
Per quanto lo possa mai essere uno che da 30 anni bazzica nel mondo del calcio professionistico, ciò che più colpisce di Simone Inzaghi è quanto sia normale. Sfogli decenni di articoli e ritagli e niente, mai che salti fuori un eccesso, una lite, una polemica. Guardi le sue foto di 10, 15, 25 anni prima e niente, è sempre uguale, stesse espressioni, stessa pettinatura (che se non fosse per qualche accenno di ruga, ci sarebbe da tirare in ballo Dorian Gray). E infine lo senti parlare e niente, un rosario di cento vocaboli che si rincorrono, facile prevedere che non finirà nel girone dei grandi oratori o dei medi affabulatori. In quanto essere umano, insomma, Simone Inzaghi è davvero uno normale. (cit.)
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Ma adesso che ha collezionato la sua panchina numero 200 in nerazzurro (quando alla fine della sua quarta stagione mancano ancora due mesi e mezzo) (il Mondiale manco lo conto) (il che dà l’idea della mostruosità di partite che giochiamo ogni anno), ecco, adesso possiamo dire che il normale Simone non è ufficialmente più normale, almeno per noi. Prima di andare in vacanza a stagione finalmente conclusa, Simone Inzaghi (che in questo momento è sesto) diventerà il quarto allenatore di sempre della storia dell’Inter per presenze in panchina (gli rimarranno davanti solo Herrera, Mancini e di poco il Trap); il secondo per presenze nella competizioni Uefa; il terzo nella competizioni internazionali nel loro complesso. Quanto ai trofei, è già ora terzo perchè ne ha davanti solo due: ne basterebbe uno per diventare primo a pari merito con Herrera e Mancini, due per diventare il primo assoluto nella storia.
Continuerà la sua, di storia? Sarà il nostro allenatore anche l’anno prossimo? Non cederà all’ambizione di andarsi a misurare altrove? Magari in un posto dove (tanto per citare uno dei suoi candidi, placidi, teneri sfoghi; l’ultimo, quello di martedì sera) ogni tanto gli facciano un complimento?
In questi quasi quattro anni, per dirla à la Facebook, abbiamo avuto con il nostro Demone una relazione a tratti complicata, rimproverandogli errori e omissioni con una puntualità e una leggera protervia che – forse ha ragione – non abbiamo sempre avuto nel sottolineare i suoi meriti. Tipo l’altra sera, che aveva da giocare un ottavo di Champions certo non impossibile ma comunque insidioso, aveva un po’ di giocatori fuori e altri traballanti ed è riuscito nell’impresa di farci trascorrere una serata tutto sommato serena facendo un turnover quasi occulto in vista di Bergamo. Per un’ora (poi è entrato il Basto) non erano contemporaneamente in campo Lautaro, Barella, Bastoni e Dimarco, cioè quattro nei nostri migliori sei-sette giocatori, quelli cui non rinunceresti mai. Lautaro e Barella non sono nemmeno entrati un minuto, un evento miracoloso. Gli ultimi dieci minuti li ha fatti giocare a due ragazzi all’esordio. Per 90 minuti il capitano è stato Dumfries, uno trattato per un po’ da sottosviluppato (da noi tifosotti) e diventato di recente il Papa Nero (per noi tifosotti). Così, sottotraccia, in un ottavo di Champions comodo ma non scontato, Inzaghi ha festeggiato le sue 200 panchine.
Prima di vincere lo scudetto, il Demone rischiava di passare alla nostra storia come un collezionista di coppette che aveva regalato uno scudetto al Milan. Il che non si può negare, certo. Ma quel che ogni tanto gli piacerebbe fosse fatto notare è ciò che ha messo nel frattempo sull’altro piatto della bilancia: un impianto/sistema di gioco che ci ha fatto venire i lucciconi, noi storicamente abituati all’essenziale; un ritorno all’élite europea, con una finale di Champions e un profilo ormai stabilmente prossimo all’eccellenza (Bayern-Inter è di fatto il quarto di finale più equilibrato della Champions 2024/25, e non è il Bayern a essere sceso di livello); lo scudetto della seconda stella vinto come meglio non si sarebbe potuto, un capitolo indelebilmente eccelso dell’interismo.
