anche il meno creativo? Perché Inzaghi, nella partita in cui deve schierare la squadra più cazzuta, non fa nemmeno una scelta coraggiosa? Perchè l’unica scelta che fa – Correa, l’uomo che non sa cosa sia la garra – la sbaglia?

In questo momento dovrebbe essere l’allenatore a dare qualche segnale importante. La squadra nei momenti difficili si perde – è successo due volte su due – e lui dovrebbe aiutarla a non perdersi. Non è uno scandalo che la condizione fisica sia imperfetta, ma per un club che punta a vincere è piuttosto scandaloso procedere a tentoni, in un clima di provvisorietà che è inutile drogare con le presunte “ottime prestazioni” con le retrocedende.

La “lontananza” dell’Inter dal focus delle partite, quando queste richiedono un livello di sforzo superiore al Cremonese-mode, dovrebbe far riflettere soprattutto Inzaghi. Che in questo inizio di stagione incide poco o niente, se non addirittura in negativo (il Correa col Milan è uguale al Gagliardini con la la Lazio, scelte sbagliate in premessa). La squadra ha bisogno di una scossa, questo torpore è fastidioso. Le supercazzole in zona mista non fanno più tenerezza. Uno dei pregi dell’Inzaghi-1 era l’Inter sempre propositiva e mai passiva che abbiamo visto nel 95% dei match della scorsa stagione. Quest’anno la percentuale si è così contratta che qualche domandina sarebbe meglio farsela prima che qualcuno tiri fuori dal cassetto il counter del panettone, che è una roba tossica tanto quanto le tiritere di Skriniar, Acerbi e Gosens. E noi, adesso, abbiamo bisogno di menti sgombre.

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Correità

Non moriremo tutti, è solo il 26 di agosto, mancano 35 partite, la stagione è lunga, non parlo dei singoli, decide il mister, la palla è rotonda. Diciamo solo che alla prima partita vera qualche nodo è venuto al pettine, e che se è prematuro tirare conclusioni non lo è affatto preccuparsi, visto che prima di arrivare alla metà di settembre (cioè, tipo dopodomani) avremo giocato altre tre partite di campionato e due di Champions. E il mondo che ci aspetta sarà popolato più di altre Lazio che di altre Spezia. E insomma, bisognerà attrezzarsi se non vogliamo che ogni volta finisca così, a raccogliere palloni in fondo alla rete, la nostra.

Dopo giorni di interviste a vip o esperti che ci danno quasi tutti come i naturali favoriti del campionato, l’Inter ha riscoperto sensazioni antiche (non prendeva 3 gol da Lazio-Inter dell’anno scorso) e altre sempreverdi: che le partite non si vincono in automatico.

Che ci siano giocatori più o meno in palla al 26 di agosto, boh, mi pare il minimo. Che ci sia un atteggiamento poco bellicoso alla prima trasferta importante della stagione, invece, mi pare deludente. Non ce l’ho con Correa, sia chiaro. Ma oggi, con giusto qualche rara eccezione, avevamo un po’ tutti la faccia di Correa. Presente, no?, la faccia di Correa. Quella di uno che non ti trasmette di default quella ferocia agonistica, you know. Poi magari ti fa due gol col tiraggiro. O magari no.

Abbiamo perso 3-1 una partita che potevamo vincere, se quel colpo di testa di Dumfries fosse entrato appena un minuto dopo il gol di Lautaro. Da un uno-due del genere non so se la Lazio si sarebbe risollevata. Invece poi il 2-1 l’hanno fatto loro. E dopo il 2-1, il nostro nulla. Roba che alla fine ti viene solo da pensare che la nostra partita vera sia durata quel minuto là (per il resto tanto possesso sterile, tiracci senza un domani, pochissime buone idee) mentre la loro è durata un po’ di più. Avevano più voglia, se non altro.

Nelle prime due partite, per quanto contassero, mi era piaciuto il clima generale. L’abbraccio al 95esimo di Lecce, la serena ostinazione di provarci sempre con lo Spezia. A Roma si è vista purtroppo un’Inter che ci ha provato poco a cambiare il destino della partita. E, statisticamente, se ci provi poco a) ti può andare di culo, oppure b) la puoi tranquillamente perdere. Al video del primo gol spero seguirà dibattito, in sala tv, o almeno un piccolo concorso interno: chi era il più molle? Chi vince, paga l’asado a tutti. E via verso la prossima avventura.

