Facevano i pali

La vittoria a Bergamo – evento mai banale – chiude la fase 1 di questo campionato anomalo (ci si rivede nel 2023) e chiude anche due pessime settimane per l’interismo. Tra una vittoria e l’altra abbiamo perso una pessima partita con la Juve e, a proposito di pessime cose, abbiamo dovuto affrontare il caso Boiocchi. Poi fai sei gol al Bologna e torni con tre punti dalla trasferta con l’Atalanta, per carità, tutto bello. Ma resta uno sgradevole retrogusto.

Ieri il Corriere ha dedicato una paginata alla curva dell’Inter, un reportage alla costante ricerca di effetti stilistici e del tutto inutile nella sostanza se non a gettare nello sconforto quelli come me. Se un marziano fosse sceso ieri sulla terra e avesse letto l’articolo, avrebbe tratto la conclusione che gli ultras sono ragazzi che mangiano panini, fumano canne e hanno le ascelle che puzzano. Del problema di certe curve, tra cui la nostra, solo qualche pittoresco accenno legato alla stretta attualità. Folklore.

Mah. Proprio la sera prima avevo riletto il volantino distributo prima di Inter-Bologna, in cui ero rimasto colpito da alcuni passaggi, tra cui questo.

Vittorio Boiocchi da domenica sera è, per tutti quelli che lo conoscevano e ora sentenziano, il pluricondannato malavitoso che comandava la Curva dell’Inter, reo di tutti i mali possibili di questo mondo. Per noi invece è sempre stato lo Zio, un leader, una figura centrale. Non era un santo, e non ci interessa difendere le sue scelte di vita, perché in fondo nemmeno ci riguardano.

Non so. Se avessi uno zio pluricondannato e malavitoso, al netto di una quota di solidarietà umana che non si nega a nessuno, tantomeno a un parente stretto, può darsi (ma non garantisco) che gli porterei le arance in carcere, e può darsi (magari via Whatsapp) che lo chiamerei per gli auguri di Natale una volta scontata la pena. Di sicuro non ne farei una bandiera familiare nè mi verrebbe mai in mente, durante e dopo i suoi 26 anni di carcere, di assurgerlo a modello di vita. Sarebbe senz’altro una figura centrale, certo, ma in negativo, nell’evidenza di tutti i casini morali e materiali che comporta avere uno zio così, “ah, ma sei mica parente di…”, ma vaffanculo va’, zio.

Ma questo naturalmente è l’aspetto più banale della questione. Così come in effetti è abbastanza ipocrita, o comunque molto superficiale, rinfacciare random alla curva dell’Inter la sua leadership impresentabile come se questa cosa fosse una novità: che alcuni malavitosi siano leader o figure centrali della curva non solo è noto, ma è proprio ufficiale. Un dato di fatto che accomuna molte tifoserie in Italia e altrove e che rende estremamente fastidioso l’argomento a chi, come me, tifosotto qualunque, sogna stadi ripuliti da ogni genere di feccia e convive pacificamente con il rimpianto di non essere a San Siro ogniqualvolta appoggia il culo sul divano.

I 6mila interisti che abitualmente si siedono al secondo verde non sono malavitosi, ma bastano 6 (0,1%)  o 60 (1,0%) malavitosi ad ammantare di malavita un’intera curva. O ad accomunarla nel ricordo, così ricco di pathos e romanticismo ultrà, di un personaggio cui il presunto cuore del tifo nerazzurro delega un potere di rappresentanza che, attraverso non molti – e comunque troppo pochi – gradi di separazione arriva fino a quelli come me. Che per quelli seduti là in alto saremo sempre tifosi di serie B o C, occasionali, pantofolai, ma perlomeno non ci vantiamo di certe amicizie e non riconosciamo certe leadership.

Il mondo ultrà non mi affascina nemmeno nelle sue estensioni più innocue, figuriamoci quando si tira in ballo il codice penale. Perchè, sfrondate tutte le considerazioni più prevedibili e accettati a fatica gli omaggi resi a un leader malavitoso ma tanto buono e tanto interista, nel testo diffuso dalla curva c’è una frase apparentemente secondaria ma invece densa di significato. Scrivere che “non ci interessa difendere le sue scelte di vita, perché in fondo nemmeno ci riguardano” è molto grave se si pensa che tra le “scelte di vita” c’erano il commercio parallelo del biglietti, il controllo dei parcheggi, il taglieggiamento dei paninari. Reati commessi nella doppia veste di malavitoso e di leader della curva.

