Classe superiore

Praticamente è andata così: a un certo punto, mi ero autoconvinto che per vincere lo scudetto facesse troppo freddo. Dev’essere una cosa di noi podisti: pioggia più freddo è il peggio che ti possa capitare (il peggio del peggio è: pioggia più freddo più vento) (ma non c’era vento) e niente, mi sembrava una giornata già nata male, una giornata intirizzita, quelle giornate in cui non vedi l’ora di tornare a casa e bòn, un brodino e a letto. Poi ho pensato che era anche lunedì (un tempo, il lunedì era il giorno dell’anti-calcio, il giorno più lontano dalla domenica successiva, una pena). Poi ho pensato che era un derby in casa del Milan, uh, che esagerazione. E tutto insieme mi sembrava troppo. In fondo, che fretta c’era? Lo scudetto è vinto da un pezzo, sono settimane che lo aspettiamo come una cosa già conquistata: mancava solo la data del recapito, la firma sulla bolla di consegna, come certi pacchi di Amazon che quando il corriere non ti trova fanno giri immensi e poi ritornano.

Ascolta “Figli delle stelle” su Spreaker.

Poi quando è iniziata la partita, mi sono detto: vabbe’, ma perchè no? Siamo uomini o caporali? Siamo interisti o milanisti? A cambiare idea mi ha aiutato il Milan, nervoso al limite della crisi isterica fin dal primo secondo, assecondato da un arbitraggio un po’ così – giallo diretto a noi, giallo ogni 15 falli a loro -, un Milan rancoroso, modesto, spaventato, indignato dall’idea di vederci vincere uno scudetto sul loro campo, che poi sarebbe anche il nostro. Il calendario non ti metterebbe mai il Milan o la Juve in una partita-scudetto, a meno che tu non lo possa vincere con cinque giornate di anticipo. Eh, è capitato.

E quindi, alla fine, credo che sia stato il degno finale di un campionato clamoroso. No, dico, pensiamoci bene: lo si poteva vincere, un campionato giocato e dominato così, il campionato numero 20, il campionato della seconda stella, col Torino o il Frosinone? No dai, ci voleva il colpo di teatro. Lo abbiamo avuto. Ce lo meritavamo. Tutto il campionato è stato un colpo di teatro. Se potessimo essere tutti un po’ neutrali, noi tifosi, sono certo che tutta Italia avrebbe goduto dello spettacolo che abbiamo dato per tutto l’anno. Ma è ovvio, se i tuoi avversari giocano così, tu magari abbozzi ma mica ti metti sereno sul divano con un mastello di popcorn. Ti rodi il fegato, ecco. E quindi abbiamo sulla coscienza milioni di fegati.

Milan-Inter non ha detto niente sull’Inter che già non avessimo visto o vissuto. Era una partita strana, rara, unica, senza precedenti. Valeva un solo risultato e lo abbiamo ottenuto. Abbiamo vinto lo scudetto e abbiamo raggiunto la seconda stella vincendo un derby (in trasferta), il sesto consecutivo. Si chiama strike.

E’ il giorno della festa. Tutti ci hanno messo il loro mattoncino, a tutti abbiamo imparato a voler bene. Dovessi scegliere a chi offrire una birra, dico Inzaghi. Per lui è il più bel giorno della carriera, 13-14 mesi fa l’hashtag #inzaghiout rimbalzava sinistro in rete e tra le nostre chiacchiere. Nel frattempo, ha vinto (nell’ordine) una Coppa Italia, conquistato una finale di Champions, vinto una Supercoppa, vinto uno scudetto. Sul podio se la giocano Calhanoglu, Lautaro, Barella e chi volete voi. Ma per me il campione è lui: da #inzaghiout all’Inter (forse) più bella di sempre il passo è stato breve e il merito è tutto suo.

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Campioni, bi-stellati, bellissimi

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La (abbastanza) grande attesa

Se fosse solo una questione di numeri (5-0 gli ultimi scontri diretti, 12-1 i gol) o di classifica (14 punti di vantaggio, +60 e +26 le rispettive differenze reti, no, per dire) o di status (noi belli, loro brutti e stanchi) o di allenatore (noi il Demone angelico di Piacenza on fuckin’ fire, loro il Rancoroso pretino di Parma dead man walking), si tratterebbe solo di scegliere il ripiano del frigo dove mettere in fresco lo champagne o di darsi appuntamento alla tale ora al tal punto con l’autista del pullman scoperto. Ma naturalmente è un derby, la classica partita che – ti piaccia o no – spesso rimescola le carte, secondo quella regoletta immateriale a cui fai ricorso quando sei indietro o che ti agita il sonno quando sei davanti.

Ascolta “In ordine alfabetico” su Spreaker.

Poi c’è quella cosa lì dello scudetto e della seconda stella. Ecco. In fondo – senza la questione stelle, e senza la questione scudetto, sarebbero soltanto novanta minuti di una partita di calcio, che se non fosse un derby la Snai ci darebbe per iper favoriti, che se non fosse una trasferta non ci sarebbero problemi (che poi, scusa, che problemi abbiamo mai avuto in trasferta?). E quindi alla fine ricapitoli: dunque, se ho capito bene ci giochiamo scudetto e stella in un derby in casa del Milan. Giusto?

