Classica partita a doppio taglio, in cui il confine tra il vincere e il non vincere (cioè tra fare il tuo normale dovere e fare un disastro totale) è spesso così labile – una frazione di secondo, uno stinco, una zolla – che alla fine, all’antivigilia di Natale, nel breve transito da due a un asterisco, ti viene voglia di festeggiare questi tre punti stappando una bottiglia (non fosse che le bottiglie sono in fresco per domani e dopo e quindi no, niente, non si può fare).
Classica partita a doppio taglio che meriti di vincere, vabbe’, è il minimo, ma poteva benissimo finire in un altro modo e sarebbe stato un Natale demmerda, a meno 5 dall’Atalanta e a meno 3 dal Napoli (con asterisco, certo, ma sapete come sono gli asterischi). E invece è finita nel modo giusto. Anzi, è finita benissimo. Perché, al termine della partita che abbiamo visto tutti, sorprendersi per un’Inter che va a cercarsi e prendersi un gol bellissimo al 92′, con un’azione corale conclusa da una prodezza singolare, beh ragazzi, è stato un meraviglioso dissolversi della fatica e delle ansie dei 92 precedenti minuti e la riprova, sia pure in zona Cesarini, che questa squadra – la nostra – ha un sacco di frecce al proprio arco, compresa la riserva di voglia e di cazzimma di andarsi a redimere al 92′ e mandarci a letto belli sereni.
Il Como è stato anche meglio di quello che avremmo pensato, e l’Inter è stata peggio di quanto avremmo sperato. Ma è finita 2-0 per noi, sprecando qualcosa e sfiorando l’apocalisse un paio di volte (grazie Sommer, grazie Carlos). Soprattutto, superando indenni la serata certamente non di grazia di molti dei nostri, un po’ scarichi. Dopo la folle serata con la Juve, nelle sette partite che sono seguite in campionato abbiamo fatto 19 punti su 21 e subìto due (2) gol, di cui uno non decisivo. Ah, dimenticavo: ne abbiamo segnati 22 (in sette partite, yeah). Continuiamo pure a cercare peli nell’uovo, per carità, è nostra facoltà e nostro diritto (e forse anche un modo di tenere alta l’attenzione, in generale): però, comunque sia, stiamo andando quasi al massimo. Ci sta davanti solo una squadra che le sta vincendo tutte da tipo tre mesi.
Quindi, al diavolo i peli nell’uovo. Stasera si festeggia e basta. E siccome siamo a Natale, mi è molto piaciuta la quasi-standing ovation dello stadio a Lautaro, applauso affettuoso a un attaccante in crisi che però resta orgogliosamente il tuo capitano. Una quasi-standing ovation al termine di quella che forse è stata la sua peggior partita di un già pallidissimo momento. Il rendimento di cui sopra (cui va aggiunta la Champions, al netto di Leverkusen, e la Coppa Italia) l’Inter lo sta tenendo senza il suo uomo-squadra, senza l’attaccante che la scorsa stagione ne faceva a grappoli. Per me, questa cosa è davvero notevole. E’ come essere in testa alla classifica di Giochi senza Frontiere senza avere ancora giocato il jolly (mi scuso con i non-boomer).
Lazio-Inter poteva essere considerata fin qui la partita più difficile della stagione: una trasferta sul campo di una squadra in formissima, 10 vinte nelle ultime 12 (coppe comprese), gasata dal suo momento-sì e dal concomitante disastro della Roma. Un’avversaria diretta a tutti gli effetti, una concorrente nell’inseguimento all’Atalanta. Forse non c’era squadra che ci avesse preoccupato di più a bocce ferme e, tutto sommato, per la prima volta in campionato dovevamo affrontare una partita in cui tra vincere o non vincere (o addirittura perdere) c’era una bella differenza. Per dire: se avessimo perso 1-0 tipo Leverkusen adesso saremmo quarti a pari con la Fiorentina, con una partita in meno ma a 6 punti dall’Atalata e 4 dal Napoli, ridimensionati e intristiti.
Ed è stata una risposta pazzesca sia alla non-partita di Leverkusen sia alla prima mezz’ora della Lazio, oggettivamente notevole. Nella successiva ora però si è rivista l’Inter migliore, che sprigiona bellezza e colpisce senza pietà. E colpisce – questa è una cosa fantastica – senza attaccanti. Ne fa sei con sei giocatori diversi e delle punte segna solo Thuram.
Napoli (Calhanoglu), Verona (Correa, Thuram, Thuram, De Vrij, Bisseck), Lipsia (autogol), Parma (Dimarco, Barella, Thuram), Leverkusen (-), Lazio (Calhanoglu, Dimarco, Barella, Dumfries, Carlos Augusto, Thuram): nell’ultimo mese, su 16 gol, 5 sono degli attaccanti e 10 sono dei non attaccanti (più l’autogol). Solo a Verona i gol delle punte sono stati decisivi, gli altri sono arrivati a risultato acquisito. E Correa è la quinta punta, uno che non doveva nemmeno esserci. Di fronte a un’oggettiva difficoltà stiamo reagendo da grande squadra: abbiamo risorse ovunque, le sfruttiamo. Ha addirittura segnato il suo primo gol in campionato con l’Inter Carlos Augusto, l’uomo che si è fatto rizollare il cranio, che Iddio l’abbia in gloria.
