Il training gomitogeno

Allora, facciamo ordine.

  1. Siccome qui siamo tutti interisti assolutisti tripletisti avventisti della seconda stella, ma non siamo nè terrapiattisti nè disonesti, diciamo pure con serenità che il nostro caro amico Bastoni ha fatto una cazzata che poteva costarci caro. Questo, in assoluto. Ora però contestualizziamo, perchè i terrapiattisti amnesisti temporaneisti sfigatisti ce li abbiamo attorno, e sono tanti, milioni di milioni.
  2. Se guardato bene e con un minimo di obiettività, il filmato racconta tutto. Bastoni e Duda (come avviene ogni mese in circa 17 milioni di azioni di calci d’angolo dalla Serie A agli amatori a 7) si strattonano pesantemente per prendere posizione/marcare l’altro. Poi, col pallone ormai lontano, tornando verso il centro del campo, sembra che i due si mandino affanculo reciprocamente (per un momento si guardano). Duda va verso Bastoni (magari per provocarlo, o forse no, senza una specifica intenzione: comunque cambia direzione, va verso di lui), c’è un contatto, Bastoni lo scosta con una sbracciata. Guardate, questo forse già basterebbe a vederci un fallo (con le immagini immediatamente a disposizione del Var, che sono quelle della tv, non ancora quelle dei telefonini degli spettatori), quindi il punto non è questo. Ma che tutta Italia (compresi diversi Tg di diverse testate in prime time) parli tuttora di gomitata fa parte di una specie di mistificazione collettiva della quale non c’è alcun bisogno. Bastoni allontana Duda con una bracciata. Quando Duda cade, il braccio di Bastoni – liberato dal peso del corpo di Duda – va verso l’alto. E’ molto semplice. Provate con un vostro amico.
  3. Già da alcuni minuti i giocatori del Verona avevano iniziato a buttarsi per terra a ogni contrasto, refolo di vento, starnuto, peto. Lo posso capire, trattandosi di una squadra pericolante che stava portando via un sudatissimo punto da San Siro, ma non lo posso per questo convidere. Un giorno dovremo anche finirla con queste scenate: ma cazzo, non lo sanno i giocatori che ogni loro movimento è ripreso da dieci telecamere? Lo sanno, ma se ne fottono, anche se noi in tv li vediamo fingere o esagerare e diciamo “oh, va’ che pirla”. La scenata di Duda per una spinta di Bastoni che lo allontana da sè con l’avambraccio, fingendo di essere colpito da un colpo di scimitarra alla carotide e cadendo come un sacco vuoto manco avesse preso un pugno alla mascella da Roberto Duran, spero gli sia ritorta contro di per sè: non era credibile, fa ridere.
  4. In un mondo perfetto, forse la decisione giusta sarebbe stata ammonire entrambi: Bastoni per – chiamiamolo così – falletto di reazione e Duda per simulazione, al netto di una provocazione in cui Bastoni non doveva cadere. Questo con le immagini a disposizione e col poco tempo a disposizione. Il gol dell’Inter sarebbe stato annullato e Frattesi avrebbe mostrato le mutande al mondo invano. Fosse stato annullato, oggi saremmo qui noi, indignati, a denunciare la patetica simulazione di Duda e l’insostenibile leggerezza del Var. Il mondo non è perfetto perché – tra i mille altri motivi – il Var non è perfetto.
  5. Perché il Var non è perfetto? Qui potremmo discutere per ore. My two cent: con tutta la sua imperfezione, io il Var me lo tengo stretto e non tornerei più indietro manco se mi dessero un milione (vabbe’, forse per un milione potrei discuterne) (scherzo). Il Var è vicino alla perfezione per il fuorigioco, così come la goal line technology ha tolto ogni dubbio sui gol/non gol. Ma è ancora evidentemente lontano alla perfezione per altre situazioni. Non mi inoltro in pipponi regolamentari perché non ne so abbastanza, ma c’è una zona grigia di difficile intellegibilità – la discrezionalità dell’arbitro e i limiti di azione del Var – che rimarrà sempre fonte di malumori, casini e shit storming. Le decisioni, poi, giuste o sbagliate che siano, non vengono mai spiegate: dagli arbitri, dico, non dagli opinionisi o dai soloni di turno che vengono più o meno quanto me. My other two cent (total, four cent): così come i fuorigioco di tallone li prendo così come sono (a volte a mio favore, a volte a favore degli altri), anche i presunti errori del Var li prendo per come sono, la decisione random di una ruota che gira. Stavolta ha detto bene a noi. Capiterà anche il contrario (ci siamo abituati).
  6. A proposito di abitudine: tutto, proprio tutto, ma la lezione dagli juventini no, dai. Un po’ di pudore. Alla seconda giornata di campionato un giocatore del Bologna che stava tirando in porta (a porta vuota) è stato falciato da dietro: doveva essere rigore più espulsione e, incredibilmente, non fu nulla. Siamo un gradino sopra l’affaire Bastoni, forse due. Quindi discutiamo, incazziamoci, versiamo ettolitri di sarcasmo, ok, tutto comprensibile. Ma le lezioni anche no (e sono andato indietro solo al 27 agosto 2023).
  7. Torno al punto 5. Che si debbano accettare i responsi di un dispositivo ipertecnologico come il Var in modalità Ruota della (s)fortuna è di per sè indice che qualcosa non va. Non è colpa nè dell’Inter, nè della Juve, nè del Verona, nè del Bologna. Dall’inizio dell’era Var è tutto un ritoccare le regole, che di per sè non è una cosa da disprezzare se si tende a migliorare le cose e a rendere oggettivamente più funzionante l’accrocchio giudizio umano-occhio elettronico. Ma, come si vede, c’è ancora qualche falla inspiegabilmente evidente.
  8. Torno al punto 2 (e chiudo). La falla c’è, ok. E cosa succede se milioni di persone si mettono lì a tirare la lamiera per allargarla? Se milioni di persone si autoconvincono tra di loro – ma sì, ma guarda, è evidente! – che quella di Bastoni è una gomitata, non c’è Var che tenga. E l’autosuggestione è una brutta bestia, ragazzi, ma proprio brutta (provate a digitare “gomitata Bastoni”: ci sono fiori di testate che parlano di gomitata e non lo correggeranno mai). E finirà che in sala Var ci dovremo mettere anche un crimonologo forense e uno psichiatra. E magari la macchina della verità. Al che io, smanettando sul telecomando, dirò: “Aho, speravo de morì prima”.