No, vabbe’: non è meraviglioso?

Per fortuna il calcio ci offre ancora questi snodi di destino e queste robette di storia, di bandiere, di sudore, di sangue, sennò sarebbe una cosa noiosissima, che una qualsiasi intelligenza artificiale confezionerebbe a uso e consumo del popolino. Detto questo, non ci trovo nulla di paragonabile all’attesa delle semifinali di Champions di un anno fa. Allora sì che c’era da impazzire. Stavolta, francamente, no. E’ “solo” un derby con una strana posta in palio. Farebbe piacere doppiamente vincerlo. In caso contrario, la posta in palio si sposta di 5 giorni più in là. Per il Milan, conta così tanto vincerlo? Sarebbe giusto per farci un dispetto – ci sta -, mica per salvare una stagione. E per noi, conta così tanto perderlo? Ma no, cosa vuoi che conti? Poi ci mancherebbero 5 partite con 11 punti di vantaggio (sbadiglio). Sarebbe giusto quell’incazzatura per un dispetto (epocale) che non facciamo ai cugini, chissà quando ci ricapita.

E quindi?

E quindi vinciamolo. Sarebbe una storia da raccontare, un giorno: “Oh, ti ricordi quando abbiamo vinto lo scudo in casa del Milan? Figata!”. Ne abbiamo già tantissime, di storie, ma una in più non fa mai male. Mi arrivano sul telefono i video da Appiano Gentile, c’è un sacco di gente (migliaia, a Milanello erano in 50) non che non vede l’ora. Ah beh, nemmeno io. Vinca il migliore. Forza Inter.

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(No) Nasti boy

Stavi tanto bene al naturale, non capisco perché rifarsi così il seno.

“Perché per quanto mi riguarda le bocce grosse sono belle. De gustibus, non vedo l’ora di rifarle nuovamente”.

E’ pomeriggio, faccio zapping tra Sassuolo-Milan, Liverpool-Crystal Palace e Tsitsipas-Ruud – quelle tipiche situazioni in cui poi a un certo punto a) ti vergogni b) non capisci un cazzo di nessuno dei tre eventi – e intanto guardo il sito della Gazza (quindi, riassumendo, sto facendo quattro cose) (per noi maschi è un vanto). E’ qui che mi imbatto in un’interessante intervista di ben due domande a Chiara Nasti, moglie di Zaccagni. Anzi no, non è un’intervista: è una selezione. Cioè, vengono riportate due domande fatte dai follower alla loro influencer preferita (l’altra domanda era: avete scelto il nome della piccolina?).

Ascolta “In ordine alfabetico” su Spreaker.

Cioè, riassumendo: il più importante e storico giornale sportivo italiano, nella sua sezione Golssip (voglio morire), copia due botta e risposta su Instagram e ne fa un articoletto dal titolo “Chiara Nasti: “Seno rifatto? Per me grosse sono belle. E mia figlia si chiamerà…”. La Gazza. Le bocce grosse sono belle. La Gazza.

Ma perchè dico questo?

Perchè stiamo tutti cazzeggiando. Noi e la Gazza. La Gazza, non so perché. Noi, perchè è umano. L’ho già detto e lo ripeto: assegnateci lo scudetto, è solo un pro forma. Noi ci impegniamo a mandare in campo la migliore squadra da qui alla fine. Ma voi dateci lo scudo. Perché stiamo perdendo tempo? E’ tutto così deciso che un calo di testa – che poi si ripercuote anche sulle gambe – è il minimo che possa accadere. Cioè, oggi abbiamo influito nella lotta per la salvezza. Fossi nel Frosinone, farei ricorso: “Assegnate lo scudetto all’Inter per una maggiore regolarità del campionato”. Magari ci pensa il Codacons.

Ascolta “Il casello di Agrate” su Spreaker.

Oggi ho visto due partite molto umane. Molto scoccianti e molto umane. Il Liverpool, dopo averne superate di ogni in Premier da inizio campionato – vittorie impossibili, gol al 99′, partite portate a casa nonostante dieci infortunati, un allenatore che ha già detto che se ne va perché non ce la fa più – adesso si sta incartando su se stesso a pochi passi dalla meta. Noi possiamo permettercelo, loro no. Ma l’origine dell’incartamento è la stessa, è la testa che a un certo punto recalcitra. La loro, per troppa pressione. La nostra, per troppo poca. Quando le vinci quasi tutte, è normale. E’ umano.

Avevo titolato il pezzo di Udinese-Inter “Belli, sporchi e cattivi” perché così eravano stati fino all’ultimo istante della scorsa partita. Oggi, col Cagliari, siamo stati belli a piccoli tratti, sporchi quasi mai, cattivi ancora meno. L’indugiare sulla nostra bellezza, l’iniziare intimamente a festeggiare in anticipo, diventare troppo puliti e troppo buoni, sono cose che non puoi permetterti quando dall’altra parte hai una squadra che gioca con una certa urgenza di punti.