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Lu-Lu La-La-La (trottolini amorosi)

Quando si fantastica, con una punta di amarezza, su cosa avrebbe potuto essere l’Inter dello scorso campionato con Lukaku – avremmo vinto il campionato con quattro giornate di anticipo, forse -, ci si confronta con un dato incontrovertibile: l’Inter senza Lukaku ha avuto comunque il miglior attacco del campionato e lo scudetto, evidentemente, non ce lo siamo giocato lì. Certo che oggi rivedere Lukaku al centro dell’attacco, e rivedere la virtuosità del suo sodalizio con Lautaro, autorizza a concedersi altre e nuove fantasie: quando la palla finisce là davanti è assai probabile che qualcosa succeda – un tiro, un assist, un colpo di scena – e questo a noi tutti piace parecchio.

Ovvio che, se il pudore conta ancora qualcosa, non è il caso di lasciarsi andare troppo dopo una vittoria in casa con lo Spezia, bella e convincente quanto vuoi, quantomeno quel che ci voleva a dimenticare gli spaventi di Lecce. Però nelle prossime tre giornate, prima della mortifera pausa per la nazionale, ci aspettano due partite vere, molto vere, e le trasferte con Lazio e Milan ci potranno dare qualche indicazione in più. Finchè gireremo in bermuda non sarà il caso di tirare grandi conclusioni, ma c’è bisogno di calarsi in situazioni meno morbide per darsi una dimensione. Anche il sorteggio di Champions servirà a darci una mossa, perchè il mondo non è fatto di Lecci e Spezie (per fortuna, eh? Sai che due coglioni).

Lu-La funziona senza nemmeno aver bisogno di chissà che. Lautaro sembra bello tonico, Big Rom un po’ meno, ma fanno cose di default, ne fanno già molte. Il palo di testa, l’assist a Lautaro e il quasi assist al turco giustificano le aspettative che riponiamo su Lukaku e già un po’ le soddisfano. Intorno le cose girano già discretamente. Ma è lì, nel piccolo mondo di quei due, che deve funzionare tutto a puntino. Il nostro futuro passa dai loro piedi, dalla loro testa, dalla formula chimica che li tiene insieme. Per ora, senza rilassarci troppo, possiamo stare discretamente tranquilli.

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Novantacinque

Alla fine (ma solo alla fine, che più fine non si può) di 95 minuti salvi solo quel mucchio selvaggio a bordo campo, l’esultanza corale che all’improvviso ti riempie lo schermo del televisore (vorresti essere lì a rotolarti con loro, e forse un po’ ci sei) e dà un senso a due orette di divano fin troppo faticose. E così, quando nemmeno ci speri più, si dissolvono i malumori multipli e preventivi – il campionato che inizia quando un tempo si giocava il Birra Moretti, le lunghe settimane a triturarsi i coglioni su Skriniar, Bremer, Dumfries, Pinamonti e Casadei, la prospettiva di altri quasi 20 giorni di mercato aperto (una iattura) e più in generale di un campionato che non sarà normale neanche un po’ – e torni a palpitare per l’Inter e basta, sbalestrata e perfettibile quanto vuoi, ma pur sempre Inter.

Segnare all’ultimo secondo di una partita, giocando a fare gli intellettualmente onesti, ti deve far pensare a cosa avresti detto se non ci fosse stato il tempo per quell’ultimo cross e la partita fosse finita sull’1-1, un pareggino sul campo di una neopromossa. Io avrei detto “boh, male male” e avrei girato canale per vedere il finale di Hurkacz-Ruud, ma già mi immagino i “moriremo tutti” e “manco in Champions andiamo” che mi avrebbero ammorbato il display. Mi affido per pigrizia al commento di Inzaghi che è contento dell’inizio (e beh, 84 secondi e segna Lukaku, cosa vuoi di più?) e della prima mezz’ora (davvero? nemmeno un’occasione, a meno che non stessi facendo zapping per frustrazione), poi il fallo su Lautaro ci ha innervositi e ci siamo un po’ persi (se ti perdi per un fallo, stiamo freschi) e ci dovremo riflettere un po’ su perchè non ci si può ridurre a vincere al 95′ (ecco, brevi, riflettete).