Mancava anche a noi, nonostante tutto (e nonostante diverse buone prove, qualcuna ottima), la prova di essere ancora quelli là. Adesso ce l’abbiamo. E anche se il resto non ci deve per forza interessare, rileviamo che piano piano tutte iniziano a fare passi falsi (nelle ultime tre giornate la Lazio ha perso due volte, Napoli e Fiorentina una; la Juve non vince da secoli, c’era ancora Boniperti presidente). Non l’Atalanta, che non dobbiamo lasciar scappare. Senza ansia, però: partite come quella di Roma ti riportano a quella confidenza nei tuoi mezzi che ti consente di vivere bene anche se (ancora) non guardi tutti dall’alto verso il basso.
(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #92, con il mio socio Max attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355.Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. In fondo abbiamo una partita in meno.
(due comunicazioni. Intanto, per Inter-Como faremo una puntata-lampo: mandate i vocali subito dopo la partita, ma subito subito, entro le 23. Poi, iniziano le votazioni per il Ballon de merde, il concorso dei concorsi. Tutte le istruzioni nell’ultima puntata)
(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)
Prendere un gol di merda al 90′, a parte il giramento di coglioni, ti costringe a rimangiarti tutto quello che stavi pensando almeno da 45 minuti: e cioè che una tantum ci si poteva concedere una partita così, giocata e (forse) concepita per lo 0-0, uno 0-0 non banale perchè ti avrebbe dato la ragionevole certezza della qualificazione diretta agli ottavi anche solo vincendo una delle ultime due. Missione quasi compiuta. Quasi.
L’avessimo compiuta, saremmo qui belli tranquilli con un unico rammarico: non avere cambiato canale per vedere Atalanta-Real, che mi dicono essere stato un partitone. L’avremmo compiuta con uno sforzo relativo, senza rinunciare (anzi, esaltandolo) al turnover. Siccome non l’abbiamo compiuta, ci sono un po’ di cose che spiccano in negativo, tipo il numero dei tiri in porta (zero) che ci mette spalle al muro: volevamo solo lo 0-0, siamo andati là solo per lo 0-0? Non c’è mica da scandalizzarsi, anzi. A parte la quasi qualificazione, uno 0-0 ci avrebbe dato il record del sesto clean sheet consecutivo in Champions, e con esso quella aura di sostanziale invulnerabilità che ti rende tanto sicuro e inquieta gli avversari. Ma non è questo il punto.
Il punto è che noi non siamo capaci di giocare per lo 0-0. E’ una bellissima maledizione, in fondo, ma dobbiamo tenerne conto. Vedere un’Inter temporeggiatrice, riflessiva al limite del rinunciatario, speculatrice fino alla sonnolenza è stato uno spettacolo quasi innaturale. E qui non c’è alternativa: o compi la missione, e quindi senza troppi entusiasmi vai a dormire sereno; o non la compi, e allora bisogna discutere se giocare questo tipo di partite ci convenga o no. Tra il compiere e non compiere questa missione, nel caso di Leverkusen, ci sono stati solo pochi secondi di differenza. Sì, è anche sfiga. Ma ce la siamo un po’ cercata.
Non è solo questione di estetica: l’Inter propositiva e votata all’attacco non è solo più bella, ma è anche l’unica possibile. Il modello Leverkusen ha i suoi limiti in assoluto (quando giochi per lo 0-0 la enculada è sempre in agguato, e in Europa non è una tattica che paga sempre), ma è che queste partite più allegriane che inzaghiane proprio non ci si addicono. Noi dobbiamo ragionare per linee rette, dobbiamo muoverci veloci, sprigionare talento. La partita difensiva con l’Arsenal era stata tutt’altra cosa: abbiamo difeso un gol, abbiamo resistito all’assalto, abbiamo vinto. L’Inter di Leverkusen è tutta in quell’occasione capitata a Taremi nel primo tempo: ci ha messo mezz’ora a girarsi per tirare, segno che con la lentezza non andiamo da nessuna parte.
(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #90, con il mio socio Max attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355.Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. In fondo abbiamo una partita in meno.
(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)
Era importante iniziare bene questo campionato e lo abbiamo fatto con tre punti e uno sforzo non eccessivo. Il campionato è quello con l’asterisco: per due mesi avremo una partita in meno, e all’interno di questi due mesi ci sarà una decina di giorni in cui ne avremo due in meno – quindi, due asterischi. E’ una condizione che abbiamo sperimentato due volte negli ultimi tre campionati, con un bilancio in pareggio (la prima volta una merda, la seconda volta un trionfo). E’ una condizione sempre un po’ straniante, una condizione che condiziona, diciamo così. E ce la terremo per due mesi.