L’urgenza di punti l’avremmo anche noi – quelli per vincere lo scudetto -, però tutta ‘sta mosceria di questo mega vantaggio e della diretta avversaria che ne prende tre a Sassuolo, ecco, alla lunga ci ammorba.

E comunque – giusto per essere un po’ cattivo, almeno io – il gol del 2-2 non era da annullare? Il fallo di mano sarà anche stato involontario, però ha influito sull’azione, porca puttana se ha influito. Forza Inter. Voglio andare al mare.


(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #59, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Cioè, tifate Inter, state per vincere il vostro ventesimo scudetto: avete un sacco di argomenti)

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Siete cripto-milanisti? No, chiedo)

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Belli, sporchi e cattivi

Quando vinci al 95′, il giochino del “cosa avresti scritto se” è molto realistico. Io, per esempio, fosse finita al 94′ avrei scritto che era un peccato – quasi un mistero, un mistero buffo come il gol che abbiamo preso – non aver vinto una partita in cui tu fai 16 tiri e gli altri 2, in cui tu fai il 78% di possesso palla e gli il 22%, in cui tu tiri 8 corner e gli altri 0, che queste cifre autorizzano a parlare di sfiga, e autorizzano anche a non farsi troppi film e troppe seghe mentali sulla partita, sul momento, sulle prospettive, niente, è andata così perchè ogni tanto le cose vanno così, pace, vinceremo lo scudetto una settimana dopo.

Poi, al 95′, abbiamo segnato.

L’esultanza tra campo e panchina, dolcemente esagerata, ha detto tutto. Ha detto della voglia che abbiamo, della fatica fatta per questa vittoria (la 26esima in 31 partite: ragazzi, godiamocela, chissà quando ci ricapita), dell’attesa squassante di una festa e di due stelle che non vediamo l’ora di poter mostrare all’Italia e al mondo intero.

Ascolta “Bitti o bitto?” su Spreaker.

Non era facile tornare da Udine con tre punti, con tutta ‘sta pressione, tutta ‘sta stanchezza, e con tutta la disperazione che ci ha messo l’Udinese per cercare di uscire indenne dal confronto. Le statistiche dipingono l’intensità della nostra partita. Certo, non dicono tutto su qualche passaggio a vuoto, qualche distrazione e qualche imprecisione, perché un pochino di annebbiamento ogni tanto lo proviamo. Non sono tutti in formissima, i nostri. Ma il meccanismo gira ancora bene nel complesso: crea, promette, realizza. Vince.

Due gesti:

Frattesi (come in Inter-Verona) la risolve in pieno recupero, arrivando per primo (e per distacco) su un pallone vagante. Non giocando quasi mai da titolare, è al settimo gol stagionale. Si conferma per quello che ci aspettavamo fosse, però giocandosi tutto negli spicchi di partita che gli vengono concessi. Ha sposato la causa con grande serietà. E’ una delle piacevoli sorprese di questa meravigliosa stagione

Mkhitaryan ha evitato il secondo gol dell’Udinese con un recupero pazzesco, preciso, chirugico dopo quaranta metri di corsa. Ha 35 anni e tre mesi, è il giocatore di movimento più schierato da Inzaghi (sempre, raramente sostituito). Al mister gli puoi togliere quasi chiunque. Lui è uno di quelli che mette sempre. Vivere una stagione in perenne stato di grazia a quell’età è un piccolo miracolo che andrebbe sempre celebrato.

Volendo, siamo ancora in corsa per tutti i record possibili. Il record di punti assoluto e il record di punti nostro. Stiamo volando a quote così alte che nemmeno le gufate sono più così convinte, si disperdono nell’atmosfera. La partita di Udine – a parte un gol grottesco, lo scambio di sguardi tra Sommer e Dumfries sono quelle cose che vedi al campetto – ci dice che siamo ancora belli e, se serve, possiamo essere sporchi e cattivi. Manca poco, manca sempre meno. Grazie Inter.


(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #58, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Cioè, tifate Inter, state per vincere il vostro ventesimo scudetto: avete un sacco di argomenti)

(il podcast , oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Meritereste di essere legati a una sedia con un podcast sulla Juve in loop nelle vostre cuffie. Poi vediamo come va a finire)

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Expected points

(porta che si chiude, rumore di passi, fruscìo di fogli appoggiati sul tavolo)

Buongiorno

(silenzio, un colpo di tosse)

Una équipe di scienziati

(brusio)

della Gazzetta dello Sport

(voce dalle prime file) “No scusi professore, lei si ripresenta dopo tipo otto anni e cita una équipe di scienziati della Gazzetta dello Sport? Ma che cazzo, mi permetta. I miei genitori hanno pagato una retta della madonna. Cosa gli dico quando torno a casa? Loro si immaginano che io sto qui a consultare Science e Alberto Angela e invece…”

(altra voce dalle prime file) “Perdona se ti interrompo, collega. Tra l’altro anche otto anni fa lei, prof, aveva citato una équipe di scienziati della Gazzetta dello Sport. Lei gioca con i nostri sentimenti e con i valori consolidati di un’intera comunità accademica. Cioè, non dico Harvard, santa madonna, ma la Gazzetta dello Sport… Non le pare una inutile provocazione?”