Beh, a pensarci bene mi è piaciuto anche il finale con il 4-2-4, non so perché, ma mi ha risvegliato i sensi: non è una gran serata ma provi a vincerla fino al 94′, diciamo che il minimo sindacale era stato fatto. Poi vabbe’, l’abbiamo pure vinta. E mi fermo qui, perchè era pur sempre un Lecce-Inter semibalneare e finchè non si chiude il mercato resta nell’aria una provvisorietà che suona sinistra. Vorrei mettere la sveglia e riprendere conoscenza a settembre, ma non si può.

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L’effetto Saelemaekers

Già accertato il dove e il come abbiamo perso lo scudetto – perchè questo, ahinoi, resterà nella nostra storia come un campionato regalato ad altri – e stabilito che chi l’ha vinto, per quanto ci stia parecchio sul cazzo, non lo ha rubato, varrebbe la pena fare tesoro degli insegnamenti di questa stagione.

Il Milan qualche lezioncina ce l’ha data. Abbiamo perculato per mesi Pioli is on fire, e Pioli on fire lo è stato davvero. Abbiamo ironizzato per mesi sulle loro campagne acquisti creative, come se i giocatori li cercassero su Wish, e invece dobbiamo prendere atto che Leao l’hanno preso loro, Tonali l’hanno preso loro, Maignan l’hanno preso loro, l’insopportabile Theo l’hanno preso loro, e noi no. Abbiamo letto e riletto stupefatti le loro formazioni creative, ma il piccolo miracolo lo hanno costruito passo dopo passo: tipo iniziare la stagione con Kjaer e Romagnoli centrali e finirla con Tomori e Kalulu che prendono due gol in 11 partite, game, set and match. O tipo non avere un vero centrocampo titolare ma una girandola di quasi titolari, buoni ma non buonissimi, forti ma non fortissimi: una formula ben diversa dalla nostra – tre titolari stellari e dietro dei comprimari mai decisivi – e alla lunga più redditizia. Avranno avuto culo, altrochè. Avranno sfruttato al meglio l’eliminazione totale dall’Europa (uhm, chi mi ricorda?) mentre noi ci stressavamo assai, altrochè. Ma hanno superato le difficoltà senza strapparsi mai i capelli e alla fine sono passati all’incasso con un fame che noi non abbiamo avuto.

E noi? Stanchi e un pochino invidiosi, dobbiamo trastullarci con la legge del bicchiere mezzo pieno. Perchè mezzo vuoto non è, anzi. Due coppe dal valore intrinseco altissimo, strappate entrambe alla Juve, una sciccheria totale, e un secondo posto in campionato con cui completiamo il trittico delle ultime tre stagioni che ci hanno riportato a un livello degno di noi: uno scudetto e due secondi posti, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana, una finale di Europa League, il ritorno agli ottavi di Champions dopo dieci anni. Certo, il bicchiere è pieno solo a metà: questo non-scudetto è una pena infinita a ripensarci. A ripensarci dall’inizio.

Le statistiche ci dicono che l’Inter di quest’anno ha fatto 7 punti in meno di quella dello scorso anno. Già, ecco, diciamolo: ha fatto solo 7 punti in meno, senza Conte, senza Lukaku, senza Eriksen, senza Hakimi. Senza tutto ‘sto popò di gente è riuscita addirittura a subire tre gol in meno (quasi la miglior difesa, 32, Napoli e Milan ne hanno presi 31) e a segnarne comunque solo 5 di meno (84, nettamente il miglior attacco del campionato). Lo scorso Ferragosto, giova ricordarlo, eravamo la barzelletta d’Italia, la squadra campione che si era dissolta in un amen e andava incontro a un periodo di terrore, distruzione, morte. E invece è andata come è andata, abbiamo sfiorato un tripletino che avrebbe fatto, se non la storia, almeno la storiella.

Il finale di campionato è stato frustrante, ad aspettare inutilmente che il Milan perdesse. Sotto questo aspetto, meno male che è finito. Nella delusione siamo riusciti anche a finirlo bene: lo spettacolo di amore e orgoglio di San Siro con il tributo alla squadra non-scudettata è una piccola medaglia al valore morale. Ora inizia un altro rosario che ci farà rimpiangere il primo: quello del mercato, della gente che tarderà ad arrivare e di quella che se ne andrà, qualcuna con sollievo e altri no. Che ci tocchi ogni anno cedere uno o più gioielli e a ripartire da un passo indietro, porca miseriaccia schifosa, è una tortura che non ci meritiamo. Costretti sempre a fare le nozze con qualche fico secco. Potessi partecipare a un cda dell’Inter, caldeggerei una soluzione alla Milan: una rosa con meno alti e bassi, più equilibrata (il più possibile verso l’alto, ovvi0), una panchina verso cui non guardare con disperazione nei momenti topici, privilegiando gente vogliosa a qualche nome magari altisonante ma non affidabile.