La partita in meno è un retropensiero perenne. Ogni considerazione, ogni programma, ogni bilancio, per non dire di ogni tabella, terminerà con la postilla “ma c’è una partita da recuperare”, un asterisco sopra le nostre povere teste già fiaccate da tutto ‘sto calcio. Se c’è un fatto a suo modo positivo è che la partita da recuperare è Fiorentina-Inter, non una di quelle che ti viene da calcolare in automatico con tre punti in più (no, giammai!). Che poi è anche un fatto a suo modo negativo: quella partita in meno, una partita non facile, diventa una pressione in più perchè appunto difficile, una mina vagante che ti infileranno in un calendario già strapieno e diventerà un infrasettimanale che ti saresti volentieri risparmiato (la prima data ipotizzata, tra l’altro, ti costringerebbe a giocare con la Fiorentina due volte in quattro giorni, più che un asterisco è tipo l’imprevisto del Monopoli). Una partita da recuperare è, di suo, uno svantaggio: le altre non giocheranno, saranno tutti sul divano, e tu là, a Firenze, quando accadrà, a sbatterti con l’aggravio dell’angoscia.
Vabbe’, ma a questo ci penseremo. Il sotto-campionato con l’asterisco è iniziato bene. Se poi il Milan ci avesse dato una mano salvando il culo a Bergamo, ecco, l’umore sarebbe ancora più alto (bastava non prendere quel gol ridicolo su calcio d’angolo a tre minuti dalla fine, scarsoni che non siete altro). Ma non è certo dal circo Medrano che passano i nostri destini. Fa più impressione l’Atalanta che vince la nona di fila. E che a un certo punto nel secondo tempo chiama tre cambi ed entrano Retegui, Samardzic e Zaniolo. Ecco, questo mi ha colpito. Non ci possiamo distrarre. Nè ci dobbiamo distrarre a pensare agli asterischi. Bisogna vincere, l’unico modo per cui tornino sempre i conti e nulla resti intentato.
(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #89, con il mio socio ex aspirante pensionato (ora effettivamente in quiescenza), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355.Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. In fondo abbiamo una partita in meno.
(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)
Al netto della straordinaria e generosa accoglienza del Verona – nel primo tempo, adeguatamente lanciato a rete, avrei segnato anch’io con una trivela no-look – sarebbe scontato parlare di Correa, della sua partita, della sua coppetta da Mvp, del suo gol, delle sue due traverse e dei suoi due assist, insomma della sua resurrezione, o almeno epifania. Potremmo parlare di come il reietto all’improvviso ti fa una partita da Pallone d’Oro, sapendo naturalmente di poter essere smentiti quanto prima perché Correa questo è, un talento indiscusso con tanta indolenza quanta carenza di personalità, e sarebbe un po’ troppo aspettarne la metamorfosi. E proprio per questo forse è il momento giusto per parlare di Inzaghi, di come sa gestire la truppa e coltivare i rapporti dal numero 1 al numero 24, Correa appunto, in questa nuova modalità in cui il numero 24 non è il 24esimo di un graduatoria, ma uno dei 24 ventiquattresimi di questo insieme dove ci sono gerarchie ma c’è spazio per tutti, sempre più spazio, anche per uno che hai cercato di piazzare dovunque fino all’ultimo centesimo di secondo di mercato.
E quindi che fai di uno così? Avendolo dovuto tenere per forza, lo usi per caricare le borse sul pullman e per le cene degli Inter club? E tu, rimasto per mancanza di offerte nella società che non ti vuole, cosa fai? Dieci mesi di torelli e di scioperi bianchi? Mi piace pensare che tutti ci abbiano messo un po’ del loro per rendere questa storia così virtuosa. Correa si è messo al lavoro per recuperare il tempo perduto e farsi trovare pronto. Inzaghi non ha mai rinunciato a farlo sentire coinvolto e a dargli qualche occasione, fossero anche solo briciole. Bello che la squadra festeggi Correa quando Inzaghi, il giorno prima della partita, annuncia che giocherà lui. Bello che Correa festeggi se stesso con una partita sontuosa e festeggi con la squadra come se non ne fosse mai uscito. Non come se fosse il 24esimo della lista, ma il 24esimo di un gruppo di 24, tutti uguali anche se giochi di meno, tutti uguali anche se non avresti dovuto esserci e chissà quale maglia ti sarebbe toccata.