No. Sono un uomo limitato, senza interessi e mi abbevero a questa fonte. Voi no?

(silenzio)

A-ehm. Dunque. Una équipe di scienziati della Gazzetta dello Sport ha stabilito che la Juve non sta andando poi così male, tanto che in realtà dovrebbe avere solo 6 punti di distacco dall’Inter invece dei 20 che indica la classifica vera.

(voce da metà sala) “Scusi prof, ma io proprio il giorno prima ho letto sulla stessa fonte a cui lei si abbevera…”

La Gazza?

(voce da metà sala) “… sì, la Gazza, che la Juve fa cagare a spruzzo dalla fine di gennaio. 7 punti in 9 partite, solo in tre hanno fatto peggio in Serie A. Quindi, se contasse la classifica dalla fine di gennaio all’inizio di aprile – e lo volesse Iddio, caro professore – la Juve retrocederebbe. Per cui, maestro, mi permetto di essere quantomai perplesso di fronte a questa cosa che la simpatica società sabauda dovrebbe avere solo 6 punti di distacco invece degli attuali 20, tutti invero meritati”.

(urla dal fondo) “Uè, bello, ma come ti permetti di parlar male della Juventus? Stiamo attraversando un periodo storico complicato, una fase di transizione che…”

(voce da metà sala) “Ah sì? Beh, perchè non vi iscrivete al campionato di Andorra che è più semplice, così mentre affrontate la transizione vi levate finalmente dal cazzo e…”

(urla dal fondo) “A pezzo demmerda! A Marotta lìgghe! Mavvatteneaffan…”

(fortissimo brusio, entrano due bidelli in livrea)

Portatelo via.

Ascolta “La pizzeria di Barbadillo” su Spreaker.

“Dove, professore?”

In cella di rigore.

(forte brusio)

Bene. Lo studio della Gazza, dicevo, si basa sugli expected points.

(voce dalle prime file) “Scusi, ci potrebbe spiegare?”

Ci provo. Allora, praticamente, ci sono questi smanettoni

(voce femminile dal fondo) “Dio mio professore, ma come parla? A quali termini così rozzi ricorre? E’ magnifico, lei trasuda testosterone, starei ore ad ascoltarla e…”

(voce maschile dal fondo) “E stai zitta! Lasciagli spiegare cos’è ‘sta stronzata, sennò perdo il treno e me lo rimborsi tu, sciampista perbenista”.

Esca.

(brusio, rumore di passi)

(voce femminile dal fondo) “Grazie professore, lei sì che è un uomo vero. Mi sento valorizzata come donna e come sua alunna, oltre che come rappresentante della galassia femminile tuttora alla ricerca di una sua…”

(voce maschile dal fondo) “Ok, adesso muta”.

(brusio)

Allora, dicevo, ci sono questi smanettoni che analizzano le singole partite attraverso le singole azioni, in particolare i singoli tiri fatti e subiti, anche i singoli assist, poi pigiano un bottone, fanno partire delle simulazioni multiple e ne ricavano un rendimento presunto delle varie squadre, con i gol e quindi con i punti che avrebbero meritato di avere se quello che avevano prodotto in campo avesse avuto l’esito migliore. In base a questo studio, basato dunque sugli expected points (xPts), cioè i punti attesi, a loro volta prodotto dello studio sugli expected goals (xG), i gol attesi (un dato che misura la probabilità di un tiro di diventare un gol), ma anche i gol subiti attesi (xGa), gli assist (xA), ma anche gli xGOT, cioè i gol attesi su tiro nello specchio della porta (un dato che può essere utilizzato per valutare l’effettiva pericolosità di un tiro in porta), e poi anche…

(voce dalle prime file) “Scusi?”.

Mi dica.

(voce dalle prime file) “Mi perdoni. Lei mi vuole dire che c’è qualcuno che calcola tutto questo e ne ricava che la Juve invece di 20 punti di distacco dall’Inter ne dovrebbe avere 6?”

Sì. A oggi, questa classifica sancisce che l’Inter ha 13 punti in più di quelli che dovrebbe avere, e la Juve uno in meno.

(voce dalla prime file) “Guardi, lasciamo perdere un attimo la Juve. Ma l’Inter? Cioè, con tutto quello che abbiamo fatto finora dovremmo avere 13 punti in meno? Ma chi cazzo lo stabilisce? Ma cosa dovrebbe mai fare l’Inter per giustificare 14 punti di vantaggio sul Milan e 20 sulla Juve? Più di quant non abbia fatto, dico. Ma lei lo vede quante expected fuckin’ things facciamo in una singola partita? Cioè, 25 tiri, 15 corner, manteniamo un possesso palla del 60%, ok? E quelli ci rimontano in classifica? Ma che cazzo di calcoli sono? Ma che cazzo è ‘sta roba? Ma nessuno calcola il xQFCLJ?”

