Il bello dell’Inter

La grafica delle statistiche finali di Inter-Lazio sembra un copincolla di quelle di Spezia-Inter e di tutte le altre partite del genere “Spezia-Inter”, quelle dei 25 tiri tuoi, dei 50 cross tuoi, del 60% di possesso tuo e delle vittorie loro. E invece stavolta abbiamo vinto noi. Con tre gol su azione. Tornando a segnare a San Siro in campionato dopo quasi due mesi. Contro la seconda in classifica, la miglior difesa del campionato (insieme al Napoli) e soprattutto la squadra che nelle ultime 9 partite aveva fatto 22 punti contro i nostri 10, uscendo dal nostro orizzonte domenica dopo domenica fino a diventare apparentemente irraggiungibile dopo averla lungamente tenuta dietro. La Lazio, nel corso del nostro blackout, era stata la squadra ad avere corso di più.

E insomma, la vittoria è fortemente simbolica. Una vittoria in rimonta, contro la Lazio e contro la sfiga, quella di aver pagato all’istante il primo errore della partita e di vedere sfumare una a una le occasioni che ti stavi procurando. E non erano occasioni generiche, tiri ad minchiam, cross alla cazzo, utili solo a ingrassare le statistiche (e i nostri fegati). Erano il frutto dell’ottima partita che stavamo facendo.

Inter-Monza l’abbiamo giocata 15 giorni fa, sembrano due mesi. Dopo Inter-Monza – da lì in poi potevamo solo iniziare a scavare – abbiamo giocato e “quasi vinto” (Inter-Benfica la considero vinta) 4 partite in 12 giorni, conquistando la semifinale di Champions, la finale di Coppa Italia (contro la Gobba, andata poi in crisi di nervi) e dando una sistemata alle cose in campionato, dove sembravamo destinati a giocarci tuttalpiù la Conference.

Questa è l’Inter che preferiamo. Detta così sembra una cazzata: a Setto’, e grazie ar cazzo! Però, parlando dell’Inter di quest’anno, non c’è niente di scontato, neanche una considerazione come questa. Oggi un’altra Inter, una delle varie che abbiamo conosciuto durante la stagione, sotto di un gol dopo averle provate tutte (e, lo risottolineo, averle provate bene: il gol annullato non era frutto di un’azione meravigliosa?), poteva andare in depressione e involversi a vista d’occhio. Anzi, a un certo punto ha rischiato lo 0-2, che sarebbe stata una beffa oltre ogni limite.

E se fosse stato proprio quel goffo scivolone di Acerbi (uno dei nostri inattesi uomini-simbolo, incappato in un primo tempo da incubo) il gesto che dà una svolta alla stagione? Evitato grazie a un po’ di culo quello 0-2 che avrebbe ucciso un toro, l’abbiamo ribaltata e stravinta, come giusto che fosse. Oggi tutti festeggiamo Lautaro, un ritrovato Brozo, un Lukaku tornato lui giocando 90′, un Barella ovunque, un Gosens tipo Enrico Toti, eccetera. Ma oggi siamo anche tutti un po’ Acerbi: scivolati e rialzati, siamo andati a vincere alla faccia di tutti, anche delle zolle flosce e dei gufi multicolor.

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Da qui in poi sono tutte semifinali

Questa stagione sembra un videogioco: tra una vita e l’altra che perdi (in campionato), ogni tanto superi un livello e in quello successivo ti si presenta qualche nuova difficoltà inserita in uno scenario spaventoso. E la soddisfazione per il livello superato dura il tempo che ti si carichi la nuova schermata: ti aspettano nuove prove, sempre più complicate, hai finito i bonus e, insomma, sono cazzi.

Tipo che al fischio finale di Inter-Benfica, invece di fare un carosello intorno al divano cantando un pezzo di Amalia Rodrigues, ho avuto una crisi isterica e mi sono messo a pigiare F5 sul nostro calendario al ritmo di 120 pigiate al minuto, in attesa – breve – che venissero inserite le due partite col Milan, semifinale di Champions, una roba pazzesca, 20 anni dopo quella clamorosa enculada che non ho mai digerito del tutto. Risultato: la serie delle partite ogni tre giorni, iniziata l’1 aprile, si protrarrà fino al 21 maggio. Nei prossimi 30 giorni ne giocheremo 9, di cui 2 con il Milan e 1 con Juve, Lazio, Roma e Napoli (e altre sono Empoli, Verona e Sassuolo). Roba da andare giù di testa, pum!, e desiderare che tutto questo finisca al più presto o che magari non finisca più, questo ce lo dirà la Storia.

Si riduce al minimo il tempo dei festeggiamenti per la qualificazione, per i tre gol segnati su azione, per l’ennesima bella partita di coppa in contrasto con le ciofeche di partite che da mesi inanelliamo in campionato. C’è da pensare al Milan, ma prima anche a Empoli, Juve, Lazio, Verona e Roma, perchè questo calendario da paura ci costringe a giocare cinque partite prima del derby e ad affrontare questioni assai serie, cioè la sfida di Coppa Italia e la tregenda del campionato dove siamo in caduta libera.

Ecco, dovremmo stare tutti qui a berci delle birre per festeggiare un traguardo che nemmeno il più lisergico tra noi avrebbe immaginato, e invece incombono ben altri pensieri. Da qui in poi sono tutte semifinali, a cominciare da Empoli. Vere o presunte, reali o immaginarie, abbiamo un mese di semifinali da giocare. Ed è un pensiero così pesante che quasi faccio fatica a ricordarmi gli highlights di Inter-Benfica. Giurerei di aver visto Correa saltare un uomo e segnare con un tiro a giro, ma sarà stata una di quelle allucinazioni che ti possono prendere quandi fai F5 sul calendario e ti appare l’apocalisse. Forza Inter, verso l’infinito e oltre.

