La vittoria a Bergamo – evento mai banale – chiude la fase 1 di questo campionato anomalo (ci si rivede nel 2023) e chiude anche due pessime settimane per l’interismo. Tra una vittoria e l’altra abbiamo perso una pessima partita con la Juve e, a proposito di pessime cose, abbiamo dovuto affrontare il caso Boiocchi. Poi fai sei gol al Bologna e torni con tre punti dalla trasferta con l’Atalanta, per carità, tutto bello. Ma resta uno sgradevole retrogusto.
Ieri il Corriere ha dedicato una paginata alla curva dell’Inter, un reportage alla costante ricerca di effetti stilistici e del tutto inutile nella sostanza se non a gettare nello sconforto quelli come me. Se un marziano fosse sceso ieri sulla terra e avesse letto l’articolo, avrebbe tratto la conclusione che gli ultras sono ragazzi che mangiano panini, fumano canne e hanno le ascelle che puzzano. Del problema di certe curve, tra cui la nostra, solo qualche pittoresco accenno legato alla stretta attualità. Folklore.
Mah. Proprio la sera prima avevo riletto il volantino distributo prima di Inter-Bologna, in cui ero rimasto colpito da alcuni passaggi, tra cui questo.
Vittorio Boiocchi da domenica sera è, per tutti quelli che lo conoscevano e ora sentenziano, il pluricondannato malavitoso che comandava la Curva dell’Inter, reo di tutti i mali possibili di questo mondo. Per noi invece è sempre stato lo Zio, un leader, una figura centrale. Non era un santo, e non ci interessa difendere le sue scelte di vita, perché in fondo nemmeno ci riguardano.
Non so. Se avessi uno zio pluricondannato e malavitoso, al netto di una quota di solidarietà umana che non si nega a nessuno, tantomeno a un parente stretto, può darsi (ma non garantisco) che gli porterei le arance in carcere, e può darsi (magari via Whatsapp) che lo chiamerei per gli auguri di Natale una volta scontata la pena. Di sicuro non ne farei una bandiera familiare nè mi verrebbe mai in mente, durante e dopo i suoi 26 anni di carcere, di assurgerlo a modello di vita. Sarebbe senz’altro una figura centrale, certo, ma in negativo, nell’evidenza di tutti i casini morali e materiali che comporta avere uno zio così, “ah, ma sei mica parente di…”, ma vaffanculo va’, zio.
Ma questo naturalmente è l’aspetto più banale della questione. Così come in effetti è abbastanza ipocrita, o comunque molto superficiale, rinfacciare random alla curva dell’Inter la sua leadership impresentabile come se questa cosa fosse una novità: che alcuni malavitosi siano leader o figure centrali della curva non solo è noto, ma è proprio ufficiale. Un dato di fatto che accomuna molte tifoserie in Italia e altrove e che rende estremamente fastidioso l’argomento a chi, come me, tifosotto qualunque, sogna stadi ripuliti da ogni genere di feccia e convive pacificamente con il rimpianto di non essere a San Siro ogniqualvolta appoggia il culo sul divano.
I 6mila interisti che abitualmente si siedono al secondo verde non sono malavitosi, ma bastano 6 (0,1%) o 60 (1,0%) malavitosi ad ammantare di malavita un’intera curva. O ad accomunarla nel ricordo, così ricco di pathos e romanticismo ultrà, di un personaggio cui il presunto cuore del tifo nerazzurro delega un potere di rappresentanza che, attraverso non molti – e comunque troppo pochi – gradi di separazione arriva fino a quelli come me. Che per quelli seduti là in alto saremo sempre tifosi di serie B o C, occasionali, pantofolai, ma perlomeno non ci vantiamo di certe amicizie e non riconosciamo certe leadership.
Il mondo ultrà non mi affascina nemmeno nelle sue estensioni più innocue, figuriamoci quando si tira in ballo il codice penale. Perchè, sfrondate tutte le considerazioni più prevedibili e accettati a fatica gli omaggi resi a un leader malavitoso ma tanto buono e tanto interista, nel testo diffuso dalla curva c’è una frase apparentemente secondaria ma invece densa di significato. Scrivere che “non ci interessa difendere le sue scelte di vita, perché in fondo nemmeno ci riguardano” è molto grave se si pensa che tra le “scelte di vita” c’erano il commercio parallelo del biglietti, il controllo dei parcheggi, il taglieggiamento dei paninari. Reati commessi nella doppia veste di malavitoso e di leader della curva.
Ed è qui che la mentalità ultrà dimostra tutte le sue storture. Non mi siederei mai a qualche seggiolino di distanza da uno che, sfruttando anche l’autorità che io stesso contribuisco a fargli riconoscere, ha appena commesso reati e incassato soldi tra antistadio e immediato circondario. Tifare, cantare, urlare, trascinare uno stadio intero, me compreso: questo dovrebbe fare una curva. Non fare da palo al malavitoso di turno che chiami zio.