Ed è qui che la mentalità ultrà dimostra tutte le sue storture. Non mi siederei mai a qualche seggiolino di distanza da uno che, sfruttando anche l’autorità che io stesso contribuisco a fargli riconoscere, ha appena commesso reati e incassato soldi tra antistadio e immediato circondario. Tifare, cantare, urlare, trascinare uno stadio intero, me compreso: questo dovrebbe fare una curva. Non fare da palo al malavitoso di turno che chiami zio.

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Double face

  1. Adesso, dopo 19 partite stagionali, non puoi più sperare che i numeri mentano. In campionato hai perso 5 partite su 13, tutte con squadre che ci precedevano in classifica (l’Udinese nel frattempo è scivolata un punto dietro, ma il succo del discorso non cambia). Mancano agli scontri diretti Atalanta e Napoli, in calendario nelle prossime tre giornate, nell’ultima partita prima della pausa e nella prima del 2023. Partite che affronteremo, appunto, con il suggestivo bottino di zero punti, ultimissimo posto in classifica nel torneino tra le prime otto. Io mi ero un po’ illuso per le vittorie a Sassuolo e Firenze: campi difficili, sì, ma non squadre difficili. Con le squadre difficili siamo ancora al palo a novembre inoltrato. A 11 punti dal primo posto, a 5 dal secondo, a 3 dalla zona Champions. Che, va da sè, non raggungeremo mai perdendo sistematicamente gli scontri diretti.
  2. Sistematicamente e scientificamente. Le 5 partite perse con Milan, Lazio, Udinese, Roma e Juventus hanno tutte un copione simile. Non siamo mai stati fuori partita, in alcuni casi siamo andati in vantaggio, in altri abbiamo fatto gli splendidi per 15, 20, 30 o anche 50 minuti. Poi il buio fitto una volta raggiunti o andati sotto. Il buio fitto è un concorso di responsabilità – trovare le esatte percentuali è un giochino parecchio in voga tra gli interisti in questo periodo – tra una squadra ricca di talento e povera di spirito tanto da perdersi con una facilità irritante, e un bravo allenatore che non sa cambiare le cose in corsa nè sa trasmettere ai suoi giocatori quella cazzimma di cui le dirette concorrenti dispongono in dosi più o meno elevate (più elevate della nostra, comunque).
  3. E’ chiaro quindi – lo dicono i numeri – che le due partite con il Barcellona sono l’eccezione di una stagione in cui la regola è un’altra. Quest’anno c’è un’Inter di campionato (spaventoso l’andazzo in trasferta, 16 gol subiti in 7 gare, peggior difesa esterna del campionato, a parità di partite hanno fatto meglio di noi anche Verona e Cremonese) e un’Inter di Champions.
  4. Ora l’Inter di Champions ha un’ottima occasione di vivere una bella avventura primaverile. Le doppie sfide facili non esistono – chiedere alla Juve, per dire -, ma esistono sorteggi meno sfortunati di altri. Prendere il Porto quando potevi prendere il City o il Real o il Chelsea è una discreta botta di culo. E’ chiaro che per giocarsi la chance servirà l’Inter del Barcellona, non l’Inter della Juve.
  5. Perdere con la Juve è sempre una scocciatura. Perdere con una Juve modesta è una scempiaggine. Perdere con una Juve modesta sbagliando occasioni colossali per poi prenderne tre (catalogo il gol annullato a Danilo tra quelli che un tempo non avrebbe annullato nessuno) è ‘na tragedia. Affrontare la Juve in trasferta con sufficienza, sapendo benissimo che per quanto scarsi daranno tutto contro di noi, è inconcepibile. L’anno scorso, a proposito di regole e di eccezioni, era stato liberatorio: la Juve da anticristo si era trasformata in mascotte, una sciccheria. Ma queste stagioni bisogna meritarsele e l’Inter di quest’anno, almeno in Italia, si merita poco e niente.
  6. In 19 partite siamo a 11 vittorie, 1 pareggio e 7 sconfitte. Perdiamo una partita su tre. In campionato, continuando così, potremmo in teoria perderne 14 o 15. E non so voi, ma io in Conference non ci voglio andare.
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Visto come Correa?