Cos’è il xQFCLJ?

(voce dalle prime file) “Quanto Fa Cagare La Juve, expected”.

(ovazione, applausi, esplode un petardo)

Venga qui.

(rumore di passi)

(sottovoce) Le do 30 e lode, ma non qui. Voglio mantenere una certa credibilità tra studenti, colleghi docenti, personale amministrativo e società civile.

(sottovoce) “Grazie professore, l’ho sempre stimata”.

(rumore di passi)

Domande?

(voce maschile dal fondo) “Sì, io. Dunque, mi faccia capire. Lei mi vede, giusto?”

Sì.

(voce maschile dal fondo) “Sono maschio, moro di capelli, nè alto nè basso, nè bello nè brutto. Giusto?”

(brusio)

Sì.

(voce maschile dal fondo) “Ora, se io le dico che ho delle expected belle tette, che ho un expected bel culo, che ho degli expected bei capelli biondi, che ho degli expected begli occhi azzurri e sono complessivamente una expected bella figa, significa che io sono Jennifer Lawrence? Pur essendo lo sgorbio che sono? Se la Juve, che fa schifo al cazzo, può vantare una reputazione expected, io non posso dire che dal punto di vista delle aspettative, e pur avendo il pene, sono Jennifer Lawrence expected?”

(applausi, ululati, qualche fischio)

Esca.

(rumore di passi)

Anzi no, venga qui.

(rumore di passi)

(sottovoce) Non mi voglio esporre troppo ma vorrei dare trenta e lode anche a lei. Passi dopo nel mio ufficio, le aggiorno il libretto on line.

(sottovoce) “Grazie professore. Posso esserle utile in qualche modo?”

(sottovoce) “Sì, se intanto fa un salto alla Snai mi giocherebbe dieci euro su Young Boys-Grassophers? Cinque euro No gol, cinque euro risultato primo tempo X. Poi le do i soldi”.

(sottovoce) “Certo prof”.

Altre domande?

(un reggiseno plana di fronte alla cattedra)

(voce femminile dal fondo) “Professore, mi expected fuori? Nutro delle aspettative sul nostro futuro insieme, saprei renderla felice. Non ha bisogno di una assistente h24, una dottoranda cui trasferire il suo sapere?”

No, odio queste derive del baronato.

(voce femminile dal fondo) “Ma perchè è sempre così rude con me?”

(voce maschile dal fondo) “Perché hai rotto il cazzo!”

(brusio, risate)

(voce femminile dal fondo) “Oh, ma come ti permetti? Tu e questo cazzo di patriarcato di merda, ma vattene aff…”

(urla, rumori di sedie spostate, insulti sessisti, accenni di rissa)

(voce da metà sala) “Professore, posso fare una tesi sugli expected gol di Arnautovic in Inter-Atletico Madrid?”

Ne possiamo parlare. Arrivederci

(rumori di rissa, sputi, bidelli che rientrano, qualche applauso)

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PuntE di vista

Oggi ho letto un curioso articolo sul Corrierone, dal titolo “Punte di domanda”, dedicato a Mbappè, Haaland e Lautaro. Questi tre attaccanti della top class europea, finora autori in totale di 93 (novantatrè) gol, non stanno passando – fa rilevare il Corriere – il migliore dei rispettivi momenti. Lautaro, come sappiamo, non segna da più di un mese. Mbappè nell’ultima partita è stato sostituito, s’è incazzato con il mister ma il suo sostituto ha segnato il gol vittoria. Haaland fa una delle sue periodiche non-partite e Roy Keane, commentatore in studio, dice che “a volte sembra un giocatore di quarta serie”.

Diciamo che il tema può essere sfizioso. Mettici che Mbappè s’è rotto i coglioni del Psg e non vede l’ora di andare al Real, che Lautaro tratta faticosamente per il rinnovo e si dibatte tra i sensi di colpa del rigore sbagliato in Champions, e che Haaland continua ad avere un rendimento un po’ così nelle partite che contano. Ok, detto questo: tutti e tre sono gli attuali capocannonieri del loro campionato. In particolare Mbappè, in stagione, è a quota 38 gol in 38 partite. Vabbe’, insomma: ho visto giocatori peggiori e crisi peggiori.

E quindi la mia mente bacata e selettiva da appassionato di calcio ha azionato il rewind ed è tornata a domenica, giorno di Pasqua, quando la mattina ho aperto la Gazza e ho trovato questo titolo:

Ricapitoliamo. Secondo il quotidiano più diffuso in Italia, quei tre là sopra (93 gol in tre) stanno facendo cagare e sono in crisi e moriremo tutti, noi e loro, ma soprattutto loro. Secondo il quotidiano sportivo più diffuso in Italia, il milanista Leao è oro.