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Psyco

Una delle mie figlie, la più giovane, uscendo dallo stadio a un certo punto mi dice due cose: che non aveva mai visto una partita così brutta e che non aveva mai visto perdere l’Inter dal vivo. Su entrambe le affermazioni avrei qualcosa da ridire (soprattutto mi sembra strana la seconda: secondo me semplicemente non si ricorda, anche se alla sorella maggiore – spesso le ho portate a turno, alternate – è sicuramente andata peggio, mi ricordo ai tempi di Zaccheroni sconfitte orripilanti tipo Brescia, Udinese, robe così, poverina), ma di certo di Inter-Monza 0-1 conserverà l’imperituro ricordo che si tributa ugualmente alle imprese o alle contro-imprese, “Inter-Monza, io c’ero”, lo racconterà ad amici, parenti, colleghi, figli, nipoti, bis-nipoti, “pensa che una volta ho visto il Monza vincere a San Siro” e i nipoti le diranno “sì, occhei, nonna, vabbe’, certo”, ammesso che tra qualche decennio questo sport sia ancora di moda o si giochi solo in qualche enclave in giro per il mondo – chessò, il Brasile, la Catalogna, l’Inghilterra, Monza.

Dopo Inter-Monza, e dopo l’undicesima sconfitta in 30 partite di campionato (un punto nelle ultime cinque), parlare delle due Inter di quest’anno, quella della serie A e quella delle coppe, ormai è quasi banale. Andando allora alla ricerca di un argomento più sfizioso, e peraltro assolutamente oggettivo, possiamo invece iniziare a chiederci com’è possibile che la stessa Inter di Inter-Monza sia una squadra che oggi (dopo una larga vittoria in trasferta nell’andata dei quarti, e con uno scontro tutt’altro che impossibile nell’eventuale semifinale) ha un fottuto 50 per cento di probabilità di giocare la finale di Champions. Nemmeno l’Inter di Mourinho, tra l’andata e il ritorno dei quarti del 2010, poteva vantare aspettative così elevate, sapendo che tra il dire e il fare c’era di mezzo il Barcellona – quel Barcellona, you know, Messi, Iniesta, Xavi, Ibra ecc. ecc.

Sembra impossibile, eppure è così. Del resto sembra impossibile aver visto giocare l’Inter in un certo modo a Lisbona il martedì e averla vista giocare poi a Milano con il Monza il sabato. Averla vista imporsi in trasferta e averla vista vivacchiare in casa in attesa di un gol che poteva arrivare più che altro per caso, e infatti non è arrivato.

Per trovare due Inter così drammaticamente diverse bisogna tornare alla stagione 1993/94 in cui vincemmo la Coppa Uefa rischiando di retrocedere. Quella Coppa Uefa (niente gironi, era ancora la magica era degli scontri diretti dall’inizio alla fine) non è paragonabile alla Champions di oggi. Alle porte della semifinale quest’anno ce la siamo già vista con Bayern, Barcellona, Porto e Benfica, mentre in quella Coppa Uefa vinta con il doppio confronto in finale con il Salisburgo (no dico, Salisburgo) passammo i vari turni con Rapid Bucarest, Apollonia Limassol (soffrendo a Cipro e anche un po’ in casa), Norwich, Borussia Dortmund (vincendo là e perdendo a San Siro) e Cagliari in semifinale (perdendo in Sardegna). Tutt’altro calcio, certo, ma diciamo che non fu un cammino immacolato. Alzammo la coppa dopo una tormentatissima partita a San Siro in cui Jonk segnò il gol decisivo e Zenga, alla sua ultima con noi, fece i miracoli.

A guardare la classifica di quel campionato, invece, ancora vengono i brividi. Fu il peggiore dell’Inter dall’introduzione del girone unico. La serie A era a 18 squadre e la vittoria valeva ancora 2 punti. In 34 partite l’Inter fece 31 punti (11 vittorie, 9 pareggi, 14 sconfitte), perdendo 9 delle ultime 13, una serie nerissima iniziata con la sconfitta in casa con la Lazio che costò l’esonero a Bagnoli (eravamo quinti, zona Uefa, e quella domenica la Lazio ci superò). Squadra affidata a Marini, che può dunque vantare il record di aver chiuso il campionato con 8 sconfitte su 12 partite ma di avere vinto la Coppa Uefa. Ci salvammo matematicamente un venerdì sera, in un anticipo a San Siro con il Lecce vinto 4-1. Seguirono altre sconfitte: finimmo quintultimi con 31 punti, il Piacenza retrocesse con 30.

Non so se riusciremo a fare peggio di quell’anno. Questa Inter, per fortuna, ha vinto parecchio e pareggiato poco, ed è l’unica spiegazione matematica al fatto che nonostante questo sfacelo siamo ancora lì a giocarci un posto per la Champions. Sul fatto che nelle 8 partite che restano dovremo affrontare Lazio, Roma, Napoli e Atalanta vabbe’, dai, un problema per volta. Parliamo del presente. Parliamo di Inter-Monza e di Inter-Benfica.

Oggi, un servizio tv su Inter-Monza mi ha regalato un particolare che ovviamente allo stadio non potevo cogliere: le facce dei nostri mentre entrano in campo con i bambini per mano. Fossi stato a casa, penso avrei girato per vedere Sinner o il Cantante mascherato. Purtroppo allo stadio la faccia-cam non ce l’avevo e sono rimasto sul pezzo, sperando che prima o poi – chessò, la spizzata di uno stinco di Izzo – un golletto lo avremmo fatto. Oddio, quell’ossessionante sotto-ritmo con cui abbiamo giocato, e quella sistematica rinuncia a provare un contropiede quelle rare che ci era aperto il campo davanti un sospetto me lo avevano fatto venire. Tipo che sarebbe finita 0-0. Sono un tipo ottimista.