Correa, al di là dei buoni sentimenti iper-stimolati da una vittoria per 5-0, è di fatto un uomo in più per l’Inter, un’opzione vera, non più un morto che cammina. E siccome è tornato anche Buchanan, un tipetto che può servire parecchio nelle rotazioni, sembrano tutti segnali positivi di una stagione che pare rimettersi sul binario giusto. Nelle cinque partite seguite a Inter-Juve abbiamo subito un solo gol, nelle ultime otto abbiamo finito sei volte con il clean sheet: il peggior problema dell’Inter 2024-25 magari non può dirsi del tutto risolto, ma di sicuro il vento è cambiato. Bisogna continuare così ed evitare di guardarsi troppo indietro. Anche se facendo zapping ti imbatti in una obbrobriosa Milan-Juve, una robaccia da istigazione al suicidio, soprattutto se pensi che con queste due squadracce hai fatto un punto in due partite. Ti viene da girarti indietro e farti delle domande, ma è meglio guardare avanti, appunto. Siamo solo a un terzo del cammino. E in fondo abbiamo due giocatori in più.
(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #88, con il mio socio ex aspirante pensionato (ora effettivamente in quiescenza), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355.Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Vi ricordiamo che l’attualissimo tema “Pavia e gli 883 visti da vicino” resta attualissimo, appunto.Come anche il tema che moriremo tutti.
(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)
Restiamo agli ultimi due anni. 29 ottobre 2022. In un agguato di puro stampo mafioso, in pieno giorno, sparano sotto casa in via Zanzottera (Milano, quartiere Figino) a Vittorio Boiocchi, quello che tutti i media definiscono “storico capo ultras dell’Inter”. Aveva 69 anni, quasi 70, di cui 26 trascorsi in carcere (quindi era un capo ultras da remoto, diciamo così, daspato fino al maggio 2023) per scontare diverse condanne tra cui rapina, sequestro di persona e traffico di stupefacenti. “Lo storico capo ultras” della mia squadra del cuore. Ah, molto bene. E’ il peggio? No.
Boiocchi viene soccorso ormai morente e portato in elicottero all’ospedale San Carlo dove muore, a 15 minuti a piedi da San Siro. E’ un sabato, alle 20,45 si gioca Inter-Sampdoria (finirà 3-0, De Vrij, Barella e Correa). La notizia arriva allo stadio un’ora prima dell’inizio della partita. La curva prima sta in silenzio, poi a un certo punto decide che tutti devono uscire in segno di rispetto per il leader morto. Tutti – compresi anziani, bambini, donne, intere famiglie – tra la fine del primo e l’inizio del secondo tempo con modi bruschi vengono fatti uscire dal secondo verde. Alcuni, con modi molto bruschi. E’ il peggio? No.
Un mese dopo, il 25 novembre 2022, la Curva Nord emette un comunicato sulla vicenda, “Fratelli interisti, torniamo oggi, dopo una pausa di riflessione, ad affrontare i fatti accaduti durante la partita Inter-Sampdoria del 29 ottobre scorso (…) Vogliamo lanciare un segnale distensivo nei confronti del popolo neroazzurro e di chi l’Inter la porta nel Cuore (…) Purtroppo a livello mediaticosiamo stati dipinti (ingiustamente) come dei mostri. Ci siamo comunque abituati e non ci interessa. La realtà degli avvenimenti è ben altra (…) Una scelta più o meno condivisibile ma che è stata fraintesa nelle sue motivazioni più profonde (…) E’ il peggio? No.
Il 4 settembre 2024 Andrea Beretta, 49enne pregiudicato storico capo ultrà Inter (sono sempre storici, ‘sti capi ultrà) uccide Antonio Bellocco,36enne pregiudicato legato al clan ‘ndranghetistadi Rosarno, l’uomo che stava scalando le gerarchie della curva per diventare il capo (non ha fatto in tempo a diventare storico). Beretta lo ha ucciso perchè altrimenti, in buona sostanza, Bellocco avrebbe ucciso lui. E’ il peggio? No.
Il 24 settembre 2024 la Curva Nord emette un comunicato che inizia così: “Come già più volte ripetuto nei recenti comunicati, la Nord ha intrapreso una nuova rotta imboccando la strada della trasparenza e dei valori come faro da seguire per ritrovare quell’armonia messa nuovamente a repentaglio da eventi che coi frequentatori della curva non hanno nulla a che vedere”. E’ il peggio? No.
All’alba di lunedì 30 settembre la polizia arrestato 19 persone, tutti capi ultras o figure di spicco delle curve dell’Inter e del Milan, tutti nomi più o meno noti, alcuni notissimi. Al centro dell’inchiesta, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della procura della Repubblica di Milano, ci sono i business illegali fioriti intorno a San Siro: biglietti rivenduti a prezzi maggiorati, parcheggi controllati, merchandising, vendita di bibite all’interno dello stadio, pizzo ai paninari fuori dallo stadio. Oltre a un vasto giro di spaccio. I reati ipotizzati sono associazione per delinquere, con l’aggravante del metodo mafioso, estorsione, lesioni. “Metodo mafioso”. E’ il peggio? No.