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Dirty dancing

Dovessimo spiegare l’Inter di quest’anno a un uditorio di gente ignara, cosa faremmo? Certo, proietteremmo gli highlights di un derby vinto 5-1, oppure quelli della lezione di calcio alla Fiorentina, oppure quelli delle vittorie in trasferte più che ostiche (Napoli, Lazio, Atalanta). E spiegheremmo così la classifica al termine del girone di andata, che ci vede primi con 48 punti (su 57 teorici) (no, dico) e campioni d’inverno (e quindi, statisticamente, con in tasca due terzi di scudo) (sempre teorico, eh?), tutto questo ottenuto giocando e segnando, cioè inseguendo il bello prima ancora del risultato (che estasi, poi, quando le cose coincidono).

Ascolta “Tipo finale dei Mondiali” su Spreaker.

Dopodiché – qui la faccenda diventerebbe complicata, trattandosi di gente ignara – prenderei il microfono per spiegare come si vincono i campionati: cioè con partitacce tipo Inter-Verona.

Al che uno degli ignari, uno di quei saputelli che si siedono davanti, di sicuro alzerebbe la mano per chiedere la parola:

“Scusa amico mio, ma non vi stavate vantando di brutto per le partite che ci avete fatto vedere prima? Adesso mi vieni a dire che il campionato si vince con partite tipo Inter-Verona, che avete rischiato di non vincere in casa contro la terzultima in classifica, da cui vi siete fatti rimontare pur schierando la formazione tipo, e che alla fine avete portato a casa con una sceneggiatura neurodeliri, con loro che sbagliano un rigore al centesimo dopo che voi avete segnato al 93′?”

“Sì”.

“A proposito: eri tu quello che si rotolava davanti al televisore manco avesse segnato Milito il 3-0 a Madrid di tacco al volo su cross dalla trequarti?”

“Sì. Altre domande?”

(brusio)

Sebbene ti facciano perdere alcuni anni di vita e chili di dignità, sono queste le partite che ti fanno vincere il campionato, o che almeno ti dicono che potrebbe essere l’anno buono. Torno su un argomento già affrontato: a furia di vincere partite per manifesta superiorità e a furia di collezionare clean sheet, questa meravigliosa Inter rischia di perdere il contatto dalla realtà di un calcio terreno in cui le avversarie non sempre stanno a guardare, in cui non fai necessariamente 25 tiri in porta ma te ne vengono 5, in cui puoi essere stanco e/o nervoso eccetera eccetera. Il calcio non è una camera sterile dove tutto riesce alla perfezione. Il calcio è anche fango, sudore, bile, pessime idee, gomitate, sputi eccetera eccetera.

Nelle ultime sei partite (4 di campionato, 1 di Champions, 1 di Coppa Italia) giocate negli ultimi 25 giorni, l’Inter è arrivata per quattro volte al 90° sul risultato di parità. Ha vinto con Lazio e Lecce, con più di un gol di scarto. Ma nelle altre quattro occasioni (Real Sociedad, Bologna, Genoa, Verona) al 90° eravamo in parità: 0-0 in casa con i baschi (poi anche risultato finale), 0-0 in casa col Bologna (1-2 il finale all’overtime), 1-1 col Genoa (poi anche risultato finale), 1-1 con il Verona (2-1 risultato finale, loro sbagliano il rigore del 2-2).

Questo vuol dire qualcosa? Visto che è successo con Bologna, Genoa e Verona, secondo me sì. Ma anche a prescindere dalle avversarie.

Significa che non siamo i rulli compressori di qualche settimana/mese prima, e in sè non è un dramma. Semplicemente, le cose vanno così. La statistica, tra l’altro, ci dice che stanno andando ancora strabene. Il bioritmo fisico e calcistico ci dice invece che qualcosa si è inceppato. Ma, appunto, non c’è da disperarsi: in un campionato che dura 9 mesi le cose vanno sempre così, più o meno. La virtù di una squadra si misura da come porta a casa il culo in circostanze come questa: la partita con il Verona ci deve porre legittimi interrogativi e darci significative preoccupazioni. Ma siccome in classifica segniamo 3 punti (come per il 5-1 al Milan, uguale) la morale è che – Juve docet – il risultato prima di tutto, poi il resto.