Perchè è oro, secondo la Gazza? Perchè in Fiorentina-Milan ha fatto un assist e segnato un gol nella vittoria 1-2 dei cuginastri. Voi li avete visti, vero? Nell’assist di Leao, Milenkovic scivola a un metro dalla porta che neanche Buster Keaton nelle comiche di un secolo fa. Nel gol di Leao, tre difensori della Fiorentina si allineano come i pianeti (“prego, vai pure, noi seguiamo una nostra direttrice indipendente dal tuo cazzo di contropiede”) e il portiere (roba che un ufficio inchieste serio avrebbe aperto un fascicolo) esce dirigendosi altrove, cercando forse di opporsi al gol dell’amico immaginario di Leao (che però non viene servito da Leao) (e al quel punto avrei segnato anch’io, e la Gazza avrebbe titolato “Oro Settore”) (figata).

Ascolta “Caramba!” su Spreaker.

E’ stato, questo gol ridicolo, il quinto in campionato di Leao. Il quinto. Cinque. Cinque gol, capite? La superstar del Milan ha fatto 5 gol in campionato. Mbappè, che ne ha segnati 38 in 38 partite in stagione, secondo il Corriere è in un momento di appannamento. Lautaro, nel campionato in cui Leao ne ha segnati 5 (in 26 presenze), non segna da un mese ma è a quota 23. Però, è Oro Leao.

Ora, io lo so come vanno le cose in un giornale. Alla Gazza disegnano una pagina in cui nel titolo di Fiorentina-Milan (che finisce alle 22,40, se va bene) ci stanno una foto e due (2) parole. Al fischio finale, un caporedattore dovrà comunicare al grafico che foto mettere e che due parole mettere nel poco tempo che resta per assemblare il titolo e finire la prima. Vince il Milan, Leao fa assist e gol: foto di Leao, “Oro Leao”, e via così, anche stasera l’abbiamo sfangata, dammi il cinque, “Oro Leao”, bella lì.

Leao, 5 gol in campionato.

Avesse giocato l’Inter, e avesse segnato il gol-vittoria Lautaro cosa sarebbe mai successo? “Oro Lautaro” ci sarebbe stato, ok. Ma complichiamo un po’ la situazione. Ora che due azioni casuali di un giocatore che ha segnato 5 gol in campionato vengono definite “oro”, se la prossima partita fosse risolta da Lautaro (capocannoniere quasi con il quintuplo dei gol di Leao) come ci si dovrebbe comportare per rispettare le proporzioni?

Fossi io il caporedattore della Gazza, comunicherei al grafico il seguente titolo:

tutto l’oro della Zecca di Stato e tutto l’oro dei palloni d’oro già assegnati e opportunamente fusi in un grosso lingottone e tutto l’intero stanziamento del Pnrr previsto per l’Italia

LAUTARO

Al che il grafico mi direbbe: “Non ci sta”. Perché poi la questione base è questa: oro è corto, tutto l’oro della Zecca di Stato e tutto l’oro dei palloni d’oro già assegnati e opportunamente fusi in un grosso lingottone e tutto l’intero stanziamento del Pnrr previsto per l’Italia è lungo e non ci sta. E quindi Leao e Lautaro (uno 5, l’altro 23 gol) sono la stessa cosa. Anzi, quello in crisi è il secondo. Il primo è oro.

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Meno otto

Ecco, inizia a prendermi la malinconia. Quando più ci ricapiterà un’annata in cui la casistica ci trova sempre sul pezzo? Vinci prima delle feste, vinci dopo le feste, vinci prima delle pause, vinci dopo le pause, vinci prima della cena di Natale, vinci dopo la cena di Natale, vinci con questa, vinci con quella, vinci in casa, vinci in trasferta, vinci gli scontri diretti, vinci gli scontri non diretti. Alla fine resta da battere il Sassuolo per rendere questa stagione forse irripetibile. E quindi – l’ho già detto? – mi prende la malinconia.

E mi prende l’impazienza. Non accetto che le partite dell’Inter possano essere minimamente tirate o dolcemente in discussione. Non accetto che durino 90 minuti più recupero. Non accetto il recupero. Non accetto che ci tocchi giocare: siamo a no superiori? Eddai, dateci ‘sta seconda stella d’ufficio, per manifesta superiorità. Perchè sottoporci a questa tortura? Tipo temere l’Empoli. O che non basta l’1-0. O che non basta il 2-0. Non possiamo chiuderla qui?

Ascolta “Caramba!” su Spreaker.

Sono sempre più convinto che sul campionato – su questo campionato, quello della possibile seconda stella – abbiamo concentrato così tante energie che alla fine li abbiamo stritolati tutti (la Juve stasera è a meno 20 punti, e a 29 gol fatti in meno; il Milan è a meno 14, e a 20 gol subiti in più) (dai, non è serio). Sul resto abbiamo cercato di dare il meglio, ma senza metterci la stessa ferocia. In Champions abbiamo giocato otto partite e, secondo me, solo un vero partitone pirotecnico (Inter-Benfica). In campionato di Inter-Benfica ne abbiamo giocati tipo 10 o 12. Essere usciti dalla Champions, in un certo senso, è stato coerente: eravamo forti ma non fortissimi, serviva essere fortissimi.