La domanda è quindi: perché? Abbiamo rinunciato al campionato per guadagnarci l’accesso alla prossima Champions vincendo questa? Oh, il progetto è affascinante, anzi, mi piacerebbe proprio un casino, ma lo vedo un pochino più rischioso che battere Spezia, Salernitana e Monza e mettere del sano fieno in cascina. E chi decide questa mosceria in campionato? Escludendo che sia l’allenatore (“Oh ragazzi, oggi fate cagare, mi raccomando!”), quindi sono i giocatori. E perché? Stanchi, forse. Stressati, forse. Concentrati su cosette più eccitanti di Inter-Monza, ci sta. Stufi di stare a Milano, beh, può darsi. Però lo stipendio lo incassano con regolarità e potrebbero prendere con un po’ più di serietà l’impegno di portare avanti tre competizioni, circostanza che a metà di aprile possono concedersi in pochi in tutta Europa.

Non so se all’Inter oggi ci sia un’autogestione tecnica, come ogni volta in cui l’allenatore per una ragione o un’altra inizia ad assumere le sembianze del morto che cammina. Di sicuro, c’è un’autogestione emozionale, per non dire morale. Gente che attacca o stacca la spina a seconda del momento o del palcoscenico o del bioritmo. Risultato: in campionato, un punto nelle ultime cinque. Ed erano cinque partite in cui si potevano fare 13 punti, non 1.

C’è poi il problemino che non segniamo più, e purtroppo le attuali regole del gioco del calcio, sia pure stoltamente, continuano a premiare chi fa i gol invece che chi tira tantissimo, crossa tantissimo o fa tantissimo possesso palla con tantissimi passaggi laterali o all’indietro – lì sì che saremmo campioni del mondo. Dal 23 gennaio (Inter-Empoli) al 15 aprile (Inter-Monza), compresa Chanpions e Coppa Italia, abbiamo giocato 18 partite e segnato 17 gol, che è già allucinante di suo per un club che da anni ha il miglior attacco o il vice-miglior attacco della serie A. In queste 18 partite, per 7 volte non abbiamo nemmeno segnato. Evito di ricordare da quanto tempo non segnano su azione (nell’ordine) Lukaku, Correa, Dzeko e Lautaro, perchè non voglio rassegnarmi a considerarla solo una sfortunata congiunzione astrale che chissà quando mai ricapiterà.

Siamo in queste pietose condizioni (con un campionato da salvare e una semifinale drammatica di Coppa Italia contro i gobbi) e abbiamo il 50 per cento delle probabilità di giocare la finale di Champions. Un giorno parleranno di noi i libri. Se di storia del calcio o (temo) di psicopatologia criminale, lo vedremo nel prossimo mese e mezzo. Con serenità (faccino ironico).

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Pazzi

Su che base parlare dell’Inter senza timore di essere smentiti tra una partita e l’altra, di giorno in giorno, forse anche di ora in ora? Qui siamo oltre il concetto di pazza Inter, anzi, siamo su un altro piano. Cioè siamo noi tifosotti che rischiamo di uscire pazzi, costretti a pensare tutto e il contrario di tutto a stretto giro, a dare per finiti o per ammutinati giocatori che risorgono la volta dopo, a prostrarci riconoscenti davanti all’allenatore che abbiamo appena giubilato a colpi di hashtag e che invece sta progettando davanti ai nostri occhi e al mondo intero il più immaginifico percorso mai concepito per qualificarci alla Champions 2023/24: cioè da detentori, visto che in campionato faticheremo a conquistare un posto in Conference, o forse retrocederemo in B dopo uno spareggio con la Cremonese sul neutro di Fiorenzuola a metà giugno.

Ci eravamo lasciati a Salerno sull’orlo di una sommossa, di un suicidio collettivo, di un’abiura, di una disdetta di abbonamenti e canoni tv, di un appendimento definitivo di gagliardetti al chiodo. Quattro giorni più tardi siamo qui a riempirci gli occhi di grandeur futballistica, misurando il calibro dei testicoli dei nostri prodi e raccogliendo firme on line per il Pallone d’Oro a Bastoni, Barella, Onana, Acerbi, Mkhitaryan, Correa, forse anche per Cordaz. Anche un povero blogghe cosa cavolo si può mai inventare? Dovrebbe chiudere, cancellare la login e poi anche la password, ingoiare il bigliettino dove se le era appuntate, resettare il pc, formattarlo, venderlo su Subito.it, lanciarlo in strada come un frisbee, fonderlo nel microonde.

Potremmo catalogare tutto ciò come estremamente divertente, se solo potessimo congelare il momento e godercelo, invece che dover tornare alla realtà nel giro di qualche giorno e chissà quali procelle dovere ancora affrontare? Io, per esempio, ho comprato quattro biglietti per Inter-Monza. Ma perchè l’ho fatto, perchè? Che cazzo sto facendo? E soprattutto: che cazzo sta facendo l’Inter?

E di questa partita con il Benfica, alla fine, che dobbiamo mai dire? Che non vincevamo a Lisbona da mille anni? Che non abbiamo ancora preso un gol nella fase a eliminazione diretta, proprio noi che in campionato subiamo gol da chiunque – under 20, over 35, esordienti, sconosciuti, mezze calzette, crossatori falliti, chiunque? Che in Champions ci mettiamo miracolosamente tutta la concentrazione, la lucidità, la voglia, la garra che in campionato abbiamo rinunciato a usare come se improvvisamente non sapessimo di averle, o ci facessero schifo?