E vi spoilero il seguito: le prossime 19 saranno tutte così, più o meno. Buon proseguimento.

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I milanesi imbruttibili

Guarda, io quasi sono sollevato. Dopo 4 mesi abbondanti è arrivata finalmente una bella partita di merda, giocata male da quasi tutta la squadra (io avrei salvato solo Barella e Arnautovic, casualmente i primi a essere stati sostituiti) (perchè tutta ‘sta attesa per i cambi, poi?) e per quasi tutto il tempo disponibile. Una partita brutta dall’inizio alla fine, con tutti noi ad aspettare inutilmente il gol della vittoria che quasi tutte le altre Inter di questa straordinaria stagione avrebbero prima o poi messo, e che invece questa Inter non avrebbe trovato neanche con 150 minuti di recupero. Una squadra un po’ stanca e un po’ scarica, fin troppo abituata a dominare (simbolica, oggi, l’inattesa vulnerabilità sulle palle alte) per prenderla con filosofia quando invece fa fatica. Le telecamere hanno spesso inquadrato visi tirati, rari sorrisi e qualche vaffanculo tra compagni: ma come, non eravamo gli stessi che sei giorni fa si esibivano coralmente nell’abbraccio da Mulino Bianco ad Arnautovic dopo il magico tacco a Barella?

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Massì, sono sollevato. Ci siamo giocati il contro-jolly nella partita giusta, perchè nell’incredibile campionato gemello che stiamo facendo con la Juventus si è verificata un’altra coincidenza, il pari a Genova. E in fondo va bene così: non abbiamo meritato di vincere (qui lo dico e qui lo nego, ma ci se avessero annullato il gol per lo spintone di Bisseck – diciamo così – non mi sarei incazzato), abbiamo forse fatto la peggior partita stagionale, avevamo i bioritmi sballati, vai a sapere. E se è vero che le altre Inter di quest’anno avrebbero trovato il modo di vincerla (se non altro perché ci sarebbe stato Lautaro) (porca troia, c’è una bella differenza con e senza Lautaro, diciamolo), è anche vero che altre Inter in generale avrebbero trovato il modo di perderla. Quindi – anche se non va bene, ok – diciamo che va bene così.

E poi sono sollevato perchè – senza perdere, appunto – abbiamo fatto un significativo test nel mondo reale. La meravigliosa Inter di quest’anno si è beata della sua stessa bellezza e ne ha fatto il suo punto fermo, non solo estetico. Ha vinto partite “solo” giocando bene, che è una situazione ideale quasi al confine con l’irrealtà in un campionato ruvido e bruttarello come quello italiano. Con le partite più spettacolari ha messo insieme quella riserva di positività e di sicurezza nei propri mezzi che le è servita a vincere le partite più difficili e delicate (penso alle trasferte con Napoli e Lazio), dove tutta questa fiducia si è tradotta in imprese da grande squadra, consapevole, sicura, cinica, forte perchè sa di esserlo.

Ma poi ci sono le trasferte a Genova, e prepariamoci ad altre in fotocopia da qui a maggio. Poi ci saranno le squadre che arriveranno con il pullman a San Siro e lo parcheggeranno non in garage ma sul limite della loro area. Poi ci saranno le dirette concorrenti in cerca di punti, vendette e caviglie da colpire forte.

Insomma, il difficile è già iniziato. L’importante è accorgersene subito, magari già in una sera di fine anno a Marassi in cui hai scoperto che le magie non riescono dappertutto e che nessuno ti stenderà più il tappeto rosso. Le serate storte capitano e capiteranno ancora: dobbiamo “solo” imparare a gestirle. E un’altra cosa che dobbiamo imparare – è difficile, lo so, per una squadra così bella – è imbruttirci, alla bisogna.

Insomma, se la bellezza non dovesse bastare, o non dovesse servire, dobbiamo essere pronti a switchare sull’imbruttimento. Dobbiamo essere imbruttibili. Pensare a obiettivi più diretti. Smettere il tight e indossare la tuta blu. Segnare gol ignoranti. Adeguarci alla mediocrità altrui, nel senso di sporcarci un po’ di più la divisa sociale e andare a mietere punti. Il corto muso non potrà mai essere il nostro marchio, tanto meno il nostro credo. Ma un’opzione sì. La strada verso la seconda stella comincia a farsi aspra. Noi la possiamo lastricare di bellezza, quando si può. Ma quando non si può vanno bene anche le scorciatoie. Questa sera mi sarei rotolato per mezz’ora in soggiorno per un autogol di anca al 96′. Ma avremmo dovuto essere più cattivi, più coinvinti. Avremmo dovuto tirare. E io, come tutti, la seconda stella la voglio, costi quel che costi.

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Chi c’è, c’è

Mercoledì: sconfitta col Bologna, fuori dalla Coppa Italia. Giovedì: conferma infortunio Lautaro. Venerdì: infortunio Dimarco. Ci sono state anche vigilie migliori per una partita, ecco. Mettici anche che poche ore prima di Inter-Lecce la Juve vince a Frosinone: un po’ di nervosismo monta. E tra le mie ordinarie frequentazioni nerazzurre capto qualche frasetta densa di preoccupazione: e se adesso cominciasse a dirci tutto male? E se la nostra macchina più o meno perfetta iniziasse a perdere colpi, incepparsi, guastarsi?

