“Ma che coooosa abbiamo vistoooo?”
Niente di che. Abbiamo visto cos’è il calcio, o lo sport in generale: le cose non vanno sempre nè secondo pronostico nè secondo i valori e la qualità espressi in campo, ma prendono direzioni impreviste e pieghe inaspettate. Ah, e un’altra cosa: le partite finiscono solo quando l’arbitro fa tre fischi intermittenti, l’ultimo un pochino più lungo. E’ successo così a Milano e a Roma stasera, era successo a Bergamo ieri. Dopo tutta ‘sta centrifuga di eventi e di emozioni, dopo 270′ di montagne russe, le prime tre della classifica è come se non si fossero mosse di un millimetro. Non hanno vinto nè perso, tutte e tre. Dopo sette vittorie di fila, il Napoli viene raggiunto al 92′ dalla Roma e pareggia. L’Inter, che in campionato non perde dal 22 settembre (col Milan), sta perdendo (col Milan) ma segna al 93′ e pareggia. E’ il calcio, è lo sport.
Per una questione di minuti (di recupero), potevamo essere qui a flagellarci a -6 dal Napoli e invece siamo ancora lì, a -3, con davanti la settimana del secondo asterisco. In fondo, potremmo persino dire di essere fortunati. Che dopo tutto quella che ci è successo oggi è una clamorosa iperbole, ma il calcio e lo sport in generale sono belli anche per questo.
Il gol di De Vrij ci ha evitato la sconfitta (la terza in tre derby nel giro di quattro mesi e mezzo, una sciagura) e anche, almeno parzialmente, la pena di elaborare la sfortuna di una partita maledetta, con quei tre pali del secondo tempo (tre pali a portiere strabattuto), i tre gol annullati (giustamente, per carità, ma tre gol frutto di azioni belle e impetuose) e un altro rigore netto inspiegabilmente ignorato dal Var (in campo, in quel groviglio di corpi rotolanti, l’arbitro non può averlo visto; ma il Var, e tutto il mondo che assisteva agli stessi replay, invece sì). Si è addirittura arrabbiato Inzaghi, uno che ha la soglia dell’incazzatura più alta dell’emisfero boreale, ed è un segnale preciso: siamo sempre quelli della Marotta League, e intanto ci fottono il campionato. E quindi andatevene tutti affanculo.
Anch’io potevo essere qui attonito di fronte alla domenica più clamorosamente ingiusta a memoria d’uomo, se l’Inter avesse perso il derby e il Napoli avesse vinto a Roma, cioè se queste due partite fossero terminate due minuti prima, o se nel recupero non fosse successo niente. Ma dell’Inter non avrei scritto un virgola di diverso: come arrabbiarsi (al netto di qualche fisiologico errore, uno pagato carissimo) di fronte a una partita così, con quasi il doppio del possesso palla, quasi il triplo delle conclusioni, tre pali pazzeschi, un atteggiamento ben diverso dal derby d’andata, la voglia di riprendere una partita che stava sfuggendo, una tensione positiva che andava oltre l’immane frustrazione per quella palla che non voleva mai entrare?
Il gol al 93′, oltre al risultato, cambia solo una cosa: sarebbe stata una partita da bicchiere mezzo vuoto e invece è diventata da bicchiere mezzo pieno. E’ una sfumatura importante alla vigilia di una settimana importante, è la sfumatura che ti cambia il colore dell’umore. Poteva essere una partita stregata carica di segnali negativi e invece diventa una partita stregata in cui ti sei dimostrato più forte della sfortuna. Una partita in cui butti nella mischia uno arrivato il giorno prima e che mette lo zampino nel gol. Tra tanti segnali più o meno propizi, forse un segnale è anche Zalewski stesso: quell’assist di petto – una decisione istintiva e lucidissima in piena bagarre – è il miglior biglietto da visita che potesse presentarci. Abbiamo un uomo in più.