Soltanto:

Onana che segna direttamente su rinvio senza nemmeno far toccare a terra il pallone;

Skriniar che entra nella porta avversaria dopo aver palleggiato con la testa per 50 metri;

Sensi che fa 38 presenze in una stagione;

il Nobel per la Pace all’Fc Juventus;

Ibra che fa un video con i gattini;

scoprire che Bonucci è simpatico;

Elon Musk che compra l’Inter e mi coopta nel cda;

il Monza che vince lo scudetto con 5 giornate di anticipo;

la Curva Nord che prende una, dico una qualsiasi iniziativa minimamente condivisibile;

ecco, solo una di queste cose mi potrebbe stupire di più di un Correa che segna dopo un coast to coast. Giuro, sono rimasto in stato catatonico tre quarti d’ora. Non vedevo una cosa così contronatura dai tempi del primo governo Conte.

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Hasta la Viktoria

Da quando siamo tornati a giocare in Champions (questa è la quinta stagione di fila), abbiamo ottenuto il miglior risultato – qualificati agli ottavi con una giornata in anticipo – nel corso della peggior stagione so far (rapportata ai risultati in campionato) e nel girone peggiore che ci sia capitato dal 2018 a oggi. Tutto questo casino mi piace, lo trovo eccitante. La brutta Inter (parecchio migliorata nel frattempo, ma orripilante fino a un mese fa) esce indenne da una sfida a tre con Bayern e Barcellona (un cumulato di 4 Champions e 1 finale persa nelle ultime 11 edizioni) e si fa bella, quasi bellissima, in attesa di un sorteggio che ci riserverà la solita inculata ma magari no, perchè porre limiti alla Provvidenza e non sperare di protrarre la nostra avventura a marzo inoltrato?

Nel 2018 uscivamo da secondi per la differenza reti (vecchia regola) negli scontri diretti con il Tottenham in un girone crudele (primo Barcellona) fallendo il match point in casa con il Psv. Nel 2019 uscivamo da terzi in un altro girone con i controcazzi per colpa di quella partita persa a Dortmund da 2-0 per noi e per un pareggino in casa con lo Slavia Praga (primo Barcellona). Nel 2020 uscivamo a quarti in un girone ridicolo per colpa di un doppio 0-0 con lo Shakthar (primo Real, il Borussia M. è passato da secondo vincendo due partite su sei). Nel 2021 finalmente passavamo il turno, con una giornata di anticipo, sì, ma in un girone da barzelletta (primo Real, poi c’erano lo Sheriff e lo Shakthar che non ne ha vinta una), quindi con una soddisfazione legittima ma contenuta.

Niente al confronto di avere eliminato l’insopportabile Barcellona dell’insopportabilissimo Xavi, una società che non si capisce come non sia stata ancora ingabbiata in toto per i suoi magheggi contabili (e sotto ispezione ci siamo noi) e che ci rompe i coglioni da settimane per una decisione contestata al Var (lesa maestà: dov’è che ho già visto una roba così?).

La vittoria con il Viktoria vale quel che vale, in sè, ma è la conferma di questo nuovo ciclo avviato dall’Inter, 5 vittorie e 1 pari in 22 giorni, un mini-ciclo lontano da qualsiasi standard di perfezione (vedi casella gol subiti) ma vicino alle nostre pretese di un’Inter ideale, di una squadra positiva, propositiva, continua, unita, corale, l’esatto contrario di quella vista dal 13 agosto all’1 ottobre, quella combriccola che si scioglieva di fronte a qualsiasi avversaria che avesse la minima intenzione di andare al di là del minimo sindacale.