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Certo, l’infortunio di Lautaro – giocatore nei fatti insostituibile – è il peggio che ci possa capitare. E quando si fermano i titolari si deve sempre affrontare un’emergenza, piccola o grande che sia. Ma, facendo mente locale, l’Inter è arrivata fin qui – 17 partite di campionato, 14 vinte – convivendo con una serie di infortuni che si sono spalmati con alterna intensità in questi primi quattro mesi di campionato.

Abbiamo avuto un infortunio chirurgico (Cuadrado), due piuttosto seri (Arnautovic e Pavard), un altro paio durati qualche settimana (Dumfries e Bastoni), più guai non gravi ma ricorrenti (Sanchez e De Vrij), più qualche indisponibilità momentanea. Ora Lautaro e Dimarco, una bella botta. Oggi a San Siro c’erano tre titolari (Lautaro, Dimarco e Dumfries) in borghese in tribuna.

Insomma, mentre sentivo che ad altri correva un brivido sinistro lungo la schiena, a me veniva da pensare che la gestione degli infortuni, anzi, la reazione agli infortuni è stata in questi quattro mesi un nostro punto di forza. A Napoli, mentre vincevamo 3-0 in casa dei campioni d’Italia, nel finale di gara avevamo a un certo punto fuori per infortunio quattro difensori (di cui tre centrali) e non ce ne siamo accorti. La (idealmente) portentosa catena di destra non è praticamente mai stata al completo: l’unico sempre disponibile è stato Darmian. E’ stato un problema?

La partita con il Lecce poteva complicarsi, senza Lautaro, senza i due esterni titolari e con un po’ di ansia latente. A parte qualche minuto di passività nel secondo tempo e qualche spazio di troppo concesso, abbiamo fatto la nostra solita partita d’attacco (20 tiri, 16 corner) e l’abbiamo portata a casa. Nel suo piccolo, era una partita importante (perchè venivamo da una sconfitta, per gli infortuni, per la Juve che aveva già vinto) e l’abbiamo vinta. Ne mancano 21 e saranno tutte così: importanti, per piccole o grandi ragioni.

Non ci siamo accorti delle assenze? Beh, un po’ sì. Arnautovic non è Lautaro, anche se poi si è riscattato con una genialata. E non potere fare cambi sugli esterni (Darmian si è fatto tutta la partita, Carlos Augusto è uscito all’84’) ti toglie parecchio. Ma l’abbiamo vinta piuttosto bene. Dopo tre mesi da oggetto misterioso Bisseck ormai è diventato un’opzione vera. Il bello di questa Inter è che tutti stanno facendo la loro parte. Buon Natale e Juve merda.

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Mi si nota di più se

Cervello dell’interista medio, lobo del ragionamento. Mi si nota di più se faccio l’incazzato per una sconfitta ai supplementari dopo essere andati in vantaggio, o se dico che mica si possono vincere tutte e sono cose che succedono e il Bologna è una bella realtà? Mi si nota di più se faccio un moderato paiolo alla squadra per essersi autocondannata a 120 minuti infrasettimanali pure un po’ frustranti data l’inculata finale, o se provo a convincere tutti che è meglio così e che la Coppa Italia era un intralcio sulla strada del nostro supremo obiettivo – la seconda stella – e di quello vice-supremo, cioè andare avanti in Champions?

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Io già vi vedo tutti a dividervi tra queste scuole di pensiero – con decine di relative sfumature – nel commentare questa sconfitta agli ottavi di Coppa col Bologna, ormai il nostro Sassuolo-2, che ci segna due gol a botta, ci lascia andare e poi rimonta, squadra che a volte gliene fai 6 e altre volte ci perdi scudetti vinti, e giocaci con spensieratezza se ci riesci. La notizia bella è che resta una sola partita stagionale col Bologna. La notizia brutta, a parte l’essere usciti dalla Coppa Italia dopo averne vinte due di fila, è che Lautaro a un certo punto – sì, ok, ha sbagliato il rigore, non è una gran novità, ma non è quello il peggio – si è toccato lì.

E anche noi ci siamo toccati lì, in modo diverso. Lui l’adduttore, noi i coglioni. Perchè se possiamo passare indenni da una sconfitta agli ottavi di Coppa Italia, non possiamo passare indenni dagli adduttori di Lautaro, specie se stanchi, affaticati, contratti (e via peggiorando). Non ce lo possiamo permettere. Se a Lautaro e/o Thuram viene il mal di pancia e/o di adduttore, per noi sono cazzi: entrano Arnautovic e/o Sanchez e non è la stessa cosa, non può esserla, nemmeno lontanamente.

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Ecco, questa merdosissima Inter-Bologna di Coppa Italia, che potevamo vincere comodamente 4-2 e invece abbiamo perso un po’ da stolti, ci rimette con i piedi per terra non tanto perchè ci rivela che possiamo anche perdere delle partite – una dura realtà, I know -, no, macché, quanto perché ci dimostra come siamo terribilmente in bilico sull’unica falla che abbiamo. Abbiamo avuto quattro difensori infortunati contemporaneamente e non è successo niente. Abbiamo visto Lautaro toccarsi un adduttore e addio, siamo nel panico. Non per immotivata isteria, ma per motivatissima preoccupazione.

Dovesse fermarsi Lautaro, oddio, che si fa?