La sera del 15 novembre, fuori da San Siro, retto da due persone e firmato “Secondo anello verde”, viene esposto lo striscione “La tua infamità non appartiene alla nostra mentalità”. Da un paio di giorni molte testate hanno riportato la notizia che Beretta, dopo i silenzi iniziali, sta collaborando con la giustizia. Trattandosi di un processo per mafia, è di fatto un pentito. Del resto, trattandosi di mafiosi, avendo ucciso un boss della ‘ndrangheta è di fatto un condannato a morte. E’ stato trasferito in un carcere più sicuro, poi si vedrà il da farsi. Intanto, da fuori, gli dedicano uno striscione. E’ il peggio?
Sì, è il peggio. Perchè se ammazzano sotto casa un criminale, come dire, è una cosa che rientra nel rischio di impresa. E se due malavitosi si sfidano a duello dentro una Smart, è un fulgido caso di selezione naturale. Ma se dopo tutto ‘sto casino, in cui finalmente si certifica nero su bianco cosa sono le curve di Inter e Milan – luoghi controllati, anzi comandati dalla mafia -, dopo tre o quattro comunicati mielosi c’è ancora qualcuno che tiene a dimostrare quali sono le logiche e le priorità della curva, allora è come se non fosse successo niente.
Tutto questo è vergognoso, fosse anche opera solo dei due che tengono sollevato lo striscione e del terzo che fa la foto. E’ una vergogna totale, un messaggio preciso e non solo a Beretta: è un messaggio a tutti, anche al resto dello stadio. Anche a noi. La curva ha un codice mafioso, lo conserva, ci tiene, lo ostenta, lo perpetua. Seppelliti i morti e chiuso in galera qualche pezzo grosso, c’è già gente che scalpita. Le curve passeranno di mano a qualche altro malavitoso. La mentalità resterà quella di prima. Molto bene.
Ma noi, noi tifosotti, noi gente normale, noi che abbiamo l’Inter nel cuore (benchè loro non perdano mai l’occasione di dire che ce l’hanno di più di noi), quando ci libereremo di questa merda? No, chiedo per un amico. Perchè da due mesi leggo, nei riguardi di quel pezzo di stadio che dovrebbe rappresentare la passione di tutti noi indivanati, cose che Gomorra al confronto è i Teletubbies. E dopo tutta questa robaccia che ci è toccato sorbire, e dopo tutta ‘sta ipocrisia della curva che cerca una nuova strada bla bla bla, il nuovo corso è uno striscione di mafiosità in purezza?
Io dal primo blu guardo il secondo verde con compatimento, fastidio, rassegnazione. I delinquenti qualche volta finiscono in galera (qualcuno all’obitorio). Ma gli altri? In questo ordinamento a cerchi concentrici, quanta gente è coinvolta in questa organizzazione di stampo mafioso e criminale? E quanti, di cerchio in cerchio allontanandosi dal centro, hanno la responsabilità morale di accettare questo andazzo in cambio di qualche salamelecco al boss, di qualche trasferta in prima fila o di un po’ di bamba a buon prezzo? Quando il resto dello stadio farà capire a questa gente che no, non ci serve più? Sogno un Meazza con i cori in filodiffusione e un bello squarcio dove ora c’è il secondo verde, con vista sul Resegone. Sarebbe un bel segnale, anche architettonico. Sarebbe il nuovo stadio, in tutti i sensi.
Orsù, cerchiamo di far fruttare queste insostenibili pause per le nazionali. Per esempio, rileggiamo con calma la classifica della Serie A. C’è un dato che spicca per quanto riguarda l’Inter. Anzi, per essere più precisi, un non-dato. L’Inter non è prima in classifica, ok, ce ne siamo accorti. Non è la squadra che ha vinto di più (noi 7 su 12, ma Napoli, Atalanta e Lazio 8). Non è la squadra che ha perso di meno (noi, Fiorentina e Bologna 1, ma la Juve zero, è ancora imbattuta). Non è la squadra che ha segnato di più (noi 26, uno in più di Lazio e Fiorentina, ma 5 in meno dell’Atalanta, 31). Non è la squadra che ha subito di meno (noi 14, ci sono cinque squadre che hanno fatto molto meglio e una curiosamente è l’Empoli, che finora ha subito 10 gol e tre glieli abbiamo fatti noi). Insomma, non spicchiamo in nessuna delle cinque cifre fondamentali (e in due siamo fuori dal podio). Quindi la domanda brutale è: siamo stati mediocri finora (7-4-1)? E quella ancora più spaventosamente brutale è: siamo mediocri?