Adesso no, sembrerebbe proprio l’opposto, gli sguardi si sono riaccesi e i risultati parlano da sè. Soprattutto le ultime tre trasferte, una al Camp Nou e le altre su due campetti nostrani dopo spesso abbiamo lasciato le penne: tre gol di media a partita, questa è l’Inter che ci piace. Per ora Napoli e Milan le vediamo col binocolo, ma onore al merito: loro sì che non hanno mai mollato la presa. Se anche il Milan (com’è ampiamente nei pronostici) passerà agli ottavi di Champions, questo trio si giocherà Italia ed Europa e sarà un bel vedere quando dopo la pausa Qatar inizierà la fase 2, a gennaio, che sarà aperta proprio da un Inter-Napoli. Noi finalmente sembriamo fisicamente in bolla, abbiamo scoperto di poter fare a meno anche di Lukaku Brozovic e Handanovic, e magari ci prendiamo gusto. Gente allegra il ciel l’aiuta, no?

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Concludenti

Al 95′ di Fiorentina-Inter come al 95′ di Barcellona-Inter: eravamo nello stesso posto, nell’area degli altri, ad attaccare sul 3-3. Può capitare che un Asllani sbagli un gol quasi fatto, oppure che un difensore faccia sbattere su Mkhitaryan un pallone che finisce dritto in porta, tutto questo sta nelle cose del gioco del calcio e nella bizze della rotondità del pallone. Ma l’importante è essere là davanti.

E se nelle prime dieci partite della stagione succedeva che, al minimo livello di difficoltà, ci si smarrisse senza rimedio (qualche volta smettendo di giocare), nelle ultime cinque l’atteggiamento si è ribaltato, portando questa squadra a ribattere colpo su colpo, rimontare, vincere (o pareggiare 3-3 al Camp Nou rischiando di fare il colpo grosso, cioè facendo un figurone). E’ un’Inter tutt’altro che perfetta, ma che non rinuncia a vincere fino al triplice fischio del’arbitro. La stessa squadra che fino a un mese fa rinunciava a vincere quando magari restava mezz’ora da giocare, se non di più.

Se vinci segnando quattro gol a Firenze non ti devi vergognare di averne presi tre (un rigore e due prodezze, c’è poco da cercare peli nelle uova) e nemmeno di avere avuto un discreto colpo di culo a tempo quasi scaduto. La fortuna aiuta gli audaci, cioè chi attacca. Dopo aver tirato a campare per troppo tempo, adesso la ritrovata garra ci premia. “Ci siamo parlati e da lì è cambiato tutto”, dice Lautaro. Che mi verrebbe da chiedergli di cosa cazzo parlavano ad agosto e settembre, quando sembravano venti mammolette. E perchè cazzo non si sono parlati prima, ecco. Ma poi lo abbraccerei, Lautaro, perchè sta facendo grandi cose e gioca partite di una densità pazzesca, tipo questa di Firenze. Con lui e Barella in questo stato di grazia, nulla ci è precluso.

Quanto agli arbitri, si vede che ci gira bene: quando ho visto e rivisto l’azione di Bruce Lee con la maglia di Dimarco, mi sono messo a fare i calcoli su quanti minuti rimanessero da giocare in dieci e quale cambio avrebbe fatto Inzaghi. E invece no, solo rigore. Non capisco, mi adeguo. Ci siamo fatti rimontare due gol, siamo andati in vantaggio altre due volte. Non abbiamo rubato niente. Siamo sempre un po’ sommari, sempre un po’ sbadati, ma non più inconcludenti. Concludenti, ecco cosa siamo. Possiamo recuperare il tempo perduto, nell’attesa che là in alto qualcuno rallenti. Ma va bene così, bene bene.

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Metamorfosi

Naturalmente non lo penso davvero, perché al gol del 4-3 avrei fatto il carosello da solo correndo nudo per le strade di Pavia cantando Pazza Inter tunz tunz tunz. Ma forse il 3-3 ha un senso, perché costringe tutti – noi tifosotti, i media, il club, la squadra – a essere un po’ meno epici di quanto lo saremmo stati espugnando il Camp Nou con una grande partita e un secondo tempo pazzesco, forse nella top five dei secondi tempi della storia dell’Inter, un secondo tempo in cui avremmo segnato 4 gol al Barcellona a casa loro, un’impresa memorabile, una qualificazione con due turni di anticipo in un girone di ferro, uno sballo totale.