Ecco perché la sconfitta di questa sera, di fronte a ben altre prospettive, ha persino un suo lato positivo. Evitiamo una partita e gennaio e un probabile doppio derby ad aprile, tre possibilità in meno che Lautaro stressi i muscoli delle sue gambe fatate. Sabato c’è già il Lecce, bisogna vincere. Nei ritagli di tempo intavoliamo una trattativa seria su Zirkzee. Sulla Coppa Italia Frecciarossa, messe le altre cose a posto, ci faremo presto una ragione.

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E se ne va

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Compiaciuti dalla nostra inconsueta bellezza, distratti dalla Champions, impegnati a guardarci alle spalle dai gobbacci maledetti, non ci siamo nemmeno accorti che nelle ultime sette giornate di campionato abbiamo affrontato cinque scontri diretti, di cui quattro in trasferta. Nell’ordine Roma (in casa), poi (tutte fuori) Atalanta, Juve, Napoli e Lazio, intervallati da Frosinone e Udinese in casa. Non ci siamo nemmeno cautelati parlando di ciclo di ferro, di serie durissima, niente, abbiamo giocato e stop. 6 vittorie e 1 pareggio, 15 gol fatti e 2 subiti. Nei soli cinque scontri diretti (ripeto: quattro in trasferta) 4 vittorie e il pari con la Juve. 9 gol fatti e 2 subiti. Un rendimento mostruoso proprio dove l’anno scorso eravamo clamorosamente mancati.

Ascolta “Holly, Benji e Svitol” su Spreaker.

Non importa ovviamente che la Lazio oggi sia decima in classifica. Era uno step importante, una trasferta-chiave, è stata in effetti una partita per lunghi tratti difficile e la pressione era alta, dovendo sfruttare l’occasione del pari della Juve. Nella sua limitata resa estetica, è stata una delle prestazioni più importanti della stagione. Il cinismo con cui abbiamo colpito nel momento giusto (in entrambi i casi, nel momento migliore della Lazio) e la quasi assoluta calma con cui abbiamo gestito l’iniziativa degli avversari sono i due elementi che compongono un piccolo capolavoro.

Ormai abbiamo tutti finito gli scongiuri e le scaramanzie: ma come far finta di non vedere che questa squadra funziona, che c’è un’unità di intenti e di umori rara nello spogliatoio, che c’è una gran voglia di andarsi a prendere gli obiettivi, uno dopo l’altro, con la forza del gioco e con la calma dei forti? Se gli scontri diretti li abbiamo superati con un bilancio straordinario, diciamo allora che le prossime partite – Lecce, Genoa, Verona – potrebbero comportarci un altro tipo di difficoltà, più cerebrale che tecnico. Anche questo sarà uno step da superare, con la maturità.

L’anno scorso eravamo tutti prostrati e ammirati dal cammino pazzesco del Napoli, praticamente immacolato, una macchina perfetta. Alla sedicesima giornata il Napoli aveva 41 punti.

Come l’Inter.

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Era meglio primi

Chiudere il girone di Champions imbattuti con 12 punti e arrivare secondi dietro alla Real Sociedad rischia di passare al parzialissimo archivio di questa stagione come una delusione, magari piccola ma significativa. Lunedì sera sapremo dare la dimensione definitiva alla cosa: andare al sorteggio da secondi ci mette di fronte al rischio di un ottavo tosto / difficile / quasi impossibile; fossimo arrivati primi, avremmo potuto pescare anche nelle categorie morbido / buono / fattibile.

Ormai la frittata è fatta. Dovevamo vincere e invece abbiamo fatto 0-0, contro una squadra che ha messo la sua tostaggine – ce n’eravamo accorti all’andata – al servizio del suo obiettivo, quello di pareggiare, e l’ha portata a casa giusto con un paio di spaventi, ma niente di che. Non si può rimproverare all’Inter nulla sulla “presenza” in partita, per carità, giocata sempre sul pezzo. Ma sul fatto di avere cercato in modo spasmodico di vincerla, ecco, qualche rimpianto resta.

E dunque era il caso di fare turnover, sapendo di dovere vincere contro una delle rare squadre che in questa stagione ti ha messo in seria difficoltà?

Ascolta “Baschi, campanili e tacchini online” su Spreaker.

Tra i rimpianti, quello più clamoroso è l’aver visto un scintillante Thuram e un sempre pericoloso Lautaro giocare i loro spezzoni di partita con due partner-fantasma, quando un’oretta dei due insieme forse avrebbe prodotto l’effetto desiderato – cioè metterla. Non impazzisco per le statistiche ma non posso fare a meno di guardarle e fare raffronti: beh, è stata un’Inter a scartamento ridotto rispetto al solito, anche solo a tre giorni fa, ben sapendo che l’Udinese non è la Real Sociedad, certo, però il tarlo resta.

Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, possiamo compiacerci del fatto che siamo qui a lamentarci di una partita non vinta, senza aver subito gol (la tredicesima volta da agosto, un’enormità), avendo chiuso in testa il girone di Champions da imbattuti (condannati solo da due golletti di differenza reti) dopo aver raggiunto la qualificazione con due giornate di anticipo. Ecco, ci stiamo lamentando di tutto questo. L’anno scorso di questi tempi, al confronto, avremmo dovuto darci fuoco come bonzi.