Diciamo intanto che questo campionato è molto più livellato degli ultimi due (se questo implichi un’aumentata mediocrità generale boh, potremmo discuterne a lungo). Al Napoli quest’anno bastano 26 punti per essere capolista, mentre l’anno scorso l’Inter ne aveva 31 (10-1-1, avevamo perso col Sassuolo) e lo stesso Napoli due anni fa ne aveva 32 (10-2-0). L’anno scorso la Juve era seconda con 29, cioè tre più del Napoli primo quest’anno. Due anni fa il Napoli era già in fuga ma la seconda (Atalanta, 27) aveva un punto più dell’odierna capolista e il Milan (26) con gli stessi punti del Napoli di oggi era terzo. La cosa più sconvolgente, piuttosto, è che in quel disgraziato campionato che per mesi ci ha tenuti sull’orlo dell’#inzaghiout (prima che sbocciassimo in Champions, certo) l’Inter era sesta con 24 punti, cioè uno in meno di quelli di oggi, frutto di un 8-0-4 che ci aveva fatto diventare, noi tifosotti, ciclotimici come Cossiga (avevamo perso con Lazio, Milan, Udinese e Roma) (però avevamo vinto a Sassuolo).
E’ un campionato equilibrato o livellato (verso il basso, cioè mediocre)? Di sicuro, è un campionato strano. Inter e Juve sono state in fondo le più regolari (e anche un po’ mediocri: la Juve ha pareggiato metà delle partite), il Napoli ha perso la prima e ha fatto un punto nelle ultime due, ma in mezzo ha fatto 8-1-0. Le altre sono partite tutte male e poi sono esplose: l’Atalanta ha perso 3 delle prime 6, le seconde 6 le ha vinte tutte; Fiorentina e Lazio hanno vinto 7 delle ultime 8, nelle prime 4 la Fiorentina aveva fatto 3 punti e la Lazio 4. E così, tra piccole fughe e mini-rimonte, adesso sono tutte lì, sei squadre in due punti.
Ma delle altre ci frega il giusto. Torniamo al domandone: siamo mediocri? Beh, se lo siamo stati è evidente che, visto che siamo tutti lì, anche gli altri hanno commesso i loro peccatucci (per non parlare del Milan che ha vinto solo 5 partite su 11 e ne ha già perse 3) e quindi, con 26 partite ancora da giocare, forse è più giusto dire che il campionato non è ancora decollato. Noi abbiamo perso meritatamente un derby mozzarellesco, abbiamo orrendamente graziato la Juve (rinunciando a rifilarle una sconfitta epocale), pareggiato con il Napoli sbagliando un rigore e pareggiato con due delle ultime quattro della classifica. Se tutto questo ci costa solo il primo posto della classifica per un punto, mi verrebbe da dire che no, non moriremo tutti.
Sopravviveremo, dunque, ma dovremo darci una mossa. Cosa non ha funzionato nell’Inter è arcinoto. Nelle quattro partite seguite a quella folle con la Juve abbiamo preso solo un gol, prendiamolo come un buon segno (forse addirittura ottimo). Poi abbiamo bisogno che gli uomini-chiave stiano bene e finora non è mai stato così, tra infortuni vari e la latitanza di Lautaro che io voglio cogliere come un fatto positivo: se siamo arrivati fin qui (al netto dei calcoli vari, secondi in campionato e secondi in Champions) praticamente senza Lautaro, quando ce l’avremo sarà una pacchia. Quando questa cazzo di pausa sarà terminata, ci aspettano 8 partite in un mese esatto (tra il 23 novembre e il 23 dicembre) che saranno un nuovo banco di prova: ce ne sono di tutti tipi, facili e difficili, con tre trasferte importantissime (Fiorentina, Lazio, Leverkusen). In questa strana stagione, l’importante sarà restare sul pezzo: facciamola diventare una gara a eliminazione.
(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #86, con il mio socio ex aspirante pensionato (ora effettivamente in quiescenza), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355.Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Vi ricordiamo che l’attualissimo tema “Pavia e gli 883 visti da vicino” resta attualissimo, appunto.Come anche il tema che moriremo tutti.
(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)
In rapporto al timore di vedere un’Inter stanca dopo il match di Champions con l’Arsenal (e al culmine del ciclo di 7 partite in 21 giorni), o un’Inter svagata come con la Juve o un’Inter supponente come con il Venezia, per me è stata di gran lunga la miglior uscita stagionale. Inter-Napoli è stata una gran partita, un angolo di Premier nel nostro spesso moscio campionato. Grande ritmo, grande garra, quella frenesia magari eccessiva che però ogni tanto ti fa respirare calcio a pieni polmoni – o preferite il tiki-taka dei poveri del 95% delle partite di serie A?
Purtroppo, questa partita non l’abbiamo vinta. Avremmo potuto farlo, anche solo segnando il rigore ridicolo che ci hanno dato, un rigore che se ci avessero fischiato contro non so come lo avremmo preso: probabilmente staremmo marciando su Roma per sfilare sotto le sedi della Figc e dell’Aia, ma forse anche davanti a Palazzo Chigi, al Coni, alla Fao e al Vaticano. Ci ha condannato la leggi dei grandi numeri – prima o poi il turco doveva sbagliare – e la solita sfiga di un gol preso in un’azione da calcio balilla. C’era forse un altro rigorino di mano (a parte che sul campo non se n’era accorto nessuno), ma vabbe’, i rigorini sono un giochino malefico a cui siamo tenuti a partecipare sapendo che a volte va bene e a volte va male. Avremmo meritato di vincere ma non lo abbiamo fatto, peccato. Potevamo essere in testa ma non lo siamo.