E invece no, è finita 3-3, serve ancora una vittoria per passare agli ottavi e serve ancora qualche altra conferma per avere la certezza di essere guariti da quel torpore che ci ha annebbiati per due mesi, una pena indicibile che adesso sembra lontana.

In realtà, abbiamo perso in casa con la Roma appena 12 giorni prima, in una partita che quasi con un mezzo sollievo – pensa te com’eravamo ridotti – avevamo definito meno peggio delle altre, quasi accontentandoci appunto di quel meno peggio. E ne sono passati solo 25 da Udinese-Inter, forse la partita-simbolo della nostra impotenza. Negli ultimi otto giorni, invece, abbiamo fatto 4 punti su 6 con il Barcellona e vinto a Sassuolo. Otto giorni su due mesi di stagione sono ancora pochi per fare statistica, ma sono un segnale. Un bel segnale.

Anche se non è finita 4-3 per noi, Barcellona-Inter è ovviamente molto più che un segnale. E’ la metamorfosi di una squadra che fino alla settimana scorsa avremmo tutti preso a calci in culo e che improvvisamente si è ritrovata. Forse messa alle strette da un paio di evidenze, tipo che non si poteva andare avanti in quel modo. Perchè in quel modo, nello specifico, avremmo servito sei punti al Barça su un piatto di argento e noi ci saremmo ancor più depressi. Invece li abbiamo fatti incazzare all’andata e li abbiamo spaventati a morte nel ritorno, a casa loro, togliendoci una di quelle soddisfazioni che ti fanno camminare a una spanna da terra per un bel po’.

L’Inter delle ultime tre partite era priva di quasi tutta la sua teorica spina dorsale (Handanovic, Brozovic, Lukaku) e questo rende ancora più preziosa la doppia sfida con il Barça, giocata senza qualche vertebra ma con testa, muscoli e coglioni al cubo. Barella e Lautaro sono stati strepitosi, tutti sono stati sopra il loro standard. Se siamo qui a morderci gli avambracci per aver buttato via una vittoria è anche questo un segnale di un cambio di passo e di atteggiamento che è arrivato un po’ tardino, ecco, ma al momento giusto, almeno per Champions.

Potremmo anche star qui a elencare tutte le cose belle di un partitone che ci rilancia in Italia, in Europa e anche nell’universo. A me piace sottolineare la voglia – proprio la cosa che ci è mancata per interminabili settimane – con cui abbiamo giocato. Ci abbiamo provato fino al 97′, poi l’arbitro ha fischiato la fine. Buon per il Barça, perchè noi ci avremmo provato ancora e ancora. Incredibile, pensando alle partite e agli sguardi persi del mese scorso.

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La favorita

Si sta ormai affermando la tesi che l’Inter sia una squadra favorita costantemente dal Var. Anzi, LA favorita. E mica solo in Italia, no. Ora, dopo Inter-Barcellona, anche in Europa. E il giorno che, grazie al Var, vinceremo la Champions e poi il Mondiale per club, di sicuro grazie a un fallo di mano visto/non visto (scegliere l’opzione più adatta al momento), lo saremo anche nel mondo. E quando il trofeo Birra Moretti si disputerà su Marte, anche nell’universo.

Nel mentre, ai nostri detrattori (nel 94,5% dei casi juventini, a cui scoccia prenderlo ogni tanto in quel posto ma ancora di più scoccia non essere più i favoriti) basta rispondere con una sola parola – un avverbio, per la precisione – seguita da punto interrogativo:

perché?

Perché il mondo del calcio italiano ed europeo, tra le tante, dovrebbe favorire proprio l’Inter tramite l’interpretazione di un’azione rivista al Var? Perché il simpaticissimo Xavi ci fa il segno dello “you pay” quando è noto a tutti, a cominciare dall’Uefa, che abbiamo le pezze al culo e che per trovare i soldi per pagare un arbitro dovremmo fare una variazione di bilancio, o una lotteria tra ricconi a un Inter club, o aprire un prestito Tan e Taeg eccetera?