In campionato non vincevamo da ben una partita, una crisi che ci ha portato a pensare al peggio. E’ giusto stare così? Alla Figc ne fanno di ogni: non possono darci lo scudo per decreto e piantarla lì? Le prossime otto giornate potremmo organizzarcele così, con feste scudetto e sfilate in pullman, premiazioni, celebrazioni: e invece no, ci fanno giocare tre volte su quattro di lunedì, una roba così balenga che già sento salire quel nervoso che sfocia della malinconia. Appena finisce il campionato, chiudo con il calcio e mi dedico a occupazioni alternative. Passeggiate, giardinaggio, olimpiadi. Il primo pallone che mi rotola vicino, lo buco.


(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #54, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Cioè, tifate Inter: avete un sacco di argomenti)

(il podcast , oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Ma che schifo, dai)

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Il difensore dello Stato libero di Bananas

Va bene, mi arrendo, ho perso. Chiedo scusa ad Acerbi, Juan Jesus, a Martin Luther King e al Ku Klux Klan. Il mio idealismo a volte mi prende un po’ la mano: d’accordo, non pensavo di poter risolvere la questione del razzismo da Zio Tom ai giorni nostri con la condanna esemplare di un difensore centrale della mia squadra del cuore (che mi sta pure simpatico e ammiro molto), ma avrei considerato con interesse una decisa ed esemplare presa di posizione del mondo del calcio – una delle entità più farlocche in natura, gentaglia che giuoca con i nostri sentimenti e i nostri portafogli – su una questione attuale, eterna e irrisolta.

E’ andata male – parlo per me, eh? – E niente, pace, come conseguenza diretta avremo un centrale da schierare regolarmente al centro della difesa nel partitone con l’Empoli, ma non potremo fare lezioni di educazione e inclusione alle giovani generazioni citando il caso Acerbu-Juan Jesus che, non essendo concessi ricorsi, passa direttamente agli archivi.

Ascolta “Save the lambs” su Spreaker.

Come purtroppo mi aspettavo, il 90 per cento degli sportivi si è diviso su questioni accessorie invece che dedicarsi al tema principale, se cioè sia giusto nel 2024 dare con leggerezza del negro a una persona di pigmentazione non caucasica. E se sia giusto, avendolo fatto, passarla liscia. Le questioni accessorie a me non interessavano proprio – mi ero detto: guardo la luna, non il dito – ma hanno prevalso nettamente: non ci sono prove, la parola dell’uno contro quella dell’altro, il labiale non si capisce, nessuno ha sentito, Acerbi è mica razzista, eccetera eccetera… Metti tutto questo in mano alla Giustizia sportiva e bòn, la questione è risolta.

Mi ero sentito sottoporre questa tesi, durante una delle centinaia di chiacchierate delle ultime ore: non ci sono prove, se condannano Acerbi senza prove sarà sufficiente che uno in campo dica che l’altro gli ha dato nel negro per fare scattare espulsioni e lunghe squalifiche. Tu vuoi proprio questo, Setto’?

Al che ora ribatto con questa tesi: sarà sufficiente non urlare e coprirsi la bocca per dare nel negro a chiunque, impuniti. Tu volere questo, buana?

Mi spiace un po’, perchè per 9 giorni siano stati costretti a parlare di razzismo ma di questi 9 giorni di dibattito intenso non rimarrà nulla. Io speravo che passasse il messaggio che dare nel negro a un altro è una cosa pessima, squallida, anacronistica. E speravo in una pena esemplare perchè da qualche parte – tipo dalle pene esemplari, appunto – bisogna pur partire. Le battaglie culturali hanno necessità di un punto d’appoggio. Oh, siamo riusciti a vietare il fumo al bar, al cinema, al ristorante, in treno, sull’aereo… sembrava la cosa più impossibile della storia del genere umano, invece è successa. Pensavo si potesse fare qualcosa con gli insulti razzisti. Niente, è andata così, mi ritiro in buon ordine.

Resta un po’ di amarezza mista a un risolino sarcastico. Acerbi è stato assolto dopo essersi difeso affermando di avere detto a Juan Jesun “ti faccio nero”. E niente, mi è venuto in mente il nostro Parlamento quando confermò con una votazione in aula che Ruby era la nipote di Mubarak. Era il 27 maggio 2010, noi cinque giorni prima avevamo regolato i conti con la Storia. E adesso, cinque giorni dopo questa sentenza, in perfetta armonia con i fatti di 14 anni fa, possiamo tornare a dedicarci alla nostra missione bi-stellare. Meglio. Perchè i dibattiti sui massimi sistemi, ecco, non ci vengono benissimo. Come categoria – i tifosotti -, intendo.


(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #54, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Siete tifosi della squadra meno razzista dell’universo: cosa volete di più? Comunque ci sono dibattiti aperti su temi fondamentali del tipo: quale orario preferite per le partite? E quale invece vi fa cagare? Quale scaramanzia adottate prima della partita? E quanto garantisti sareste stati se Juan Jesus l’avesse insultato Theo Hernandez?)