E poi c’è un bene immateriale: la gestione del gruppo che ha avuto via via a disposizione, di alto livello ma valorizzato complessivamente con alcuni strabilianti picchi riguardanti certi singoli. In questi quattro anni ha avuto a disposizione un ottimo materiale umano (Lautaro, Barella e Bastoni se li è trovati lì belli e pronti) sapendo guidare certi meravigliosi percorsi di crescita (Calha, Dimarco, Dumfries), sfruttare la valangata di parametri zero (alcuni dati in premessa per persi/moribondi/già morti: l’elenco è lungo) e fare molte volte di necessità virtù. Il tutto sempre con uno spirito di servizio totale, con quel tono da uno che non vuole disturbare e che sembra perennemente passato di lì per caso, tipo quando si presenta ai microfoni nel dopopartita e 90 volte su 100 potresti anticipare quello che dirà parola per parola. Perché è uno normale, in fondo, pur non essendolo per nulla in quello che fa. E come lo fa.
E in effetti queste 200 partite se ne sono andate via in fretta, giocando ogni tre giorni, aspettando frementi quella successiva, in quell’entusiasmo bambinesco che noi tifosotti abbiamo di default e che qualche volta ci fa dimenticare da dove siamo venuti e cosa abbiamo passato. Non c’è nulla di eterno, e tra le cose meno eterne ci sono gli allenatori di calcio. Però spero di vedere ancora per un po’ Inzaghi spuntare dal lato inferiore del televisore mentre si sbraccia e saltella e urla cose e puntualmente esce dall’area tecnica, la sua vera e unica trasgressione tecnica e umana. “Cazzo Simo, ti ammoniscono!”, faccio io ogni volta uscendo dall’area tecnica del mio divano sventolando l’Orociok come un cartellino. Lo ammoniscono. E io ogni volta lo abbraccerei, perché gli voglio bene.
Grande Simone, grande Settore
Anch’io ormai gli voglio bene.
(un pochino anche a te, sect)
“… e non è il Bayern a essere sceso di livello… “.
Bravo, Settore.
Anche tu riesci in modo quasi subliminale a farci contenti.
Complimenti a te e Simone.
E se ci deve lasciare, voglio citare un confratello che ha scritto una cosa triste e dolce assieme : spero lo faccia come Mourinho 😉
E quando dovesse tornare a S. Siro da avversario, ci sarà sempre un coro affettuoso per lui (ma forse farà come lo Special One : si farà CASUALMENTE squalificare, ogni volta 🤗).
Lunga vita (sulla nostra panchina) a Simone Inzaghi! La cui qualità migliore, a mio parere, non è la sua normalità. L’uomo normale è, secondo la definizione del maggiore tra i filosofi, un legno storto, ricco piuttosto di vizi che dí virtù, tutt’altro che un modello ideale di uomo, e anche di allenatore. Direi che la qualità che distingue Inzaghi dagli altri che praticano il suo mestiere è piuttosto la modestia, pari alla sua bravura. Ho sul groppone ormai quasi ottant’anni di vicende calcistiche con allenatori di ogni risma che si son succeduti sulla nostra panchina, tra le più turbolente della serie A ( in una sola stagione addirittura tre allenatori!) ma nessuno capace di cambiare radicalmente il volto della nostra squadra in soli tre mesi, senza squilli di tromba, ma operando in silenzio la sua rivoluzione, dal cosiddetto gioco all’italiana, che Foni aveva inaugurato col primo scudetto del dopoguerra ( e a cui erano rimasti sostanzialmente fedeli tutti gli allenatori , anche quelli più vincenti , che hanno fatto la storia del nostro club) ad una specie di calcio totale, lontano da quello tradizionale, sparagnino, anche se spesso vincente, ma esteticamente tutt’altro che apprezzato dai buongustai del calcio, ad un calcio bello e spettacolare, nei suoi momenti migliori il più bello del continente. Eppure l’eredità ricevuta dal suo predecessore era estremamente scomoda: una squadra con lo scudetto appena conquistato da difendere, ma privata di due giocatori che più avevano contribuito alla sua conquista. Fedele alle sue idee, in pochi mesi , senza pretendere dalla società nulla di costoso, ha dato alla squadra un’impronta totalmente nuova che in questi tre anni di conduzione ha permesso ad essa di gareggiare in Italia e in Europa alla pari con le maggiori del continente e soprattutto ha sfatato un’immagine dell’Inter catenacciara, spesso vincente ma incapace di presentarsi a tifosi e avversari come modello di bel gioco, da affidare alla storia. Inzaghi ci è riuscito. La sua Inter rimarrà nella storia come la più bella, anche se non sempre vincente come avrebbe meritato. E sono felice, in questa ultima fase di vita , per avermi offerto un’immagine della mia squadra quale da sempre ho sognato di vedere in campo, che d’un colpo cancellasse ottant’anni di maldicenze intorno ad una squadra che vince ma esteticamente mai convince per la perfezione del suo gioco. E per questo di cuore lo ringrazio e gli auguro lunga vita alla guida della nostra squadra.