Se non fosse che questa vittoria a Lisbona apre scenari che nemmeno voglio immaginare, ci sarebbe quasi da incazzarsi. L’Inter di Lisbona applicata al campionato non avrebbe alitato sul collo del Napoli, invece di vederlo col binocolo? Non avrebbe scherzato con Juve, Lazio, Milan e Roma, invece che subirne i lazzi? Perchè debbo contemporaneamente soffrire per questa squadraccia di senza palle e bearmi per questo squadrone coraggioso e generoso, sapendo benissimo che sto parlando delle stesse persone e quindi non capendoci più una sega?

Siamo a un passo dalla semifinale di Champions e siamo a un passo dall’apocalisse in campionato. Ah, dimenticavo: siamo anche a un passo dallo scontro definitivo con la Juve in Coppa Italia, nel senso che ce la giocheremo tipo Orazi e Curiazi, a morsi e sputi e coltellate, fino a quando ne resterà uno solo. Siamo a un passo dalla neurodeliri. E’ spaventoso e bellissimo, probabilmente poco sano ma chi se ne frega, si vive una volta sola e bisogna approfittare di questa meravigliosa opportunità: essere interisti.

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Le leggi di Antonio e Joao

Se Edward Murphy e Antonio Candreva fossero stati contemporanei, oggi saremmo qui a parlare di un’altra legge (ormai tendo a esprimermi anche nella vita comune come Simone Inzaghi, e questo potrebbe portarmi verso uno sprofondo i cui confini faccio fatica a definire). A Salerno, dopo i soliti gol sbagliati nelle maniere più creative, era chiaro – lo era dall’inizio – che lo avremmo preso in quel posto. E fra tutti i modi possibili di prenderlo in quel posto, ce n’era uno, uno soltanto, che avrebbe potuto ferirci, danneggiarci e punirci più di ogni altro: un gol su cross sbagliato di Antonio Candreva.

Il cross sbagliato di Antonio Candreva è come il movimento Cassina di Igor Cassina: è una cosa ben precisa, codificata, unica. Candreva, come un miliardo di crossatori prima di lui, fa cross giusti e cross sbagliati. Ma è all’Inter che Candreva ha messo a punto il suo movimento Cassina, cioè il cross sbagliato di Antonio Candreva, il suo brand, ripetendolo quel tanto che bastava (sottolineo l’aggettivo, pronome, congiunzione e avverbio tanto) per dargli quella che a suo modo può essere definita una certa perfezione.

Quindi, quando un cross sbagliato di Antonio Candreva – oggi tesserato per un’altra squadra – si è andato a infilare nella nostra porta, mentre tutti guardavamo quella parabola pensando all’unisono “ma porca di quella puttana, non mi dire che”, hanno clamorosamente preso sostanza due leggi che ci affliggono da settimane, forse mesi: 1) se non chiudi la partita, essa sarà riaperta, e 2) se qualcosa può andare storto, esso lo farà.

Ci sarebbe poi una terza legge, che non ha ancora un nome, e che se andiamo avanti così ne avrà uno legato ai nostri colori: 3) cazzo, se non segni quei gol lì che li farei anch’io, ma vattene affanculo.

Ora, data per scontata la sussistenza di queste tre leggi, come la mettiamo con Lisbona?

La legge n. 1 e la legge n. 3 sono fortemente legate. Sarebbe una gran cosa – non so come, ma potrebbe accadere – se a Lisbona ci trovassimo in condizione di dover chiudere la partita, perchè vorrebbe dire che siamo andati in vantaggio. Mentre sarebbe una tortura vedere la squadra arrivare più volte a dare il colpo di grazia e non darlo mai, come ormai è diventata la regola in campionato. Ma qui, appunto, siamo nel campo della realtà, del tecnico, delle situazioni abituali.

La legge n. 2 ci pone su un altro piano, quello del paranormale.

Perchè tutti noi sappiamo che la Salernitana aveva un Candreva e Candreva aveva un suo movimento Cassina e – ma tu guarda che rogna – Candreva ha fatto il suo movimento Cassina alla perfezione contro di noi dopo averlo perfezionato con noi (insomma, mi sono spiegato). E tutti noi sappiamo che il Benfica ha un suo Candreva, che con noi ha perfezionato il suo movimento (il suo non-movimento) e che domani potrebbe fare il suo numero migliore contro la squadra più adatta per fare incazzare sette milioni di persone in un colpo solo.

(faccio un inciso. Qui mi sto dibattendo nel campo minato della scaramanzia. Meglio fare finta di nulla o meglio dire le cose come stanno con il rischio che poi ti dicano che hai menato una sfiga poderosa?) (scelgo la seconda, è più divertente).

Joao Mario è il David Copperfield del manto erboso. La differenza con Candreva è sostanzialmente una: Candreva ha messo a punto il suo numero a Milano, mentre Joao Mario lo ha studiato a Milano e completato a Lisbona. Da noi, Joao Mario spariva, ma poi non riappariva, gettando sconcerto tra di noi. Al Benfica, Joao Mario scompare e poi riappare al momento giusto, gettando sconcerto tra gli avversari.

In questo, a Candreva possiamo rimproverare l’ingratitudine ma non l’onestà intellettuale: lui una cosa la sa fare bene e l’ha fatta per la sua nuova squadra. Joao Mario invece si pone su un piano più subdolo: ci aveva fatto vedere metà del suo numero, la più sciapa, e adesso potrebbe farci vedere l’altra metà, quella che gli riesce bene dopo anni e anni di studio. Ce la potrebbe far vedere contro di noi.