E a differenza di un anno fa, al sorteggio non saremo solo noi ad avere paura. Per le prime, l’Inter sarà la squadra da evitare. Per noi, sarebbero da evitare quasi tutte. Non vorrei il City (lo vorrei adesso, che fa abbastanza cagare, ma a febbraio magari ne farà cinque a partita), nè il Real (squadra da Champions se ce n’è una), nè il Bayern (eh, fa paura). Le altre vanno “bene” (notare le virgolette): cioè, sono tutte forti, ma un po’ più vulnerabili. Tra le seconde ci sarebbe stato l’imbarazzo della scelta, ma non siamo arrivati primi. Ed è solo colpa nostra.


(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Tipo: chi vorreste in Champions? Chi non vorreste? Quale squadra vorreste fosse radiata dal campionato di serie A? E perchè proprio la Juve?)

(il podcast, che viaggia verso il trentesimo episodio, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Seguite questo tutorial: scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Belli stronzi)

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I prossimi 50 giorni

Questo era un turno favorevole (loro il Napoli, noi l’Udinese) e quindi il punto non è il cosa (avere vinto, come loro) ma il come. Perchè altre Inter avrebbero forse indugiato un po’ di più, incasinandosi oltre ogni logica (non parlo di Inter del passato o di due anni fa o dell’anno scorso, parlo di Sassuolo e Bologna). Questa Inter invece non ha fatto il turnover con se stessa, ha messo in campo il meglio, anche come rendimento – 4 gol, 1 palo, 15 tiri, 75% possesso – e l’ha portata a casa dando la miglior impressione possibile. L’Udinese è quel che è, per carità, ma aveva perso solo due trasferte su sette: poteva andare peggio, e invece no. Difficilmente poteva andare meglio, ecco.

Ventiquattr’ore prima la solita horror Juve aveva fatto il suo: poche cose, magari anche pochissime, e partita vinta senza subire gol. E’ un format micidiale, specie se le altre ci mettono del loro – che colpa ne ha la Juve se Kvara non segna un gol fatto? A questa Juve dobbiamo non solo abituarci, ma adeguarci. Nel senso che loro sono questi e il loro lavoro lo stanno facendo bene. Nella classifica non c’è l’asterisco * ma fanno cagare. Nella classifica c’è la Juve sotto di due punti perché hanno pareggiato una partita che noi abbiamo vinto. Il resto è tutto uguale. L’estetica purtroppo non conta. Dobbiamo adeguarci ad averli come riferimento (come fosse una novità, tzè), dobbiamo adeguarci alle loro ambizioni (che sono uguali alle nostre), dobbiamo adeguarci all’evidenza che il loro pullman di traverso funziona tanto quanto le nostre azioni champagne.

Ascolta “La valanga rosa, Luce e Tenebre” su Spreaker.

Rappresentiamo due modelli diversi di calcio e di vita (come fosse una novità, tzè) ed è palese che siamo noi quelli che devono restare sul pezzo, perché l’essenzialismo di Allegri sarà anche ansiogeno ma porta fieno in cascina con regolarità impressionante e quindi loro, i brutti, sono in fiducia tanto quanto noi, i belli. Senza l’assillo di creare, solo di demolire.

Siamo noi insomma che dobbiamo restare sul pezzo. Non ci deve interessare quello che succede a loro, alle loro partite tutte uguali e dall’esito inspiegabilmente perfetto – non giocano, non piacciono, non prendono gol, vincono. Dobbiamo restare quelli che siamo, gli anti-pullman, che è una condizione dispendiosa ma appagante. Sarà difficile per Inter e Juve andare meglio di così (noi abbiamo vinto 12 partite su 15, loro 11 su 15. Noi abbiamo preso 7 gol in 15 partite, loro – escludendo i 4 gol presi dal Sassuolo – ne hanno presi 5 in 14 partite). E’ uno standard stratosferico. E se la legge dei grandi numeri dice che possiamo solo andare peggio, cerchiamo di andare meno peggio di loro.

Noi ora avremo la Lazio, a Roma. Poi Lecce, Genoa, Verona, Monza, Atalanta, Fiorentina. Loro hanno Genoa, Frosinone, Roma, Salernitana, Sassuolo, Lecce, Empoli. Poi, il 4 febbraio, noi avremo la Juve e loro avranno l’Inter. Ecco, cerchiamo di arrivare bene al 4 febbraio. Dopodichè, vedremo.


(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Però, per rimanere in tema, sarebbe carino parlare di scaramanzie, di vecchi ricordi, di nuove sensazioni, di brutta Juve, di bella Inter, cose così)

(il podcast, che ha ormai ampiamente superato la soglia psicologica dei venti episodi, anzi, anche quella dei venticinque, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Non siete credibili, dai: scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Se mi giustificate questa cosa con “ho di meglio da fare” e mi provate che effettivamente quello che avete da fare è meglio di una puntata del podcast, beh, vi assolverò. Ma non credo)

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Lost

Voi salvate foto sul desktop? Io sì, poi ogni tanto faccio pulizia – essenzialmente per cause di forza maggiore, quando cioè non ci sta più un cazzo. Ecco, appunto, stamattina ho dovuto fare pulizia. Le iconcine si accumulano mischiate tra loro: cose mie, cose di lavoro, cose del blog. Cose recentissime e cose più vecchie (parlo di settimane, max pochi mesi, perchè il desktop si riempie in fretta), o invecchiate male. Tipo che avevo ancora una foto di Lukaku con la nostra seconda maglia gialla dello scorso campionato – la foto in cui punta il dito a Barella. Ok, drag, drop, trash. E poi vedo in un angolino un’altra foto di un giocatore dall’aspetto familiare e con la maglia gialla. La apro. Non è la vecchia seconda maglia, è la maglia di un’altra squadra. Lui invece, in effetti, è un volto familiare. E’ Brozo.