Felice giornata.
L’impressione che ho è strana.
Vedere giocare sta squadra che da marzo 2023 si dimostra la più forte in Italia e tra le più forti un Europa è quasi un paradosso.
Vince, spesso stravince, e praticamente sempre crea un numero di occasioni gol che giustificano ampiamente il risultato. Tutto questo, SENZA UN DRIBBLING CHE SIA UNO.
È disarmante, dai, qualcosa che non si è MAI visto prima.
Poi cerchi di capire e vedi spesso che la linea difensiva è fatta dai tre centrocampisti, mentre un laterale di difesa triangola con il quinto e con un attaccante per poi fare un cross che pesca libero l’altro quinto, con l’altro laterale di difesa e il centrale pronti a raccogliere la seconda palla.
Riconquistato palla sulla nostra trequarti con un attaccante, subito tre quattro giocatori si lanciano in avanti come frecce, e spesso si assisterà a scambi di prima tra loro che ci portano in porta.
Penso sinceramente che non dare degli enormi meriti ad Inzaghi ed al suo staff per il lavoro che sta facendo è roba da matti, poi chiaro che il diverso lo si trova sempre.
Naturalmente il buon Simo avrà anche i suoi difetti (ma attenzione, perché molto spesso non sappiamo le reali condizioni fisiche dei nostri e critichiamo certe scelte non conoscendone i motivi) ma me lo tengo stretto. Molto stretto.
Sono peraltro tranquillo, nessuno in Italia sa meglio di Marotta come si fa per continuare a vincere, lo ha dimostrato con i fatti. Qui è più difficile che a Torino per mille motivi, ma sa come si fa.
Mi associo ai complimenti al Mister per le sue ideali 200 candeline sulla nostra panca.
OT : dopo il dovuto ringraziamento ai macachi per aver privato il Feyenoord del suo più pericoloso attaccante per introdurlo alle delizie del circo rossonero, vorrei dedicare un pensiero a quel simpaticone di Noel Gallagher, che non ha mai nascosto la sua simpatia nei nostri confronti.
Beato lui che tifa per la squadra più forte della Galassia.
Azz…
Come facevi a camminare, con tutti quei “sassolini nelle scarpe” ?!?! 😉
Bel post Settore.
Condivido totalmente lo splendido post e tutti i commenti già fatti. Pensare che quando era alla lazio inzaghi non mi stava simpatico, forse l’ho scritto qualche volta anche qui, ma mi sembrava già che facesse giocare molto bene una squadra teoricamente non così forte. Da quando è arrivato all’inter ha fatto un lavoro incredibile senza neanche prendersi meriti, forse per questo ci sono ancora “interisti” che rimpiangono conte e cianciano di “1 scudetto in 4 anni con la squadra più forte in italia” senza rendersi conto che se la squadra sembra forte è proprio per il gioco dato da lui (date questi giocatori a un mazzarri e chissà che roba brutta ne verrebbe fuori 😓) lunga vita al nostro mister, speriamo di vederlo ancora a lungo uscire dall’area tecnica per far rosicare quelli della “marotta league”!