Vabbe’, ho voluto disegnare questo scenario spaventoso per non pensare a un altro scenario ancora più spaventoso: quello di una squadra alla deriva, in caduta libera in campionato, con qualcuno che quasi gioca contro, con la Juve che quasi ci raggiunge senza che nemmeno gli serva la revoca della penalizzazione. In questo quadro, la prospettiva che dopo il movimento Candreva ci aspetti il movimento Joao Mario (una zampata dal nulla) la trovo a sua modo stuzzicante. Perversamente, soavemente stuzzicante.

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Sapessi com’è strano combattere il razzismo a Milano

Ma la scena di Lukaku che tira un rigore sotto la curva ospite e si becca del negro e della scimmia a ritmo di uh-uh-uh non l’avevamo già vista? Aspetta che guardo. Ah, sì.

Cagliari, 1 settembre 2019. Mancavano sei mesi alla pandemia ed eravamo tutti più felici. Poi noi interisti eravamo felicissimi perchè ci avevano appena comprato Lukaku. E Lukaku, alla seconda giornata di campionato, segnava un rigore decisivo. E la curva del Cagliari si era occupata di dargli il benvenuto alla prima trasferta in suolo italico.

Benchè questa roba facesse vomitare di suo, la cosa grave doveva ancora accadere. Due giorni dopo, il 3 settembre 2019, questo post fu post pubblicato sulla pagina Facebook “L’urlo della Nord” (me ne occupai qui, ma lo riporto integralmente perchè è bello rileggerlo insieme. Alla parola Cagliari – città – sostituite con Torino. Alla parola Cagliari – società sportiva – sostituite con Juventus):

Ciao Romelu

Ti scriviamo a nome della Curva Nord, si i ragazzi che ti han dato il benvenuto appena arrivato a Milano.

Ci spiace molto che tu abbia pensato che quanto accaduto a Cagliari sia stato razzismo.

Devi capire che l’Italia non è come molti altri paesi europei dove il razzismo è un VERO problema.

Capiamo che ciò è quello che possa esserti sembrato ma non è così.

In Italia usiamo certi “modi” solo per “aiutare la squadra” e cercare di rendere nervosi gli avversari non per razzismo ma per farli sbagliare.

Noi siamo una tifoseria multietnica ed abbiamo sempre accolto i giocatori provenienti da ogni dove sebbene anche noi abbiamo usato certi modi contro i giocatori avversari in passato e probabilmente lo faremo in futuro.

Non siamo razzisti allo stesso modo in cui non lo sono i tifosi del Cagliari.

Devi capire che in tutti gli stadi italiani la gente tifa per le proprie squadre ma allo stesso tempo la gente è abituata a tifare contro gli avversari non per razzismo ma per “aiutare le proprie squadre”.

Ti preghiamo di vivere questo atteggiamento dei tifosi italiani come una forma di rispetto per il fatto che temono i gol che potresti fargli non perché ti odiano o son razzisti.

Il razzismo è una cosa completamente differente e tutti i tifosi italiani lo sanno bene.

Quando dichiari che il razzismo è un problema che va combattuto in Italia, non fai altro che incentivare la repressione di tutti i tifosi inclusi i tuoi e contribuisci a sollevare un problema che qui non c’è o quantomeno non viene percepito come in altri stati.

Noi siamo molto sensibili ed inclusivi con tutti. Possiamo garantirti che tra noi ci son frequentatori di diverse razze e provenienze che condividono questo modo di provocare i giocatori avversari dell’Inter persino quando questi ultimi sono della loro stessa razza o provenienza geografica.

Ti preghiamo di aiutare a chiarire quello che realmente è il razzismo e che i tifosi italiani non sono razzisti.

La lotta al VERO razzismo deve cominciare nelle scuole non negli stadi, i tifosi son solo tifosi e agiscono in modo differente allo stadio e nella vita reale.

Stai certo che quello che dicono o fanno a un giocatore di colore avversario non è quello che direbbero o farebbero nella vita reale.

I tifosi italiani non saranno perfetti ma sebbene comprendiamo la frustrazione che ti possono creare certe espressioni, queste non sono utilizzate a fini discriminatori.

Ancora una volta …

BENVENUTO ROMELU

Essendo personalmente convinto che i problemi vadano risolti avvicinandosi quanto più possibile alla radice, è chiaro che ogni volta che si parla di razzismo negli stadi mi viene in mente questo post e vengo preso dallo sconforto. Questo post ci dice una cosa: che noi possiamo prendercela con un gruppetto di tifosi decebrati della Juve per quello che è avvenuto martedì sera nel finale della partita di Coppa Italia, ma dobbiamo anche sapere che la nostra curva – se c’è un minimo di coerenza di pensiero – darebbe ragione a loro e non a noi e a Lukaku. E allora niente, perchè parlarne?

Già, perchè? Beh, proviamo a parlarne in relazione agli arbitri. Lukaku ha ricevuto la seconda ammonizione per la sua esultanza dopo la trasformazione del rigore. A termini di regolamento, l’ammonizione ci sta: se un arbitro ritiene che l’esultanza sia provocatoria, deve ammonire. E io dico che un centravanti dell’Inter che si ferma sotto la curva della Juve a dire a tutti di stare muti, beh, un po’ provocatorio lo è. Ma un arbitro, anche (anzi, forse soprattutto) tramite i collaboratori, deve saper valutare il caso specifico. Se io a freddo trasformo un rigore e mando tutti affanculo, sono un provocatore. Ma se io trasformo un rigore tra gli ululati e dopo un quarto d’ora di scimmia di qua e negro di là, forse il provocato sono io. O no?