Cosa dovrebbe mai indurre decine di arbitri e addetti al Var a innestare una “modalità Inter” quando sono davanti a un monitor? Niente, ovvio. Semplicemente, ci sta andando bene. Tra qualche settimana potrebbe andarci male, perchè gli uccelli paduli del Var (falli di mano random, fuorigioco per mezza falange, rigorini che alla diciottesima visione diventanto rigori) potrebbe colpire noi. Sì, certo, allora parleranno di compensazione, ecco, non si poteva andare avanti così, dai, era uno scandalo.

Così come, peraltro? Che la roulette del Var adesso colpisce (o accontenta) un po’ più a caso? Che elegge provvisoria favorita la squadra più tartassata nella storia, dal calcio fiorentino ai giorni nostri?

Il Var si conferma uno strumento, nonostante tutto, ancora non perfetto. Sulle cose oggettive come il fuorigioco (a parte il clamoroso svarione tecnico di Juve-Salernitana, che nessuno nega) o il dentro/fuori siamo ormai a livelli di sicurezza vicino al massimo possibile. E iamo tutti molto più tranquilli. Sulle decisioni che dovrebbero arrivare dalla mediazione tra la prova visiva e l’interpretazione del regolamento (mano di Dumfries) ancora non ci siamo. Ma non si saremo mai, proprio perchè la decisione di dare o no un rigore del genere non spetta alla macchina. Spetta all’arbitro che deve mentalmente scartabellare i due fogli A4 che le ultime direttive hanno dedicato alla fattispecie del fallo di mano in area.

Il fallo di mano in area non è più interpretato come 20 anni fa, e nemmeno come 10 anni fa, e nemmeno come 5 anni fa, e nemmeno come l’anno scorso.

L’arbitro non ha visto il mani di Dumfries, il Barcellona ha protestato, il Var ha chiamato l’arbitro dicendogli (secondo me) “guarda che non è che si veda proprio bene”, l’arbitro è andato al monitor e oggettivamente non poteva essere sicuro, dalle immagini che ha visto tutta Europa, che il pallone finito (probabilmente) sulla mano di Dumfries non avesse prima toccato la testa del medesimo. Circostanza che avrebbe chiuso la questione: non sarebbe stato rigore. Ma il filmato non chiarisce e non si può fare un processo indiziario nel giro di pochi secondi, con uno stadio che brontola e l’Europa davanti alla tv.

Questo può capitare a tutti, quando capita ci si incazza, sta nelle cose. Ma il Var è (anche) questo, prendere o lasciare. A seconda nel tirar del vento, si inneggia alla macchina o si inneggia all’arbitro. C’è chi ritornerebbe allo status ante 2015 e farebbe un falò di tutti i monitor attualmente in uso. Io no. Mi adatto alla situazione da “oggi a me, domani a te”. E non tornerei indietro manco che se mi intestassero uno sky box a San Siro fino alla data del mio decesso. *

(* no aspetta, su questa cosa ci penso un attimo. Uno sky box in usufrutto) (sospiro)

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Una squadra (sembrerebbe)

L’Inter ha fatto come i saltatori in alto che, dopo due errori alla stessa misura, si giocano il terzo tentativo a quella superiore. Se sbagli vabbe’, non cambia nulla, ciao ciao. Ma se riesci a superare l’asticella, non solo ti salvi il culo ma rientri in gara alla stragrande. La Gimbo Inter aveva sbagliato cinque tentativi alla stessa misura: al sesto errore avrebbe rischiato lo sprofondo e invece toh!, si è inventata un salto poderoso e adesso chissà.

Inter-Barcellona era la partita più importante della stagione: match-chiave della nostra Champions ed esame crudele (dentro o fuori) per capire di che pasta siamo fatti davvero. Poteva essere una replica di Inter-Bayern, cioè una frustrante comparsata sul palcoscenico degli altri. O poteva essere una replica di Inter-Barcellona di 12 anni prima, con tutto il rispetto per quella magica e irripetibile partita: una replica, almeno, di quella voglia di giocarsela, di quell’orgoglio nero e azzurro.