“Grazie al cazzo”, mi direbbe Steven durante il suddetto cda mostrandomi bilanci Suning, legislazione cinese e il Cud di Vidal. Perchè poi i problemi sono sempre gli stessi: a cominciare da quell’ultimo gradino che dovremmo salire per raggiungere l’Olimpo, mentre invece siamo qui a guardare Saelemaekers che festeggia dal pullman scoperto che avevamo prenotato a fine gennaio.

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Quasi primi

In scala 1 a 2 o forse 1 a 3 (perchè la Premier è la Premier), Inter e Milan ci hanno regalato un finale di campionato tipo City e Liverpool, un duello che a questi livelli mancava da un po’. L’Inter ha vinto 9 delle ultime 10 partite disputate (8 in campionato e 2 in Coppa Italia): in queste 10 partite ha affrontato e battuto due volte la Juve e una il Milan, però ha perso a Bologna e patatrac. Il Milan dal 17 gennaio (la sconfitta a La Spezia su cui versammo cisterne di sarcasmo) non ha più perso, a parte la semifinale di Coppa Italia con noi. In campionato, insomma, ha quattro mesi di percorso netto e sempre migliore, se possibile: ha vinto le ultime cinque, ha subito due gol nelle ultime dieci.

Squadra imperfetta, certamente meno forte della nostra, il Milan si è guadagnato questa chance al cento per cento. Non ho mai condiviso granchè le larghe ironie che si sono fatte sul Milan nelle ultime due stagioni, che comunque ha condotto costantemente al vertice: l’anno scorso a un certo punto non ha più tenuto il nostro ritmo, quest’anno invece lo ha fatto eccome. E nel profluvio di paragoni con il 5 maggio (che noi speriamo di rivivere, ovviamente ribaltato) la differenza sta proprio qui: noi a quel 5 maggio arrivammo in frantumi (fisicamente e psichicamente, dopo tutti i trappoloni che ci avevano apparecchiato), il Milan arriva all’innocua partita di Sassuolo in splendida forma. Le ultime cinque partite ci raccontano di una squadra che sull’onda dell’entusiasmo – come non capirli – va dritta al punto. Ci piaccia o no, sono tosti.

Insomma, di speranze vere non ne nutro neanche un po’. Poi vabbe’, tutto può succedere, la storia ce lo insegna e la palla è rotonda. Sarà un pomeriggio divertente. No, divertente no. Di tensione, ecco, una tensione un po’ disincantata. Un’ansia speciale, che si arrivi in fretta al 90′ e poi basta così, anche quest’anno abbiamo dato.

Per noi, al 99% sarà un pomeriggio di rimpianto per un campionato che potevamo vincere e abbiamo perso. Un campionato di otto mesi e 38 partite che vediamo sfumare a causa di 60 minuti di follia, quelle due mezz’ore di quelle due partite (Inter-Milan e Bologna-Inter) che ci sono costate il ventesimo scudetto. Chiuderemo con il broncio una bella stagione: due trofei (vinti con la Juve ai supplementari, che magia), una Champions “vera” (agli ottavi dopo tanto tempo, quattro delle otto partite giocate contro le due finaliste, no, per dire) e un secondo posto in campionato. Avremmo firmato cento volte una roba così ad agosto, quando ci davano in zona Conference League a dir tanto. E invece avremmo potuto fare anche meglio: fare il pieno.

Il 22 maggio è una bellissima data per noi e lo diventerà probabilmente anche per il Milan. I complimenti glieli faccio già ora, naturalmente sperando che porti male. Vorrei spegnere il mondo alle 18 e riaccenderlo verso le 20, scoprendo chi sta facendo il carosello. L’1 per cento è poca roba, ma ogni tanto succede che i granellini finiscono negli ingranaggi. Bravo Milan, te lo scrivo con una mano sola.

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