(il podcast , oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Ma vi perdete delle cose che manco vi immaginate)

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I silenziosi fratelli del mondo

Sono cose che succedono, prima si erano strattonati, lui lo ha provocato, c’è chi fa di peggio, non intendeva di dire quello, è trash talking no?, in Italia in fondo non c’è razzismo, vabbe’ stavano giocando a pallone, i problemi sono altri, ce la vogliono far pagare, eh sì certo la Marotta League, i calciatori sono dei minus habens, in Italia in fondo siamo tutti razzisti, ma non avevi detto che? sì ma intendevo che.

(è lei che lo è andato a cercare, è per il troppo amore, lei si vestiva da zoccola, l’uomo è cacciatore, ma che sarà mai?, se stava a casa non succedeva niente, tanto a voi basta aprire le gambe, chissà che scassacazzo era, lei voleva lasciarlo, lui non poteva accettarlo, vabbe’ così impara a scopare con un marocchino)

Ah, e comunque “negro” è la parola più etimologicamente corretta. Anche Edoardo Vianello in “Siamo i watussi” diceva chiaro e tondo che “Nel continente nero / Alle falde del Kilimangiaro / Ci sta un popolo di negri / Che ha inventato tanti balli” e quindi…

Ascolta “INTERvallo di alto gradimento” su Spreaker.

E quindi stop. A un certo punto bisogna dire basta. Bisogna imporselo. Decidere che non c’è nulla da giustificare in un determinato comportamento o nell’uso di una parola invece di un’altra. Piantarla di andare alla ossessiva ricerca di attenuanti o di sfumature che possano ammorbidire la cosa. Perchè ammorbidirla? Ci eravamo ammorbiditi quando ululavano a Lukaku? Siamo antirazzisti a fasi alterne? Negro, nel 2024, non si dice. Insultare una persona di colore chiamandolo negro, nel 2024, è una cosa triste, il segno – uno dei tanti, per carità – del tempo che a volte passa invano. Facciamo la raccolta differenziata, abbiamo inventato i sacchetti biodegradabili, i circhi non fanno più i numeri con gli animali, i disabili hanno parcheggi dedicati, però ogni tanto diamo del negro a qualcun altro. Possiamo migliorare: ecco, facciamolo.

Ascolta “Le parole sono importanti” su Spreaker.

Spiace parecchio che sia capitato ad Acerbi, uno che personalmente avevo eletto a simbolo dell’Inter dello scorso anno, uno serio, uno che sa cosa vuol dire la sofferenza. Potrebbe essere un’attenuante, ma non ce ne devono essere purtroppo. E’ una storia un po’ deprimente, gestita malissimo. Poteva finire domenica notte e invece è durata tanto, troppo, con un effetto domino disastroso. Se dopo tre giorni la difesa è “Veramente gli ho detto ti faccio nero”, beh, che dire? chiudiamo tutto e andiamo a casa. “Ti faccio nero” lo dicevano nei western di 50 anni fa. L’ultima persona ad avere detto “Ti faccio nero” forse è stato Bud Spencer in “Altrimenti ci arrabbiamo”. Io farei nero quello che ha consigliato Acerbi in questi interminabili tre giorni (ops, potrei passare per un violento. Non lo sono, ho i testimoni).

E’ una vicenda così sconclusionata che non può nemmeno essere usata da case history così com’è, per farne una lezione a scuola, per dire. Se ha sbagliato Acerbi ha sbagliato anche Juan Jesus, la vittima, con quel tira e molla di indignazione e perdono a stretto giro e per aver definito “cose da campo” un insulto razzista. Perchè è proprio questo il messaggio che non deve passare: che in una partita ci si può dare nel negro in un contesto di impunibilità in quanto “cose da campo”. Minchia, a questo stiamo ancora? Del resto, siamo un paese in cui puncicate, bombe carta, devi morire, forza Vesuvio e motorini lanciati dal secondo anello erano “cose da stadio” fino a non molto tempo fa. Pochi giorni fa Maignan in Udinese-Milan, al centesimo “negro di merda” urlatogli dietro la porta, si è dovuto incazzare. A questo stiamo ancora, sì.

E spiace un po’ che la società dei Fratelli del mondo, in tutto questo casino, abbia scelto il silenzio. Pensavo che fosse per accertare bene i fatti, ma se dopo tre giorni è stato partorito solo un “Ti faccio nero” le mie convinzioni vacillano. Spiace, perchè è come l’antirazzismo di cui sopra. Non si può essere Fratelli del mondo a fasi alterne. E’ tutto molto semplice: Acerbi (ci dobbiamo ancora aspettare che chiarisca?) va sanzionato, ci si deve scusare (Acerbi per primo, e la società con lui), ci si deve impegnare perchè queste cose non si ripetano e siano di insegnamento per le generazioni a venire. I ragazzi devono imparare che il razzismo è una montagna di merda, e che se fai il razzista stai fuori. Noi vogliamo la seconda stella, non fare figure del cazzo. E non mi riferisco solo ad Acerbi, il cui comportamento è totalmente da censurare ma che possiamo sforzarci di contestualizzare in quel prato verde in cui succedono cose turpi tra maschi rozzi. Mi riferisco alle 72 ore successive.

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