E’ stata, in realtà, un combo (in scala 1:2) di quelle due semifinali: la prima ora dell’andata, a provare a vincerla, e l’ultima mezz’ora del ritorno, a difendere il fortino dall’attacco nemico. E alla fine l’abbiamo vinta davvero, dopo due mesi di alti e bassi, scarsissime certezze e tanti dubbi. Tanto che adesso viene da chiedersi quale sia la vera Inter 2022, quella di Inter-Barcellona (una squadra vera, sembrerebbe) o quella che finora era stata spietata con le piccole e inguardabile con le grandi, un’Inter senza palle nell’affrontare gli snodi più delicati delle partite.

Col Barça ha girato tutto bene. Giocavamo senza Brozo e Lukaku, ma non se n’è accorto nessuno. La difesa colabrodo delle prime dieci partite stagionali ha fatto un match perfetto. Nessuno si è tirato indietro, mostrando una voglia mai vista da agosto a oggi se non in rari e perlopiù insignificanti momenti. Una lucidità che sembra aver ritrovato anche Inzaghi, tipo quando ha effettuato i cambi seguendo la logica della partita e non schemi mentali senza senso.

Ci voleva una grande occasione? Serviva un Barcellona per uscire dall’incantesimo? Boh, forse sì. L’Inter si sarà convinta di essere una squadra? Ecco, sarebbe un peccato mortale scendere alla misura inferiore e tornare a sbagliare: abbiamo – meglio tardi che mai – alzato l’asticella, la sfida è restare lì. Al limite salire ancora, se ci convinciamo che tutto è possibile.

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Cinque / cinque (cinque)

Adesso che la cifra è tonda (10 partite stagionali) e l’equilibrio è perfetto (5 vinte e 5 perse), la statistica ci dà qualche certezza (vinte le 5 facili – due di culo -, perse le 5 difficili) regalandoci una dimensione da centroclassifica (domani potrebbe pure superarci la Juve: no dico, la Juve!) e una sensazione di incertezza e di mediocrità che non ci ricordavamo dai tempi di Kuzmanovic.

La partita con la Roma dice molte cose e anche il loro contrario. Per esempio che abbiamo giocato una delle partite migliori, e l’abbiamo persa. O che abbiamo avuto il 58% di possesso palla e tirato 15 volte, e l’hanno vinta gli altri. Nel dopopartita Inzaghi dice che siamo stati molto sfortunati (sì, vero), Dimarco dice che l’abbiamo dominata (mah). Io dico allora che c’è qualche problema di percezione dei problemi: essere sfortunati e dominarla, secondo la narrazione del club, ti toglie lo sconforto di perderla. E’ com’è che i tre punti se li portano a casa gli altri? Come mai? Che sia anche per i 15 gol subiti in 10 partite? Non abbiamo un andazzo da squadra dominante, ma proprio per niente.

Un gol annullato per un polpaccio fuori posto e un incrocio pieno su punizione dicono che Inter-Roma poteva andare diversamente – Dio solo sa quanto ne avremmo avuto bisogno – per una mera questione di centimetri. Potremmo liquidare la questione così, o dire come Dimarco che la partita l’abbiamo dominata e che prima o poi le cose andranno meglio. La realtà, al di là di polpacci e incroci dei pali, sta nella foto del gol partita: un calcio piazzato da trenta metri e tre giocatori in vantaggio sul pallone, che non sono i nostri. Eccoci qui, fotografati impietosamente mentre arranchiamo, siamo a terra mentre gli altri saltano. Le partite non le vinci così.

Magari, ecco, le perdi. E purtroppo dopo un mese e mezzo abbiamo già perso tante partite quanto nell’intero campionato scorso e una in più dell’anno dello scudetto. E’ appena iniziato ottobre e abbiamo esaurito il bonus. Ma fosse solo questione di numeri (sospiro).trv

Il problema è che il clima è pesante. Giocatori palesemente confusi, incapaci di superare le difficoltà della partita (tre volte rimontati e mazziati dopo essere andati in vantaggio). Un allenatore che non ha il controllo della situazione (e spesso la peggiora, la situazione). L’evidenza che siamo grandi con le piccole (bella forza) e piccoli con quelle appena sopra il livello medio. E tutto questo alla vigilia di una partita che non è solo contro una squadra molto forte (nostro score stagionale: 0/5), ma che è il match-chiave della nostra Champions, cui potremmo dire bye bye dopo tre partite appena. Arriva il Barcellona e non abbiamo niente da mettere. In campo, intendo.