E proviamo a parlarne in relazione alla televisione. La Coppa Italia ci ha fatto ripiombare nel magico mondo di Mediaset, dove nessuno si è sognato per tutto il dopopartita di porsi il problema del perché dell’incazzatura di Lukaku, lasciando intendere (anzi no, dicendolo espressamente) che era nervoso per problemi personali e di squadra. Mentre scorrevano le immagini di Cuadrado che tira un pugno ad Handanovic (che nessuno faceva notare), dicevano di guardare bene perchè sembrava che Dumfries tirasse un calcio a qualcuno nella mischia. E’ un buon servizio alla verità? E’ normale tutto questo?

E proviamo a parlarne anche alla nostra comunicazione. Inzaghi che a domanda precisa parla d’altro no, non va bene. Inzaghi non va lasciato solo. A Inzaghi bisogna parlare prima che vada davanti ai microfoni. Inzaghi deve riordinare un secondo le idee e avere ben chiare le cose da dire. Bastava che usasse la parola vergogna, o condannasse l’accaduto. In generale, al di là della Juve, perché non è mica una cosa che avviene solo a Torino, per carità. Però tre parole dell’allenatore a partita appena finita avrebbero funzionato di più di un comunicato (giusto, doveroso) 12 ore dopo.

E poi, razzismo a parte (su cui non bisognerebbe nemmeno discutere, e invece ogni volta sembra di ripartire da zero), vorrei che l’Inter si occupasse di sistemare le cose con la Juve. La questione Lukaku e la questione Handanovic vanno affrontate forti di testimonianze audio e video. Non mi interessa quante giornate daranno a Cuadrado: mi interesserebbe vedere l’Inter che cerca di farsi rispettare. Tanto più se la controparte è la Juve, che con noi non deve abituarsi nè a giocare a volley nè a fare le risse tipo “Altrimenti ci arrabbiamo”. Ecco, sì: arrabbiamoci e basta. Con classe, eleganza, rispetto. Ma arrabbiamoci.

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La peggio Juventù

Il giorno che aboliranno la Juve sarà sempre troppo tardi. Nel mentre, potremmo iniziare a dare un senso alla nostra stagione abolendoli almeno dalla Coppa Italia 2022/23: un piccolo passo per l’uomo, ma un grande passo per l’interistità. Voglio cogliere dal finale di Juve-Inter i primi segnali veramente positivi da Porto-Inter in poi: stavamo perdendo a Torino, con un gol di Cuadrado (il sesto gol che ci fa questo essere fastidioso) la terza partita stagionale su tre con i gobbi, una circostanza che poteva farci sprofondare nella depressione più assoluta. E non è successo. Perchè il giocatore che ci hanno fottuto sul mercato barando sui conti – il karma – ha fatto un fallo di mano ridicolo all’ultima azione della partita e toh!, in un attimo è cambiato tutto.

Così è finita in rissa, come l’altra volta, Cuadrado come Paredes, provocatori di bassa lega che in effetti sì, bisognerebbe menare se solo il regolamento lo consentisse. L’espulsione di Lukaku è tecnicamente giusta, segnare e dire alla curva avversaria di stare muti vale l’ammonizione. Meno tecnicamente giusto è dare della scimmia di merda e fare uh-uh-uh a un giocatore non caucasico: non sarebbe male se saltasse fuori anche questo, invece di farsi tante domande sul perchè Lukaku fosse così nervoso.

Così come andrebbe indagato cosa abbia fatto uscire di testa il nostro Handanovic, uno che nella scala della litigiosità è nello stesso girone di Padre Pio, Gandhi e Paperoga. Sarebbe stato bello vedere Samir lanciarsi a peso morto tipo John Cena sul guappo colombiano (il cui pugno destro guantato di nero sembra viaggiare verso la faccia del nostro capitano wrestler), ma il calcio ha delle regole che lo rendono un po’ noioso, a volte.

Anche noi, a proposito, un po’ lo siamo. Noiosi, dico. Il 61% di possesso palla a Torino contro la Juve è lodevole, ma la ragnatela di passaggi scontati non produce altro, appunto, che possesso. I guizzi arrivano ogni tot. Forse un giorno, quando la ruota girerà, i guizzi random basteranno e avanzeranno. Oggi no. E sono 500 minuti che non facciamo un gol su azione.

Segnare ci servirebbe assai, visto che la ruota non gira anche per la difesa, punita oltre i suoi demeriti per una cazzata che ogni tanto può scappare (oggi a Gosens) e che puntualmente si trasforma in un gol preso. Per il resto, al netto di quello che comporta un momento no, a Torino si è vista grinta, attenzione, consapevolezza. Il giorno che ne metteremo uno – e prima o poi capiterà – potremmo dare una svolta. Tardiva, ma vera.

Ma rimanendo alla Coppa Italia, dove con la gestione Inzaghi proseguiamo imbattuti, adesso abbiamo una missione precisa: eliminarli. Basta, hanno rotto i coglioni, non meritano altro. Il fair play non si applica con la Juve. In attesa del 41 bis, a Milano dobbiamo concludere l’opera iniziata al minuto 95 a Torino (appena in tempo, ma con grande piacere): cacciarli fuori, perché ce lo chiede il mondo dei giusti.

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Carnage

Dopo un sabato segnato da Inter-Fiorentina, in piena crisi di rigetto mi sono ritagliato una domenica senza calcio. Ma niente niente niente. Zero, neanche un’immagine, un highlight, una sintesi, un servizio, uno spezzone. Niente di niente.

“No dai, impossibile”.

Fornisco le prove. Dunque, sveglia presto per andare a una gara. Facendo colazione, guardo la partenza del Gp di Formula 1 – e poi più che altro la safety car. Poi esco, 40 minuti di macchina, una bella corsetta di 10 km, convenevoli, ritorno, pranzo, pennica. Poi vado a teatro. Torno, mi guardo Sinner, che finisce fin troppo presto (nel mentre faccio zapping con l’Olimpia). Poi un pezzo di replica di Miami-Dallas di Nba, poi una serie tv. Poi libro, poi dormo. Serie A: nemmeno un secondo. Nemmeno un risultato.