Qui si innesca un dato che andrebbe analizzato con calma e nel profondo. Con Milan, Juve e Napoli – tutti scontri diretti in casa – abbiamo fatto 2 punti in 3 partite e forse un giorno potremmo pentircene. E’ il dato oggettivo che mi fa pensare, serenamente, che meritiamo di non essere primi. E che meritiamo di espiare le nostre colpe dibattendoci in questo gruppone di sei squadre in due punti che si è inaspettatamente isolato in testa al campionato, una bella novità per la serie A che ultimamente viveva di duelli/trielli o di fughe solitarie. L’Inter dopo il derby in campionato ha uno score 5-2-0 che non è servito ad arginare le impetuose rimonte di Atalanta (6-0-0 nelle ultime sei), Fiorentina (7-1-0 nelle ultime otto) e Lazio (7-0-1 nelle ultime otto). L’Atalanta l’abbiamo incontrata che era ancora agosto ed era troppo brutta per essere vera, con Lazio e Fiorentina dobbiamo ancora giocarci (fuori casa).
Adesso ci si ferma per le nazionali e non saprei dire se ci voleva o no. Dopo il derby, aggiungendoci le tre vittorie di Champions, abbiamo giocato 10 partite vincendone 8 e pareggiandone 2 (Juve e Napoli) in un crescendo leggero ma costante. Le ultime due partite, Arsenal e Napoli, ci restituiscono l’immagine di una squadra più tonica e più reattiva rispetto anche solo e due o tre settimane prima. Il meccanismo non è ancora al massimo della resa: l’attacco oggi picchia in testa – Lautaro e Thuram sono in un periodo un po’ così, il capitano in particolare incide sempre poco – ma il resto è un bel vedere. Forse sarebbe stato meglio non fermarsi, ma una sosta può servire a riordinare un po’ le idee. Dopo 12 partite di campionato, e 16 stagionali, pregi e difetti dell’Inter dell’Inzaghi-quater sono ben delineati. Sarebbe bastato un pareggio in meno e una vittoria in più per essere in testa. Ma su un po’ di cose, a cominciare dai troppi gol presi, non possiamo che migliorare.
(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #86, con il mio socio ex aspirante pensionato (ora effettivamente in quiescenza), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355.Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Vi ricordiamo che l’attualissimo tema “Pavia e gli 883 visti da vicino” resta attualissimo, appunto.Come anche il tema che moriremo tutti.
(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)
Una partita da grandi illusioni. Sembra di averla giocata fuori, a Londra, per come siamo stati pressati (13 corner a zero – per gli altri, eh -, ma sarà mai successo prima?), e invece eravamo a San Siro. Sembra di averla pareggiata, e invece l’abbiamo vinta. A parte le illusioni, tutto il resto è reale. Tipo che dopo quattro partite di Champions – di cui due con City e Arsenal, le due squadre che hanno dominato gli ultime due anni in Premier – siamo secondi in classifica (sì, vabbe’, quinti considerando differenza reti e gol fatti) e non abbiamo ancora subito un gol. Tipo che nelle 9 partite seguite allo sciagurato derby abbiamo vinto 8 volte (e pareggiato una, lo sciagurato 4-4). Tipo che nelle ultime tre non abbiamo subito gol. Tipo che nelle ultime due, giocate a distanza di tre giorni nello stesso stadio, abbiamo vinto 1-0 con il Venezia combinandone di tutti i colori e abbiamo vinto 1-0 con l’Arsenal senza una sbavatura.
Inter-Arsenal segna, un mese e mezzo dopo City-Inter, il secondo superamento del test di solidità. A Manchester era stato il sistema Inter a essere messo sotto esame, ieri sera con l’Arsenal lo stress test è stato riservato alla difesa, il reparto (la fase) che più ha deluso o lasciato perplessi in questi primi mesi di stagione. Tra le due partite di cui sopra, l’Inter in difesa aveva spesso dato il peggio di sè: e non solo buttando via un derby e graziando la Juve sotto di due gol, ma facendoci prendere grandi spaventi anche in partite vinte. Fino, appunto, a tre giorni prima di Inter-Arsenal: con il Venezia era stato un festival di superficialità culminato con la totale ignavia dell’ultima azione di gioco, con il Var intervenuto a salvarci il culo.
La prova difensiva contro l’Arsenal ha dimostrato che l’Inter ha un potenziale enorme anche in difesa, dove la magica combo cuore-coglioni finalmente si è rivelata agli occhi di tutti, compresi i nostri stessi giocatori, felici e sorridenti a fine partita come raramente lo sono stati in questi mesi. Una questione quantomai di testa, se è vero che gli intepreti concentratissimi e impeccabili di Inter-Arsenal sono gli stessi di Inter-Juve o Inter-Venezia, quegli svagati e timorosi ragazzi in grado di far segnare chiunque.