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Tante coccole!

Siamo arrivati al punto che Bastoni – Bastoni, l’uomo a cui la madre pulisce la bocca con un tovagliolo di carta dopo che ha mangiato una pizzetta – viene sostituito dopo mezz’ora del primo tempo a Udine e prende a calci la panchina. Quasi non ci credevo. E’ come se avessi visto i Teletubbies tirare sampietrini ai vetri delle scuole. Quando Inzaghi in zona mista ha spiegato questa inspiegabile mossa – volevo cambiarli tutti, ho iniziato dai due già ammoniti – avrei fatto come i Teletubbies modificati: avrei tirato sampietrini al televisore. Il nostro prevedibile allenatore ha un modus operandi ormai codificato: faccio una formazione, sostituisco gli ammoniti (ma perchè, perchè? come se a ogni partita uscissero in cinque per doppio giallo), cambio qualcun altro, aspetto il 90esimo, interviste, pullman, casa (repeat and fade).

Il problema – uno dei vari problemi, sul podio della gravità – è che siamo i Teletubbies, quelli veri. Pupazzi antropomorfi che adorano passeggiare sui prati, parlare e muoversi in modo lento e ripetitivo, “ciao ciao!”, “tante coccole!”, e l’Udinese ce ne mette tre di cui l’ultimo andando in porta con il pallone. Noi, si rotola placidamente. Tinky-Winky-Correinky adora fare le capriole e dribblarsi da solo. Dipsy-Devripsy suona il piano, è amico di tutti e non marca stretto nessuno. Brozo-Brozzy vuole sempre dormire e tarda a entrare in forma. Bare-ooh adora giocare, ma si stanca tanto e si riposa per le tre giornate successive. La-La-Ndanoviccy adora tuffarsi ma senza sporcarsi e quindi a volte non si tuffa. Ca-La-Nogly ama il bello, ma senza fretta. Lu-Lu-Kaky è grande, grosso, gentile e sempre a letto.

Ci stiamo perdendo un grande spettacolo, quello della Juve e dei suoi problemi, perchè siamo costretti a vederne un altro, quello dell’Inter e dei suoi problemi. Un doppio schermo in cui scorrono discreti disastri: in 9 partite ufficiali l’Inter ha perso 4 volte (tre volte prendendo 3 gol, tre volte perdendo con 2 gol di scarto), difficile dire se più o meno inquietante delle 2 vittorie in 9 partite dei gobbacci (che avendo fatto tre punti nella prima di campionato hanno dunque vinto una sola volta nelle ultime 8). Che bei pomeriggi, che belle serate avremmo trascorso se non avessimo da vedere i Teletubbies due partite sì e una no.

Inter e Juve sono oggi ostaggi dei loro allenatori, che a loro volta sono ostaggi dei loro giocatori, che a loro volta sono ostaggio delle nostre elementari aspettative, che al mercato mio padre comprò. La Juve che su otto partite ne vince una è una bella cosa. Ma noi, che vinciamo solo quelle facili e perdiamo tutte quelle difficili – e stiamo considerando “difficile” una trasferta a Udine -, non siamo messi molto meglio. E’ sempre troppo presto per preoccuparsi in senso lato (è pur sempre un campionato in cui vanno in fuga Napoli, Atalanta e Udinese), ma siamo perfettamente in tempo per preoccuparci in senso stretto, cioè per le cose di casa nostra, che vanno male. O a voi piacciono? No, per sapere.

La situazione è tanto grave che anche la Curva è stata costretta a redigere il suo comunicato semestrale. Il cui sunto è: noi non siamo isterici come i tifosotti, però adesso ci avete rotto il cazzo e dopo la pausa di campionato ve la dovete vedere con noi (cioè, sono isterici pure loro). Per diventare Ninja, i Teletubbies devono rimboccarsi le maniche e incazzarsi all’unisono. Se ne esce tutti insieme, dice democraticamente la Curva. Va bene: ma qualcuno suoni la carica. Senza farsi ammonire, mi raccomando.

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