Ragazzi, dovreste farlo anche voi. E’ un esperimento interessante. Si può sopravvivere senza problemi.

Ecco, semmai il problema è stato il lunedì al risveglio. Perchè sono bastate due scrollate al telefonino per rendermi conto che, in mia assenza, avevano vinto tutte – Lazio, Milan, Roma, persino l’Atalanta – e che dunque iniziavo calcisticamente la settimana in un mare di merda che mai mi sarei immaginato. Ho staccato i contatti sabato sera, che in fondo eravamo virtualmente terzi, per risvegliarmi 36 ore dopo quarto a pari merito (quindi, un po’ quinto) e con la sesta attaccata al culo.

Praticamente un disastro.

Il secondo problema è che in questo mese non ci sarà nemmeno il tempo di lamentarsi. E’ già ora di Coppa Italia e di Juve. Poi di nuovo campionato nel venerdì della Via Crucis (tu guarda le coincidenze), poi il Benfica ci sorprenderà con la fetta di colomba ancora in mano. E via così fino al 30, aspettando di vedere cosa ci riserverà maggio.

Mentre mezza Italia sta cantando il De Profundis a Inzaghi, l’Inter bipolare switcha sulle coppe che, proprio da quando c’è Inzaghi, sta affrontando con un percorso quasi netto. Imbattuta in Italia (Coppa Italia 2022 vinta, due Supercoppe vinte, Coppa Italia 2023 semifinali) e moralmente immacolata in Champions (dove in due edizioni abbiamo perso “solo” con il Bayern quest’anno e con Real e Liverpool – cioè le finaliste – lo scorso anno, sempre e comunque con delle corazzate). Mica l’apocalisse delle 10 sconfitte in campionato, con 10 partite ancora da giocare. E quindi potremmo anche nutrire qualche discreta speranza.

Il terzo problema è: adesso, però, chi si fida più dell’Inter, di Inzaghi e di tutta la compagnia bella?

Il quarto problema è: io staccherei fino alla mattina del Primo maggio, al risveglio, dove potrei con calma recuperare tutti i risultati e soffrire una volta sola. Già, ma come si fa?

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Il metaverso di Simone

Dio mio, lo ha detto ancora. “Se avesse segnato due gol, adesso staremmo parlando di un Romelu eccezionale”. Dopo le parate laser di Handa, ecco il calcio eventuale e parallelo di Inzaghi: un metaverso in cui si sospendono i giudizi perchè le cose avrebbero potuto andare in un altro modo. Abbiamo perso, ma se avessimo segnato due gol avremmo vinto. Lukaku ha sbagliato tutto, ma se avesse fatto tutto giusto sarebbe l’Mvp del campionato. E via così. E quindi: siamo entrati in un tunnel di cui non si vede la fine, ma se ne fossimo rimasti fuori adesso staremmo bene.

Lukaku – che se non avesse i genitori dello Zaire adesso sarebbe più slavateo di Correa e che se fosse in forma adesso parleremmo di un super Lukaku e che se non pesasse cento e passa chili adesso sarebbe più magro – è più che mai l’uomo-simbolo di questa Inter che non segna un gol su azione da un mese – ma che se nell’ultimo mese avesse sempre segnato su azione adesso staremmo parlando di un’altra Inter. Lukaku, che stiamo attendendo da otto mesi. Lukaku, che non segna su azione in campionato dalla prima giornata. Lukaku, che se non gli volessi bene adesso gli vorrei male. Perchè in questo momento a me girano i coglioni, ma se vincessimo tutte le partite che giochiamo adesso mi riderebbe anche il culo. Il problema è che sono interista, perchè se fossi della Fiorentina adesso parlerei di tutt’altra serata.

Ragazzi, come ne usciamo? Certo, se avessimo segnato adesso non avremmo problemi. E qui, debbo dire, Inzaghi un po’ ha ragione. I gol che abbiamo sbagliato stasera, per quantità e qualità degli errori, non sono sopportabili da chicchessia. Siamo al limite del sabotaggio. Quella di Barella è stata sfiga, ma quella degli altri cosa è stata? Cosa impedisce a questa squadra, che di occasioni se ne procura a iosa, di non realizzarne nemmeno una? Perchè a nessuno viene l’istinto (di conservazione, in fondo) di catapultarsi in rete con il pallone invece di farsi venire le gambe molli al momento clou? Perché stiamo rinunciando a segnare?

La catastrofe delle cifre (10 sconfitte in 28 partite, è un miracolo essere ancora tra le primi cinque o sei) investe ormai da settimane – anzi, mesi – quella dei gol. Da inizio 2023, a ritorno dalla pausa mondiale, ne abbiamo segnati 20 in 18 partite, coppe e coppette comprese, che sono clamorosamente pochi rispetto al nostro andazzo. Nelle ultime nove, per 5 volte non abbiamo segnato.

E insomma, se non segni dove vuoi andare? Non è colpa di Zhang o di Marotta, nemmeno di Inzaghi se questa squadra sistematicamente non la mette più. Non si può nemmeno dire che giochi male, di certo non si può dire che non crei opportunità. Però non segna. Non segna più. Ha quasi paura di segnare.

Già mi vedo il giorno in cui questa cappa di pochezza e di scarsi coglioni si dissolverà e vinceremo una partita 8-0 ed entrerà tutto, tiri sbagliati, cross sbilenchi, tocchi involontari. Nel frattempo, stiamo rovinando questa stagione e le prossime – perchè, ve lo dico in confidenza, non qualificarsi in Champions sarebbe un disastro epocale. La prima delle nove partite di aprile se n’è andata così. Ho paura delle prossime otto. Perchè se segnassimo tre gol a partita adesso saremmo tutti qui a parlare di un’altra Inter, santa madonna.