Ed è stato così, in modo del tutto casuale ma sorprendente, tipico di quando vi si sblocca un ricordo, che mi sono appunto ricordato dell’esistenza geografica, macroeconomica e calcistica dell’Arabia Saudita. Dove si gioca – ah, che comodità Google – un campionato giunto alla 16esima giornata (di 34 totali, la loro serie A – per i più precisini, la Roshn Saudi League – è a 18 squadre). C’è in testa l’Al Hilal (Koulibaly, Milinkovic-Savic, quel che resta di Neymar) con 7 punti di vantaggio sull’Al-Nassr (CR7, Brozo, Manè) mentre è crisi Al-Hittihad (Benzema, Kantè, Fabinho), i detentori che attualmente sono quarti e lontanissimi dalla zona scudetto. Davanti a loro l’Al-Ahli (Firmino, Kessiè, Mahrez).

Breve sondaggio: c’è qualcuno che segue la Lega saudita? Che guarda le partite su Sportitalia o La7? C’è qualcuno a cui importa minimamente un beato cazzo di questa roba? Tipo che alla lettura della classifica di cui sopra abbia pensato: “A Setto’, ma ‘ndo vivi, già lo sapevo”?

Ascolta “Vecio Friul, studi di non Settore e poltrone pelose” su Spreaker.

Circa 100 giorni fa scrivevo preoccupato dell’esodo dei calciatori europei (non tutti vecchi, non tutti rottami, non tutti fuori dal giro) verso l’Arabia, ingolositi – è umano – da aumenti di stipendi nell’ordine del 500-1000%. Erano le ultime ore di mercato, un mercato occidentale (chiamiamolo così) parecchio disorientato da questa variabile impazzita. Per la prima volta, il baricentro del mondo calcistico si era un po’ spostato, inequivocabilmente: inverno 2022, i Mondiali in Qatar (con tutto quello che hanno comportato prima, durante e dopo); estate 2023, il mondo arabo fa spesa in Europa senza alcun controllo nè opposizione e si porta a casa pezzi grossi, parecchi.

Voglio precisare: ricordando che “scrivevo preoccupato”, non volevo tirarmela come se le mie preoccupazioni fossero state importanti, ahahah, ma chi se ne frega; volevo solo dire che anche un giuggiolone come me si era preoccupato di fronte a questo assalto alla diligenza di un mondo privo di cultura e di centralità calcistica ma dotato di un portafogli sterminato. Come se un giorno i magnati, chessò, della Groenlandia cominciassero a convertire palaghiaccio e igloo in palasport e, folgorati dal basket, iniziassero a offrire contratti immani a gente dell’Nba e dell’Eurolega.

Ok, detto questo: e 100 giorni dopo quella “preoccupazione”?

Non so voi, appunto, e non so cosa stiano facendo i calciofili di ogni genere e grado in giro per l’Italia, per l’Europa e per il mondo. Ma io mi sono improvvisamente ricordato dell’Arabia questa mattina, aprendo la foto di Brozo in maglia saudita. Non sapevo che avessero giocato 16 giornate di campionato. Ho perso completamente di vista tutti i campioni che sono andati lì, o in un paio di altre leghe confinanti.

Oh, io non so cosa succederà tra qualche mese, al prossimo mercato (o magari già a gennaio). E non ho minimamente idea se la Fifa si inventerà qualcosa per mettere l’Arabia più al centro del calcio di quanto già non lo sia solo per il fatto di poter comprare a destra o a manca, o (soprattutto) di mettere sul piatto delle pile immani di bigliettoni con cui, per dire, permettersi la qualunque, tipo fare giocare la Supercoppa italiana davanti a un pubblico di sceicchi e cammelli. Ma se tutti fossero come me, l’Arabia sarebbe solo una specie di buco nero foderato d’oro che ingoia calciatori e bòn, fine, morta lì, alla faccia dei petrodollari e degli stadi nel deserto. Per me l’Arabia è come il Molise: forse non esiste.

Sì, ok, non voglio fare l’ingenuo all’eccesso e il finto tifoso con la schiena superdritta. Il vento arabo sul calcio è una parte del tutto, cioè di quell’inquietante, clamoroso e irreversibile mutamento dell’asse degli interessi terrestri, a partire da quelli politici ed economici. No, tranquilli, mi sono accorto anch’io che al mondo non ci sono solo Europa, Russia e Stati Uniti, ho visto qualche milione di telegiornali, lo so, è uno schema un po’ vecchiotto, sicuramente sommario, da boomer insomma, un pochino incompleto. Ma parliamo di calcio.

