
Mentre l’Inter viveva la stagione dei suoi successi a raffica (tra il 2006 e il 2012, da Mancini a Leonardo passando dallo Special One e Benitez, scudetti, Champions, triplete, coppe varie) (sospiro), a Pavia – 40 km da San Siro, controllate pure su Maps – transitavano giocatori che poi avremmo visto più o meno stabilmente in Serie A, o addiririttura in Nazionale. Il Pavia – che nel frattempo è fallito, sprofondato e rinato e oggi milita in Eccellenza, una specie di limbo tra il calcio che conta poco e il calcio che non conta un cazzo – in quegli anni così densi di interismo militava tra C2 e C1 (poi LegaPro): diciamo che avevo calcisticamente altro a cui pensare, ma che mi poteva capitare, in momenti di astinenza o di particolare afflato cittadino (o anche per lavoro, occasionalmente), di fare un salto allo stadio Fortunati e di guardare la partita di quella che, volendo essere precisi, potrei definire una delle mie seconde squadre, qualche gradino sotto la prima.
(la prima, non so se l’ho mai detto, è l’Inter. Poi, a livello di club, ci sono tre squadre di cui seguo passo passo i risultati e i rispettivi campionati: Vogherese, Pavia e Liverpool)
C’è stato un momento, diciamo a metà dello scorso decennio, che in Serie A giocavano contemporaneamente da titolari un calciatore di Pavia (Simone Verdi, che curiosamente non ha mai giocato nel Pavia) e quattro ex del Pavia: Giaccherini, Pavoletti, Falco e Acerbi. Una felice e rara coincidenza, per una città un po’ ai margini del calcio che conta. Giaccherini, Pavoletti e Falco hanno giocato un solo campionato a Pavia per poi andare altrove. Acerbi, invece, è stato a Pavia parecchio. Cinque stagioni, dalle giovanili alla prima squadra, inframmezzati da un paio di prestiti. Cinque stagioni. Potrei bullarmi a dire che io sì, l’avevo visto giocare da ragazzo e bla bla bla, si intuiva che bla bla bla, ma non me lo ricordo proprio. Probabilmente no, non l’ho mai visto.
A Pavia Francesco Acerbi ha esordito a 18 anni in prima squadra in C1, quindi nel calcio professionistico, domenica 23 aprile 2006 in Pavia-San Marino 4-0 (forse era un segno del destino, passato del tutto inosservato, ma nella corrispondente giornata di Serie A, anticipata a sabato 22, anche l’Inter vinceva 4-0 con la Reggina). Aprile 2006: da lì a un mesetto sarebbe successo il finimondo. Le ultime due stagioni le ha giocate da giovane titolare al centro della difesa. Poi il Pavia lo cedette in comproprietà proprio alla Reggina, che lo cedette al Genoa, che lo rimpallò in comproprietà prima al Chievo e poi al Milan (solo 10 presenze, ma due in Champions) e via così per qualche confuso passaggio di maglia e di cartellino fino a quello definitivo al Sassuolo. E da lì – è il 2013, dieci anni fa – la storia è nota.
Quando arriva al Sassuolo, Acerbi ha già 25 anni, e ne perderà uno abbondante per curarsi un tumore con recidiva. Quando a 26 anni e mezzo torna in campo, non più giovanissimo e una drammatica storia alle spalle, praticamente non ne uscirà più. Dopo un campionato di (ri)assaggio, seguiranno nove stagioni in cui le giocherà tutte o quasi. Quando parla della malattia lo fa con serenità e una punta di orgoglio: “Se non avessi avuto il tumore forse giocherei in B, o in C, o forse avrei già smesso”. Invece la sua rinascita personale si è realizzata sui campi di Serie A, dove per recuperare il tempo perduto (o forse, apprezzando la seconda chance che gli veniva data) è diventato un giocatore affidabile, generoso, puntuale, necessario. Lo ha fatto senza forzare, soprattutto nei toni, lasciando parlare i fatti. Punto di riferimento assoluto di Sassuolo e poi Lazio. E anche in azzurro, con la formula dell’usato sicuro: delle 31 presenze in Nazionale, 29 le colleziona dopo aver compiuto 30 anni.
Quando arriva all’Inter, anche a seguito di (oggi possiamo dire: grazie a) una spiacevole situazione creatasi con la tifoseria laziale, diamo tutti per scontato che sia il centrale di riserva, anzi, il sostituto di Ranocchia, non mancando di notare che Acerbi è addirittura 6 giorni più vecchio dell’ex capitano, alla faccia del ringiovanimento della rosa. Ma Ranocchia nel suo ultimo anno all’Inter aveva fatto 10 presenze, per lo più spezzoni, di cui 3 in Coppa Italia. Acerbi, nel suo primo anno all’Inter, farà 49 presenze di cui 12 in Champions League, compresa la finale, duellando in mondovisione con il miglior giovane centravanti dell’universo che toccherà tre palloni in 90 minuti.
Se l’aggettivo “sorprendente” è quello che forse più si adatta a descrivere la stagione 2022/23 dell’Inter, il giocatore simbolo non può che essere uno sorprendente come Francesco Acerbi. Che è meno patinato di Lautaro, meno frenetico di Barella, meno strabordante di Onana, meno pulito di Bastoni, ma ha dato a tutti una straordinaria lezione di calcio. La naturalezza con cui si è inserito nell’Inter, nel suo gruppo e nel suoi meccanismi difensivi è una delle chiavi dell’intera annata nerazzurra. Nella perenne ricerca del “giovane”, quasi non ti accorgi che il tuo colpo di mercato va per i 36. E quando te ne accorgi vieni colto da una piacevole sensazione: tipo che non c’è niente di scritto e che gli schemi possono essere stravolti anche da chi non ti aspetti. Un vecchio, o presunto tale.
Che poi varrebbe anche per Darmian, anche lui uno serio, senza effetti speciali, che magari ti distrai a guardare gli altri fino a quando non gli vedi fare una diagonale che Chuck Norris al confronto è Carla Fracci e ti alzi dal divano ad applaudire come avesse fatto un gol – che poi ogni tanto ne fa. E’ l’Inter italiana, diligente e un po’ operaia che ti regala una stagione con tre finali e tu che fai?, ringrazi e stop, la ami, li ami.