Che si stia tornando all’Inter di due stagioni fa, quella disastrosa in campionato e super in Champions? Non a quei livelli, certo: oggi l’Inter va bene in camponato e benissimo in Champions, non c’è un abisso tra i due rendimenti. Ma una differenza di concentrazione e attenzione sì, lo dicono i fatti. Vedremo col Napoli se ci siamo davvero (ri)messi in riga. La trincea con l’Arsenal dimostra che siamo capaci di difenderci, i tre clean sheet delle ultime tre partite (che poi sono cinque nelle ultime sei) dimostrano che di riffa o di raffa ci stiamo riallineando ai nostri standard del recente passato, anche dando quella sottile sensazione di arrancare un po’. Domenica l’esame definitivo, prima dell’ennesima pausa in cui riordineremo un po’ le idee in vista delle successiva sfide: a fasi alterne, ma non facciamo poi così schifo.
(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #85, con il mio socio ex aspirante pensionato (ora effettivamente in quiescenza), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355.Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Vi ricordiamo che l’attualissimo tema “Pavia e gli 883 visti da vicino” resta attualissimo, appunto.
(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)
Straordinariamente democratica, l’Inter, nella sua (forse patologica) svagatezza: che dall’altra parte ci sia la Juve o il Venezia, trascorre le sue partite sostanzialmente dominandole, sbagliando caterve di gol e aprendo random le maglie della sua difesa all’arrivo dell’avversaria, concedendo a chiunque il lusso di qualche occasione a volte gigantesca – sta a poi all’avversaria di turno metterla o non metterla, e in fondo la Juve è la Juve (si fa fare 4 gol ma ne segna 4) e il Venezia è il Venezia (si fa fare un gol e ne segna zero).
L’abbiamo vinta e potremmo chiuderla qui, non c’era niente di più importante. E va bene. Ma questa Inter-Venezia può avere davvero un senso solo in due casi: 1) che tra qualche mese riguarderemo il film della stagione e ci diremo “ma ti ricordi i tre punti di Inter-Venezia? Minchia!”; 2) che adesso ci mettiamo calmi e facciamo finta che sia finita 1-1, che sarebbe stata una beffa atroce che forse, però, ci saremmo meritati.
Insomma, per quanto tempo abbiamo ancora intenzione di scherzare con il destino? Una sola settimana dopo Inter-Juve, che potevamo vincere 8-2 e invece è finita 4-4, ci siamo messi a gigioneggiare con il Venezia e a momenti lo prendevamo in quel posto e di quel gol al 97′ ci saremmo ricordati nei secoli dei secoli. Ora che abbiamo il culo al caldo (e sano), ripensiamo a mente fredda all’ultimo minuto di Inter-Venezia e di come l’Inter si sia lasciata segnare un gol dalla penultima in classifica in versione all-in: basta fermare il video una frazione di secondo prima che Sverko arrivi tipo Chuck Norris sul pallone. Ok, probabilmente fa fallo su Bisseck, sicuramente il pallone gli finisce sulla mano, ok, tutto a posto. Ma fermiamo il video mezzo secondo prima: com’è che gli abbiamo fatto fare comoda comoda l’azione più scontata del mondo? Com’è che tutti stanno a guardare, ancora una volta? Com’è che Bisseck (un armadio a sei ante) si lascia sovrastare dall’avversario a un metro dalla riga?
E com’è che prima abbiamo sbagliato dieci gol di cui cinque o sei per pura sufficienza, come se l’unica modalità di segnare sia quella di entrare in porta con il pallone o farsi belli con un assist (ma anche quella di incartarsi da soli e non fare l’assist, dipende dai momenti)? Perché non ci concediamo il lusso – a volte facile – di chiudere le partite invece di perdere tempo allo specchio? Anche quando la missione è facile (e necessaria): fare tre punti perchè il Napoli ha perso qualche ora prima. Fare tre punti con il Venezia (con tutto il rispetto). Mettici pure la sfiga (due lembi di epidermide ci hanno negato al Var un gol e un rigore), d’accordo. Però poteva anche finire malissimo. I non-gol di Thuram sono il simbolo di questa partita ma anche di una tendenza perniciosa dell’Inter: una superficialità che prima o poi rischiamo di pagare cara.
Per me, questa Inter è insopportabile. Nel senso più stretto dell’aggettivo: non posso sopportare serate così. E godendoci il privilegio di averla vinta, questa partita, vorrei tanto che funzionasse come certe sconfitte: quando finalmente ti dai una svegliata e riparti con un altro atteggiamento. Il cinismo non è mica una brutta malattia, e che cazzo.
(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #84, con il mio socio ex aspirante pensionato (ora effettivamente in quiescenza), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355.Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Vi ricordiamo che l’attualissimo tema “Pavia e gli 883 visti da vicino” resta attualissimo, appunto.
(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)