Ecco, prendiamo il mio caso – il nostro, se mi permettete. Noi abbiamo l’Inter, abbiamo la serie A, abbiamo la Juve, il Milan, il Napoli, la Roma, il Sassuolo ecc. ecc., abbiamo la Coppa Italia, abbiamo la Nazionale. Poi abbiamo la Champions League, porca puttana. Abbiamo l’Inter, poi il Napoli, il Milan, la Lazio, e poi il City, il Real, il Barça, il Bayern, l’Arsenal, il Benfica, persino lo Young Boys. Poi conosco maniaci che guardano la Coppa America, qualche malato che guarda la Coppa d’Africa, alcuni bipolari che stanno alzati a vedere la Copa Libertadores.

Ma a me, voglio dire, tifosotto medio, che cazzo me ne frega dell’Arabia? Dove trovo il tempo, la voglia, l’interesse, il pathos per seguire il calcio arabo?

Quindi, il risultato è questo (per me, dico): sono spariti dall’Europa una trentina di pezzi grossi del calcio e me ne sono fatto una ragione del giro di una settimana. Il calcio mi piace uguale, i trenta pezzi grossi hanno fatto spazio e trenta pezzi più piccoli ma senza scene di isteria collettiva, anzi. Trenta pezzi grossi del calcio fanno il bagno nella vasca con i dollari, tipo zio Paperone, e giocano a calcio in un’altra dimensione, di cui io non ho notizie: non le cerco, non me ne arrivano. Io guardo l’Inter e sono felice. C’è gente in fila per andare in Arabia l’estate prossima? Prego, dimenticherò anche voi. Una volta la chiamavano damnatio memoriae, io la chiamo andatevene affanculo contenti voi.

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Meravigliosi

La bellezza di questa Inter è che dopo 18 partite stagionali, con un bilancio 13-4-1 (un bilancione, diciamolo), eri ancora lì a cercare la controprova, il test più attendibile, l’indizio inconfutabile, l’esame vero. E 18 partite, di cui alcune bellissime, non erano bastate a darti il senso di una dimensione reale. Non poteva farlo il derby del 5-1 (tanto esagerato da apparire episodico), nè il cammino in Champions (sì, vabbe’, tutto bene, bravi, ma c’erano mica il Real e il City), nè gli scontri diretti in campionato (quali? con chi? diretti? maddai), nè la trasferta gobba (una non-partita a palleggiare contro un pullman, anzi, con un pullman).

Finchè una sera per la 19esima vai a Napoli, dai campioni d’Italia un po’ sgarrupati ma con l’allenatore nuovo e quindi con una cazzimma ritrovata, e vinci 3-0 facendo una partita che, onestamente, dovrebbe avere spaventato 17 delle 18 squadre che hanno assistito al match: nel senso che, se uno vede una partita così – a me, per dire, è successo diverse volte la scorsa stagione vedendo proprio il Napoli – si alza dal divano e dice: va bene, per quest’anno è andata così, complimenti, disdico Dazn, anzi no, lo tengo perchè li voglio rivedere.

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La diciottesima squadra è la Juve, la horror-Juve di Allegri, cui lo spettacolo di Napoli-Inter non sposta nulla, neanche un millimicron. Di corto muso in corto muso, sono due punti sotto di noi. Gli basta ampiamente così. Noi facciamo gli splendidi, loro fanno schifo e sono due punti sotto di noi. E ditemi voi se tutto questo ha un senso. E’ come se Michelangelo fosse in testa alla classifica degli artisti, e due punti sotto ci fosse Ciccio l’imbianchino (500 euro a stanza con fattura, 300 in nero, telefonare ore pasti).

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Ma non parliamo di Juve, parliamo di noi. Abbiamo chiuso il ciclo terribile delle 5 trasferte in 6 partite vincendo l’unica in casa e tre di quelle fuori (Salisburgo, Atalanta, Napoli), pareggiando a Lisbona (partita crazy) e Torino (avversario hugly). Siamo primi in campionato con miglior attacco, miglior difesa (7 gol presi in 14 partite) e capocannoniere. Siamo qualificati in Champions, vedremo se primi o secondi.

A Napoli partitone clamoroso, contro il miglior Napoli di quest’anno, che prende un palo con Politano, si schianta contro un Sommer incredibile e poi si frantuma sotto i capolavori di Cahla e Barella, due gol da sballo totale. E lì la partita è virtualmente finita. Le proteste del Napoli le capisco: fai una gran partita e ne prendi tre, mi sarei incazzato anch’io. Quello su Osimehn era rigore? Boh, penso che essersi rotolato mezz’ora simulando la recisione completa del tendine d’Achille dopo un innocente incrocio di piedi non gli abbia giovato in termini di credibilità. Se per l’arbitro non è azione dubbia, il Var non incide: era capitato anche a noi.

Comunque, ecco, ora siamo con le spalle al muro: la vittoria a Napoli ci certifica che siamo i più forti. Una certezza che può metterci pressione. Oppure no, può darci sicurezza. Bellezza 35, Orripilanza 33, Vacuità 29. Mancano 24 giornate alle fine, il pronostico resta aperto. La Bellezza è caduca, io direi di vivere il momento.


(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Però, per rimanere in tema, sarebbe carino parlare di Inter, di scaramanzie, di vecchi ricordi, di nuove sensazioni, cose così)

(il podcast, che ha ormai ampiamente superato la soglia psicologica dei venti episodi, anzi, anche quella dei venticinque, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Non siete credibili, dai: scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Ma poi non eccedete nei soliti piagnistei, siete VOI che vi escludete da questo angolo di cultura e simpatia)

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