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Nirvana Lisbona

Secondo le ultime rilevazioni dell’Oms portoghese, la qualità della vita a Lisbona è enormemente migliorata negli ultimi 5 giorni. La spesa in antidepressivi è scesa del 25%, il Pil è salito del 12%, le donazioni alla banca del seme sono aumentate dal 124% e, in questo clima di rinnovata letizia, gli esperti si attendono un incremento delle nascite del 18% tra nove mesi, a cavallo tra il dicembre 2023 e il gennaio 2024. Il team di sociologi dell’Oms Portugal mette tutto questo in relazione alla visione collettiva dei sorteggi di Champions (venerdì 17) e delle partite di calcio Udinese-Milan (sabato 18) e Inter-Juventus (domenica 19). Tre giorni di escalation di euforia al termine dei quali sono diminuti i reati, aumentate le opere di bene e schizzate verso l’alto le prenotazioni di voli charter verso Napoli per la prima meta di maggio.

In particolare, nella serata di domenica a Lisbona è diminuto del 57% l’uso di droghe leggere. Tutto questo perchè, a detta gli esperti, la partita Inter-Juve (trasmessa in Portogallo da Dazão) ha avuto sugli sportivi della capitale portoghese l’effetto di una gigantesca canna. Il che oggettivamente ha un suo perché: nell’ottica di un tifoso del Benfica, come e perché preoccuparsi di quella squadra con la maglia a strisce nerazzurre incredibilmente approdata ai quarti di finale di Champions (così come agli ottavi erano incredibilmente approdati gli altri nerazzurri del Club Brugge) (tanto che a Lisbona ormai danno per scontato che le squadre nerazzurre siano una gigantesca botta di culo) e sconfitta nel cosiddetto derby d’Italia da una squadra bianconera che sì, sembrava vagamente la Juventus, cui è bastato uno schema primitivo – un pullman parcheggiato in area, qualche discreto contropiede, un furto – per incassare comodi comodi tre punti?

Vabbe’, a Lisbona non è che hanno l’anello al naso. Sapranno che c’è un’Inter di campionato che ne perde una ogni tre, e che c’è un’Inter di coppa che sembra avere una diversa visione delle cose e una diversa applicazione mentale. Quindi, voglio dire, non è che il Benfica all’andata schiererà la Primavera per preparare al meglio la trasferta di campionato con il Chaves, questo no. Però, perchè macerarsi nella preoccupazione dopo aver visto una squadra che perde una partita dopo aver avuto il 70% del possesso palla (il 69% dedicato a passaggi laterali o all’indietro), dopo aver scoccato 18 tiri (16 dei quali non pericolosi, 11 dei quali molto distanti dal pali) ed effettuato 25 cross (23 dei quali inutili, loffi, scentrati, imprecisi, molli, scontati, alla cazzo,che li avrei respinti anch’io vestito da happy hour e con su gli occhiali)? Perchè non pensare che basti giocare un po’ alla Juve per avere ragione di questa Inter, una squadra che – al netto di prodezze individuali sempre possibili, perché per fortuna abbiamo fior di giocatori – se gioca così va solo a sbattere contro un muro, perchè in difesa una cazzata (o più d’una) la facciamo di default e davanti l’ultimo dribbling vincente lo ha fatto Perisic che gioca altrove da ormai 8 mesi?

Domenica sera cinque minuti di visione dell’azione Gianelli-Zaytsev non sono bastati ad annullare il gol che abbiamo preso, ma nulla annullerà la vista di una difesa fuori posizione alla prima azione un pochino veloce e di un terzino olandese che si posiziona diligentemente lontano dall’uomo al tiro e perfettamente allineato col proprio portiere per coprirlo. A Monza ci hanno rubato la partita (gol regolare incredibilmente annullato, sarebbe stato il 3-1, mancava poco, match chiuso) e due punti dei tre già intascati. La supercazzola visuale e intellettuale di Inter-Juve ci è costata forse un punto, dico forse, perchè la partita sarebbe al massimo finita 0-0, non avremmo mai segnato (giusto un’autorete, un tiro destinato al quarto anello che poteva incocciare un gomito di uno di quegli armadi semoventi che avevano in mezzo) e questo bisogna serenamente riconoscerlo.

Che poi non è mica una sorpresa. L’Inter ha segnato 3 gol nelle ultime 5 partite disputate, 11 nelle ultime 12 (che sono quelle seguite al 3-0 al Milan in Supercoppa). Sono due mesi che andiamo avanti così ed è un miracolo che segnando un solo gol abbiamo passato il turno in Champions. Non è impossibile, ok, ma non è detto che possiamo andare avanti imperterriti segnando una partita sì e l’altra no. D’accordo che il Benfica è maledetto nei secoli da Bela Guttman, ma non è giusto affidarsi solo a una circostanza esoterica.

Il Benfica è il Napoli del Portogallo. 22 vittorie su 25 in campionato, un girone di Champions vinto con Psg e Juve, è la versione ripulita e sciccosa del Porto. Anche se è molto meglio del Chelsea di quest’anno, anche se si mangerebbe questo Milan in un solo boccone, avere avuto in sorte il Benfica è meglio che avere avuto il Chelsea (che ha un profilo alto) o il Milan (no, non voglio pensare a due partite tra squadre sull’orlo della tragedia, non ce l’avrei fatta). Di certo non va sottovalutata. Anzi, dopo Inter-Juve possiamo sperare che loro stiano sottovalutando noi.

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